Chissà se Susanna Camusso ha pensato alle straordinarie giornate del 16 ottobre, del 28 gennaio e del 6 maggio mentre firmava l’accordo su contratti e democrazia sindacale con Confindustria, Cisl, Uil e Ugl? Probabilmente ha rivisto nei suoi occhi quei migliaia di giovani, di cui il 29,6 % disoccupati, che sfilavano davanti alle fabbriche e nelle piazze di tutte le città d’Italia. Ha ricordato quelle tute blu che minacciate da Marchionne hanno comunque, nonostante le sue velate direttive, votato per la dignità, anche a costo di perdere il posto di lavoro.
Per alcuni secondi sarà addirittura ritornata a quelle contestazioni a Bonanni, Angeletti, Confindustria, Marchionne di chi non accettava di svendere i propri diritti. Chissà se ha rivisto quegli studenti arrabbiati che chiedevano da ottobre uno sciopero generale? Sicuramente Susanna Camusso e con lei tutti coloro che in CGL hanno condiviso quella firma su quell’inaccettabile accordo hanno pensato a tutto questo. E proprio per questo hanno firmato.
Non era normale per l’Italia infatti la straordinaria mobilitazione dell’autunno e dell’inverno, non era normale uno sciopero generale convocato in assurdo ritardo ma comunque partecipatissimo, non era normale la rabbia di operai e studenti, dalla Sapienza ai Cantieri Navali, che, per la prima volta da tanto tempo, affrontava potenti e potere senza la paura della loro repressione. E occorreva ritornare alla normalità: lasciare gratuitamente lotta e conflitto per restaurare una concertazione al ribasso. Troppo schiamazzo facevano quei rozzi operai e quegli ignoranti degli studenti. Avevano perfino vinto un referendum palesemente antiliberista, per il pubblico contro le privatizzazioni, per i beni comuni contro i profitti.
Non era normale per l’Italia infatti la straordinaria mobilitazione dell’autunno e dell’inverno, non era normale uno sciopero generale convocato in assurdo ritardo ma comunque partecipatissimo, non era normale la rabbia di operai e studenti, dalla Sapienza ai Cantieri Navali, che, per la prima volta da tanto tempo, affrontava potenti e potere senza la paura della loro repressione. E occorreva ritornare alla normalità: lasciare gratuitamente lotta e conflitto per restaurare una concertazione al ribasso. Troppo schiamazzo facevano quei rozzi operai e quegli ignoranti degli studenti. Avevano perfino vinto un referendum palesemente antiliberista, per il pubblico contro le privatizzazioni, per i beni comuni contro i profitti.
In fondo non si poteva fare altrimenti, l’Italia si prepara al post-Berlusconi e bisogna apparire affidabili, migliori di quelli che c’erano prima, più coraggiosi e meno combattivi, pacati e moderati. Ovviamente agli occhi dei poteri forti.
Non credo che in questa sede occorra addentrarsi nella valutazione sistematica dell’accordo sottoscritto. Per capire a cosa va incontro tutto il mondo del lavoro probabilmente basta leggere le reazioni di Governo e Confindustria o gli articoli di Loris Campetti su Il Manifesto o le dichiarazioni di Giorgio Cremaschi.
Ciò su cui vorrei che con onestà ci confrontassimo, senza quell’orrendo opportunismo politico che contraddistingue qualsiasi discussione che tira in ballo il maggiore sindacato italiano, è il ruolo della sinistra alla luce del ricompattamento di destra, Confindustria e Cgil, il nostro ruolo nei confronti di coloro che credono ancora nell’efficacia della lotta e del conflitto, il nostro rapporto con la dirigenza sindacale della Cgil francamente incompatibile con tutte le parole d’ordine urlate in piazza nello scorso autunno e durante le mobilitazioni dell’inverno.
La Cgil infatti non è più davanti ad un bivio. Ha legittimamente imboccato una strada. Quella sbagliata. Al vento di cambiamento si è preferita l’afa della compatibilità di sistema, al sollevamento di intere fasce della popolazione italiana si è preferito l’ossequioso inchino ai soliti potenti. Proprio mentre un referendum puntellava gli equilibri e il silenzio intorno al sistema neoliberista dominante, mentre si affacciava la speranza di mettere all’ordine del giorno del dibattito politico la critica ed il cambiamento dell’attuale modello di sviluppo, la Cgil ha deciso di salire sul carro di quei perdenti che, purtroppo e speriamo ancora per poco, detengono il potere.
