Qual è il giudizio sull'accordo tra Confindustria e sindacati confederali?
Penso che vada preso sul serio il quotidiano di Confindustria, il Sole 24 ore, che da un giudizio entusiastico dell'accordo. L'accordo sposta il baricentro della contrattazione sulle posizioni tenute dalla Cisl e dalla Uil negli ultimi anni. Per la Cgil non è una mediazione, ma un cambio di linea. L'accordo indebolisce il contratto nazionale e quindi riduce la capacità dei lavoratori di organizzarsi in una situazione di crisi, in cui i padroni mettono i lavoratori in concorrenza gli uni contro gli altri. In secondo luogo viene marginalizzato il referendum, finora lo strumento principale di battaglia politica dal basso utilizzato dai lavoratori. Inoltre il criterio della maggioranza sindacale necessaria per rendere valido un accordo ingabbierà la Cgil anche nelle situazioni in cui non condividerà l'esito di un negoziato. Insomma, un patto neocorporativo, che conferma l'impianto di Cisl e Uil, mette al centro le organizzazioni sindacali e marginalizza la partecipazione i lavoratori.
Ma per quale motivo la Fiat continua a lamentarsi?
La posizione della Fiat è ancora più estremistica e contiene persino violazioni costituzionali. Questo accordo va in direzione della Fiat, ma non include la sua posizione. Per questo Marchionne continua a dare battaglia. Non è per nulla escluso che oltre al danno ci sarà pure la beffa: potrebbe arrivare dal governo una legge che garantisca anche i diktat della Fiat.
C'è chi tira in ballo l'analogia con l'accordo del '93. Eppure quell'accordo - contestabile su molti punti - perlomeno andava in direzione delle Rsu, organi eletti dai lavoratori...
Qui c'è una rivalutazione delle Rsa che come sappiamo sono nominate dai sindacati ma non elette dai lavoratori. E' passata la linea della Cisl che mette la priorità sulle organizzazioni e non sulla partecipazione democratica. L'accordo indebolisce la soggettività dei lavoratori e la loro capacità di resistenza in una fase in cui il capitale finanziario gioca tutte le sue carte sulla guerra tra i poveri.
Questo accordo la dice lunga sull'assenza di strategie industriali del padronato italiano per reggere alla crisi della globalizzazione. Non credi?
Nulla di nuovo. Per ora è una Grecia al rallentatore. Il padronato italiano non investe, la produttività è bassa - e non per responsabilità dei lavoratori. Non c'è una politica industriale. E poi si scarica tutto sul lavoro. Purtroppo questo accordo conferma i padroni nella validità della loro linea che scarica tutto verso i piani bassi dell'edificio sociale.
Anche la riforma fiscale del governo riflette l'assenza di un piano industriale per il paese. La manovra regala ai ceti sociali benestanti una redistribuzione di ricchezza al contrario, dal basso verso l'alto. Ma non si vede una risposta funzionale - neppure in termini capitalistici - per uscire dalla crisi economica e produttiva dell'Italia. Non credi?
Il grosso dell'operazione è sul fisco e sul taglio dei trasferimenti agli enti locali. Riduzione delle aliquote fiscali, a partire da quelle più alte, aumento della tassazione indiretta - quella che pagano tutti allo stesso modo, ricchi e poveri indifferentemente - e tagli agli enti locali con conseguente aumento dei costi dei servizi: tutto questo combinato funziona come una redistribuzione dal basso verso l'alto. Non solo: si tratta anche di una manovra recessiva perché colpisce i consumi e, nella fattispecie, il potere d'acquisto di lavoratori e pensionati. In fondo siamo di fronte a una gestione neocorporativa che porta all'impoverimento del paese e dei lavoratori.
Dici che a passi lenti ci avviciniamo allo scenario greco. La manovra prevede in futuro il blocco degli stipendi nel pubblico impiego e l'intervento sulle pensioni...
Speculazione internazionale permettendo, tutto accade al rallentatore ma la direzione è quella. Questa manovra non ci fa uscire dalla crisi: c'è solo la gestione degli interessi di parte, che vengono garantiti a spese dell'intera società, ma senza alcuna prospettiva. Si mira al puro e semplice mantenimento delle posizioni di rendita delle classi agiate. E' un meccanismo di impoverimento del paese che erode, poco a poco, le proprie basi.
Fin qui l'analisi. Ora veniamo alla proposta politica. Per fortuna non siamo in un deserto. La società si muove. Ma come si può costruire un'opposizione sociale che non rimanga confinata entro singoli temi e che abbia, contemporaneamente, un'efficacia politica?
Siamo in una situazione aperta. Il successo del referendum sull'acqua ci dice di un'importante maturazione sociale contro le privatizzazioni. Poi ci sono movimenti radicali di lotta: la Val di Susa, ma non solo. L'autunno scorso è stato tutto un susseguirsi di mobilitazioni. Dobbiamo provare a unificare questi diversi movimenti perché l'avversario - che si protesti contro la privatizzazione dell'acqua o contro la Tav o contro Marchionne - è uno solo: il capitalismo finanziarizzato che si muove nell'alto dei cieli bombardando chi vive in terra. Per questo abbiamo proposto di dar vita ad una Costituente dei beni comuni - dall'acqua al lavoro al territorio - aperta a partiti e movimenti, sul modello dei social forum. L'obiettivo è quello di ottenere una legge nazionale che senza ambiguità e furbizie affermi il carattere pubblico dell'acqua. Insomma, non si tratta solo di organizzare un movimento che contenga tutte le lotte particolari, ma di costruire anche una coscienza diffusa antiliberista, di costruire una proposta di uscita dalla crisi contro il capitalismo finanziario. Lo scontro in atto non si vince solo sul terreno sindacale, c'è bisogno anche di una dimensione politica. La battaglia sindacale da sola non ce la fa. Nel paese c'è una coscienza diffusa sul versante dei beni comuni e di alcune lotte specifiche, c'è la resistenza della Fiom. Occorre connettere i movimenti, costruendo una vera sinergia tra le diverse lotte. Occorre superare i meccanismi di delega e costruire una soggettività, un movimento antiliberista strutturato, in grado di far valere le sue ragioni.
Non c'è il rischio che questo movimento rimanga separato e non influisca sul sistema politico?
Abbiamo visto con i referendum che non è così. Detto questo, di fronte alla crisi organica delle destre, noi proponiamo l'unità delle forze di sinistra e proponiamo a Sel di fare insieme il referendum contro la legge 30. Parallelamente proponiamo di iniziare subito la discussione sul programma di alternativa. Una discussione che non rimanga confinata ai soli partiti politici ma si apra ai movimenti, ai comitati, alle associazioni e sindacati che in questi anni hanno fatto opposizione nel paese. La discussione su quale programma cacciare Berlusconi non deve avvenire in un luogo separato, ma deve vedere la partecipazione di tutte le soggettività che hanno animato l'opposizione. Per questo proponiamo le primarie sul programma. Occorre aprire la discussione e poi se vi sono contrasti - sulla guerra o sulle privatizzazioni, per non fare che due esempi - occorre dirimerli in un rapporto di massa. Occorre spostare la discussione dal candidato premier a quella sul programma e sul profilo dello schieramento che si deve opporre alle destre.
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