L'accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil è un brutto accordo che interviene su tutti i temi decisivi del rapporto di lavoro: democrazia e rappresentanza, contrattazione, agibilità sindacali ed esercizio del conflitto.
1. L'accordo non prevede in nessuna parte il voto vincolante e segreto delle lavoratrici e dei lavoratori su piattaforme e accordi, come condizione per la validità dei contratti. Il contratto, salario, orario, condizioni di lavoro non è nella sovranità delle lavoratrici e dei lavoratori, di coloro che quotidianamente ne subiranno le conseguenze. L'accordo rilegittima le RSA cioè le rappresentanze non elettive ma di nomina delle organizzazioni sindacali. Si legittima un'idea di sindacato degli iscritti, si apre la strada alla costituzione delle RSA invece che delle RSU dove sia più conveniente per alcuni sindacati, e al rafforzamento strumentale dei sindacati più disponibili.
2. L'accordo apre alla derogabilità del contratto nazionale di lavoro. Gli ambiti di derogabilità vengono demandati a quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale. Ma il meccanismo complessivo messo in campo non ne impedisce lo svuotamento e la manomissione. Laddove il contratto nazionale non prevedesse deroghe e nella fase transitoria fino a rinnovi contrattuali che le contemplino, i contratti aziendali potranno infatti derogare comunque quelli nazionali su " la prestazione lavorativa, gli orari, l'organizzazione del lavoro". Si rafforza il comando dell'impresa su tempi, ritmi, condizioni di lavoro. Si mette in campo un meccanismo che favorirà la competizione tra siti produttivi e lavoratori, la messa in discussione della coesione e della solidarietà tra lavoratori.
3. Mentre niente si dice sul contratto nazionale, il meccanismo previsto per la validazione dei contratti aziendali e delle deroghe, con la maggioranza semplice dei rappresentanti delle RSU (senza che venga abolita la quota di riserva del 33%) e delle RSA (con la previsione in questo solo caso della possibilità per una delle organizzazioni firmatarie o per il 30% dei lavoratori, di fare ricorso al referendum) non impedisce gli accordi separati.
4. Le clausole di tregua, cioè di limitazione del diritto di sciopero previste, impediscono ad un sindacato dissenziente l'agibilità del conflitto. Una vera e propria gabbia in cui può accadere che un sindacato che abbia il 49% dei consensi, a fronte di un accordo non condiviso, non possa né chiamare i lavoratori e le lavoratrici al voto, né indire uno sciopero. L' accordo accentua la frantumazione del mondo del lavoro e la messa in competizione dei lavoratori, nel momento in cui a fronte della crisi e delle manovre del governo e dell'Europa, è più forte la necessità della solidarietà tra i lavoratori, per difendersi e conquistare un'altra politica economica.
L'accordo non raccoglie e frustra la domanda di cambiamento e di partecipazione venuta dalle elezioni amministrative e dal referendum. Non è possibile costruire un'alternativa alle destre e al neoliberismo se le lavoratrici e i lavoratori, non possono contare nei luoghi di lavoro, decidendo su piattaforme e accordi.
1. L'accordo non prevede in nessuna parte il voto vincolante e segreto delle lavoratrici e dei lavoratori su piattaforme e accordi, come condizione per la validità dei contratti. Il contratto, salario, orario, condizioni di lavoro non è nella sovranità delle lavoratrici e dei lavoratori, di coloro che quotidianamente ne subiranno le conseguenze. L'accordo rilegittima le RSA cioè le rappresentanze non elettive ma di nomina delle organizzazioni sindacali. Si legittima un'idea di sindacato degli iscritti, si apre la strada alla costituzione delle RSA invece che delle RSU dove sia più conveniente per alcuni sindacati, e al rafforzamento strumentale dei sindacati più disponibili.
2. L'accordo apre alla derogabilità del contratto nazionale di lavoro. Gli ambiti di derogabilità vengono demandati a quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale. Ma il meccanismo complessivo messo in campo non ne impedisce lo svuotamento e la manomissione. Laddove il contratto nazionale non prevedesse deroghe e nella fase transitoria fino a rinnovi contrattuali che le contemplino, i contratti aziendali potranno infatti derogare comunque quelli nazionali su " la prestazione lavorativa, gli orari, l'organizzazione del lavoro". Si rafforza il comando dell'impresa su tempi, ritmi, condizioni di lavoro. Si mette in campo un meccanismo che favorirà la competizione tra siti produttivi e lavoratori, la messa in discussione della coesione e della solidarietà tra lavoratori.
3. Mentre niente si dice sul contratto nazionale, il meccanismo previsto per la validazione dei contratti aziendali e delle deroghe, con la maggioranza semplice dei rappresentanti delle RSU (senza che venga abolita la quota di riserva del 33%) e delle RSA (con la previsione in questo solo caso della possibilità per una delle organizzazioni firmatarie o per il 30% dei lavoratori, di fare ricorso al referendum) non impedisce gli accordi separati.
4. Le clausole di tregua, cioè di limitazione del diritto di sciopero previste, impediscono ad un sindacato dissenziente l'agibilità del conflitto. Una vera e propria gabbia in cui può accadere che un sindacato che abbia il 49% dei consensi, a fronte di un accordo non condiviso, non possa né chiamare i lavoratori e le lavoratrici al voto, né indire uno sciopero. L' accordo accentua la frantumazione del mondo del lavoro e la messa in competizione dei lavoratori, nel momento in cui a fronte della crisi e delle manovre del governo e dell'Europa, è più forte la necessità della solidarietà tra i lavoratori, per difendersi e conquistare un'altra politica economica.
L'accordo non raccoglie e frustra la domanda di cambiamento e di partecipazione venuta dalle elezioni amministrative e dal referendum. Non è possibile costruire un'alternativa alle destre e al neoliberismo se le lavoratrici e i lavoratori, non possono contare nei luoghi di lavoro, decidendo su piattaforme e accordi.
DICIAMO NO
ALL’ACCORDO DEL 28 GIUGNO!
ALL’ACCORDO DEL 28 GIUGNO!
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