«Se il Lingotto fa ricorso, vuol dire che hanno perso»
La «vittoria» della Fiat nella causa di Torino sembra un prodotto della tv di Murdoch: i fatti contano poco, importa quel che vien detto. L'impressione è netta quando Landini fa notare «se uno fa ricorso vuol dire che ha perso». E in effetti è il Lingotto a voler riformare la sentenza emessa da giudice Ciocchetti.
Insieme a Gianni Alleva, storico giuslavorista della Consulta Fiom, il segretario generale delle tute blu si incarica di chiarire l'accaduto ai molti giornalisti presenti. Intanto «non è vero che la sentenza abbia legittimato la newco per Pomigliano», come detto a a caldo da molti giornali e dai sindacalisti di Cisl e Uil; anche perché «nessuno aveva posto questa domanda». Semplicemente, il giudice ha respinto la richiesta della Fiom di considerare un «aggiramento della legge sul trasferimento d'azienda» (art. 2112 c.c.) il punto specifico dell'accordo che prevedeva le «dimissioni volontarie» di ogni singolo lavoratore dipendente da «Fga» - la precedente società del sito campano - come condizione per la riassunzione nella «Fabbrica Italia Pomigliano». Le ragioni per cui ha deciso così si sapranno solo con il deposito delle motivazioni, ma potrebbe benissimo aver accolto la tesi che la difesa Fiat aveva sostenuto nel processo: «la contestazione dell'art. 2112 è in capo ai singoli lavoratori, non alla Fiom». In questo caso, altro che «legittimazione» dell'accordo!
Per entrambi, invece, quella sentenza è «un colpo d'ariete» contro un accordo costruito allo scopo di «escludere la Fiom dalla rappresentanza nello stabilimento» e soprattutto di «impedire a ogni lavoratore di scegliere il sindacato cui iscriversi», se vuole farlo. In quel testo, infatti, si prevede esplicitamente che solo i sindacati firmatari possono «nominare delle Rsa»; anzi, qualsiasi «allargamento» dell'area dei firmatari richiede il consenso unanime di tutte le parti in causa. Su questo il giudice ha usato due termini che ognuno può intendere: «condanna» la Fiat per comportamento antisindacale e «ordina» di rimuovere ogni impedimento al libero esercizio dell'attività sindacale a Pomigliano (delegati, permessi, assemblee, ecc).
E qui sorge il problema: in questo momento quanti lavoratori sono attivi nel «nuovo» stabilimento campano? «137,». E quando potrà la Fiom nominare un delegato e rientrare in fabbrica? «Quando un iscritto alla Fiom sarà stato assunto di nuovo». Non serve essere sospettosi per pensare che la Fiat difficilmente riammetterà sua sponte lavoratori che hanno quella tesser in tasca. Alleva ammette di aver sentito diverse «vocine» in proposito e quindi avverte: «sia la legge europea che quella italiana ammettono la prova statistica nei casi di discriminazione». Conseguenza: «su 137 presenti, statisticamente, la Fiom dovrebbe poter contare su almeno una decina di iscritti; per ora si tratta solo di capi e dirigenti, e quindi è possibile che qui la nostra presenza fosse molto inferiore alla media; ma entro la fine dell'anno - stando all'accordo - dovrà rientrare almeno il 40% della forza lavoro totale; e già prima d'allora avremo chiaro se la Fiat sta discriminando o no. In quel caso, procederemo di nuovo».
A quanti chiedono alla Fiom di «riflettere» (Cisl, Uil, ministri) Landini risponde: «hanno difeso e difendono un accordo che una sentenza ha giudicato antisindacale; non è un problema, specie per dei sindacalisti?». La riprova è data ancora dal comportamento del Lingotto, che ha detto di «voler valutare gli effetti della sentenza sulla fattibilità del piano Fabbrica Italia». Come dire che «se qui si applicano delle leggi, la Fiat se ne va dal paese».
È su questo punto che la sentenza, secondo Alleva, ha messo un paletto importante: la legge non può essere aggirata nemmeno dalla Fiat, con buona pace degli ex Cgil «passati dall'altra parte» (Ichino e Cazzola, ndr), che «hanno elargito commenti aprendo la bocca e dandogli fiato».
Per entrambi, invece, quella sentenza è «un colpo d'ariete» contro un accordo costruito allo scopo di «escludere la Fiom dalla rappresentanza nello stabilimento» e soprattutto di «impedire a ogni lavoratore di scegliere il sindacato cui iscriversi», se vuole farlo. In quel testo, infatti, si prevede esplicitamente che solo i sindacati firmatari possono «nominare delle Rsa»; anzi, qualsiasi «allargamento» dell'area dei firmatari richiede il consenso unanime di tutte le parti in causa. Su questo il giudice ha usato due termini che ognuno può intendere: «condanna» la Fiat per comportamento antisindacale e «ordina» di rimuovere ogni impedimento al libero esercizio dell'attività sindacale a Pomigliano (delegati, permessi, assemblee, ecc).
E qui sorge il problema: in questo momento quanti lavoratori sono attivi nel «nuovo» stabilimento campano? «137,». E quando potrà la Fiom nominare un delegato e rientrare in fabbrica? «Quando un iscritto alla Fiom sarà stato assunto di nuovo». Non serve essere sospettosi per pensare che la Fiat difficilmente riammetterà sua sponte lavoratori che hanno quella tesser in tasca. Alleva ammette di aver sentito diverse «vocine» in proposito e quindi avverte: «sia la legge europea che quella italiana ammettono la prova statistica nei casi di discriminazione». Conseguenza: «su 137 presenti, statisticamente, la Fiom dovrebbe poter contare su almeno una decina di iscritti; per ora si tratta solo di capi e dirigenti, e quindi è possibile che qui la nostra presenza fosse molto inferiore alla media; ma entro la fine dell'anno - stando all'accordo - dovrà rientrare almeno il 40% della forza lavoro totale; e già prima d'allora avremo chiaro se la Fiat sta discriminando o no. In quel caso, procederemo di nuovo».
A quanti chiedono alla Fiom di «riflettere» (Cisl, Uil, ministri) Landini risponde: «hanno difeso e difendono un accordo che una sentenza ha giudicato antisindacale; non è un problema, specie per dei sindacalisti?». La riprova è data ancora dal comportamento del Lingotto, che ha detto di «voler valutare gli effetti della sentenza sulla fattibilità del piano Fabbrica Italia». Come dire che «se qui si applicano delle leggi, la Fiat se ne va dal paese».
È su questo punto che la sentenza, secondo Alleva, ha messo un paletto importante: la legge non può essere aggirata nemmeno dalla Fiat, con buona pace degli ex Cgil «passati dall'altra parte» (Ichino e Cazzola, ndr), che «hanno elargito commenti aprendo la bocca e dandogli fiato».
Francesco Piccioni, Il Manifesto
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