E di fronte a ciò, che fare? Certo non si può fare di tutta l’erba un fascio, la Cgil non è tutta uguale, il suo dibattito interno è composito e acceso, le sue categorie, a partire da FIOM e FLC, hanno spesso osato e dato battaglia. Ma ci sono delle regole “democratiche” e chi parla, chi firma, lo fa a nome di tutti. La sinistra, quella vera, quella che continua ad avere le stesse posizioni dell’autunno su CCNL e diritti dei lavoratori, da una parte non può che caldeggiare un cambiamento di rotta della Cgil, un mutamento dei rapporti di forza al suo interno. Ma dall’altro non può che prendere una posizione netta, drastica, efficace sul più grande sindacato italiano.
Basterebbe, con chiarezza, rompere la subalternità. La sinistra assomiglia infatti sempre più ad un coniuge continuamente cornificato, tradito, umiliato ma che, chissà se per amore o interessi, non ha mai uno scatto d’orgoglio, non chiede mai la separazione. Continua a subire, con la consapevolezza di non essere più amato. Forse, dopo trent’anni di concertazione al ribasso nei quali stipendi e diritti si sono via via assottigliati, è ora di emanciparsi. Di chiedere il divorzio. Infondo abbiamo ragione noi, lo hanno dimostrato i fatti. Se l’amore si dovesse riaccendere e chi ha tradito e fallito riconoscerà gli errori commessi allora la grande madre o moglie o marito che è la Cgil potrà pure tornare. Chiedendo scusa. E certamente non dovrà inginocchiarsi di fronte ad un ceto politico della sinistra sistematicamente complice delle cattive scelte del sindacato, ma di fronte a migliaia di donne e uomini che credono ancora nel conflitto, nella dignità del lavoro, nell’imprescindibilità dei diritti, di fronte a tante e tanti che proprio per la delusione verso un sindacato moderato e troppo opportunista, hanno perso la voglia di combattere.
D’altronde per la sinistra c’è in Italia un mare aperto e sconfinato, fatto di movimenti, comitati, sindacati di base, centri sociali, associazioni, sezioni di partito. C’è quel mare di gente che, nonostante tutto, ha detto no alla privatizzazione dell’acqua e al nucleare. Quella gente esasperata che a Napoli ha votato per il cambiamento radicale. C’è per la sinistra ed è la sinistra quella moltitudine che non ha mai smesso di lottare che spesso in solitudine ha creato conflitti e battaglie, che ha avuto il coraggio di mantenere passione e coerenza, che ha prodotto percorsi politici indipendenti e radicali. Non è una minoranza né inutile, né minoritaria. È la forza di un cambiamento che nel nostro Paese e nel mondo è quanto mai necessario.
La sinistra e non la Cgil è davanti a un bivio. Può continuare nel solco dell’ambiguità, come ben continua a fare Sinistra Ecologia e Libertà, da un lato retoricamente vicina ai movimenti sociali e dall’altro piegata alle logiche politiciste ed affariste del Partito Democratico, o come fa Lavoro e Solidarietà, area della CGIL interna alla Federazione della Sinistra, che da un lato chiede lo sciopero generale contro il piano Marchionne e poi difende la firma al piano Marchionne nazionale rappresentato dall’accordo con Confindustria sui contratti. Oppure possiamo guardare oltre.
Gli ultimi avvenimenti politici italiani dimostrano che cambiamento radicale, coerenza e determinazione sono vincenti, sono maggioritari. Bisogna, ora o mai più, trovare il coraggio di stare dalla parte del cambiamento. Che esso provenga da una minoranza della Cgil, dai sindacati di base, dai movimenti. Se vinceremo questa sfida, daremo una speranza in più a chi ogni giorno combatte. Se questa sfida decideremo di non affrontarla, schiavi dei nostri equilibri, allora avremo già perso. Il vento di cambiamento calerà definitivamente. E torneremo ad un’Italia normale. Ad un’Italia francamente insopportabile.
Non credo che in questa sede occorra addentrarsi nella valutazione sistematica dell’accordo sottoscritto. Per capire a cosa va incontro tutto il mondo del lavoro probabilmente basta leggere le reazioni di Governo e Confindustria o gli articoli di Loris Campetti su Il Manifesto o le dichiarazioni di Giorgio Cremaschi.
Ciò su cui vorrei che con onestà ci confrontassimo, senza quell’orrendo opportunismo politico che contraddistingue qualsiasi discussione che tira in ballo il maggiore sindacato italiano, è il ruolo della sinistra alla luce del ricompattamento di destra, Confindustria e Cgil, il nostro ruolo nei confronti di coloro che credono ancora nell’efficacia della lotta e del conflitto, il nostro rapporto con la dirigenza sindacale della Cgil francamente incompatibile con tutte le parole d’ordine urlate in piazza nello scorso autunno e durante le mobilitazioni dell’inverno.
La Cgil infatti non è più davanti ad un bivio. Ha legittimamente imboccato una strada. Quella sbagliata. Al vento di cambiamento si è preferita l’afa della compatibilità di sistema, al sollevamento di intere fasce della popolazione italiana si è preferito l’ossequioso inchino ai soliti potenti. Proprio mentre un referendum puntellava gli equilibri e il silenzio intorno al sistema neoliberista dominante, mentre si affacciava la speranza di mettere all’ordine del giorno del dibattito politico la critica ed il cambiamento dell’attuale modello di sviluppo, la Cgil ha deciso di salire sul carro di quei perdenti che, purtroppo e speriamo ancora per poco, detengono il potere.
E di fronte a ciò, che fare? Certo non si può fare di tutta l’erba un fascio, la Cgil non è tutta uguale, il suo dibattito interno è composito e acceso, le sue categorie, a partire da FIOM e FLC, hanno spesso osato e dato battaglia. Ma ci sono delle regole “democratiche” e chi parla, chi firma, lo fa a nome di tutti. La sinistra, quella vera, quella che continua ad avere le stesse posizioni dell’autunno su CCNL e diritti dei lavoratori, da una parte non può che caldeggiare un cambiamento di rotta della Cgil, un mutamento dei rapporti di forza al suo interno. Ma dall’altro non può che prendere una posizione netta, drastica, efficace sul più grande sindacato italiano.
Basterebbe, con chiarezza, rompere la subalternità. La sinistra assomiglia infatti sempre più ad un coniuge continuamente cornificato, tradito, umiliato ma che, chissà se per amore o interessi, non ha mai uno scatto d’orgoglio, non chiede mai la separazione. Continua a subire, con la consapevolezza di non essere più amato. Forse, dopo trent’anni di concertazione al ribasso nei quali stipendi e diritti si sono via via assottigliati, è ora di emanciparsi. Di chiedere il divorzio. Infondo abbiamo ragione noi, lo hanno dimostrato i fatti. Se l’amore si dovesse riaccendere e chi ha tradito e fallito riconoscerà gli errori commessi allora la grande madre o moglie o marito che è la Cgil potrà pure tornare. Chiedendo scusa. E certamente non dovrà inginocchiarsi di fronte ad un ceto politico della sinistra sistematicamente complice delle cattive scelte del sindacato, ma di fronte a migliaia di donne e uomini che credono ancora nel conflitto, nella dignità del lavoro, nell’imprescindibilità dei diritti, di fronte a tante e tanti che proprio per la delusione verso un sindacato moderato e troppo opportunista, hanno perso la voglia di combattere.
D’altronde per la sinistra c’è in Italia un mare aperto e sconfinato, fatto di movimenti, comitati, sindacati di base, centri sociali, associazioni, sezioni di partito. C’è quel mare di gente che, nonostante tutto, ha detto no alla privatizzazione dell’acqua e al nucleare. Quella gente esasperata che a Napoli ha votato per il cambiamento radicale. C’è per la sinistra ed è la sinistra quella moltitudine che non ha mai smesso di lottare che spesso in solitudine ha creato conflitti e battaglie, che ha avuto il coraggio di mantenere passione e coerenza, che ha prodotto percorsi politici indipendenti e radicali. Non è una minoranza né inutile, né minoritaria. È la forza di un cambiamento che nel nostro Paese e nel mondo è quanto mai necessario.
La sinistra e non la Cgil è davanti a un bivio. Può continuare nel solco dell’ambiguità, come ben continua a fare Sinistra Ecologia e Libertà, da un lato retoricamente vicina ai movimenti sociali e dall’altro piegata alle logiche politiciste ed affariste del Partito Democratico, o come fa Lavoro e Solidarietà, area della CGIL interna alla Federazione della Sinistra, che da un lato chiede lo sciopero generale contro il piano Marchionne e poi difende la firma al piano Marchionne nazionale rappresentato dall’accordo con Confindustria sui contratti. Oppure possiamo guardare oltre.
Gli ultimi avvenimenti politici italiani dimostrano che cambiamento radicale, coerenza e determinazione sono vincenti, sono maggioritari. Bisogna, ora o mai più, trovare il coraggio di stare dalla parte del cambiamento. Che esso provenga da una minoranza della Cgil, dai sindacati di base, dai movimenti. Se vinceremo questa sfida, daremo una speranza in più a chi ogni giorno combatte. Se questa sfida decideremo di non affrontarla, schiavi dei nostri equilibri, allora avremo già perso. Il vento di cambiamento calerà definitivamente. E torneremo ad un’Italia normale. Ad un’Italia francamente insopportabile.
di Matteo Iannitti,
Esecutivo Nazionale Giovani Comuniste/i
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