Giornata
tragica. Queste le chiusure delle principali piazze finanziarie del pianeta:
Francoforte
-4,7, Parigi -5,35, Londra -4,67, Milano -6, Madrid -5, Atene -12,5. Nella
mattinata Shangai aveva chiuso a -8,4%, Tokyo a -5,86, Hong Kong a -5,26.
New
York, dopo aver distrutto l'Europea aprendo da tragedia, si è ripresa buona
parte delle perdite (e dei capitali fuggiti da Europa ed Asia) ed entrambi gli
indici principali (Dow Jones e Nasdaq) perdono ora meno dell'1%.
*****
Non
ha retto la prima diga alzata dalla Banca centrale cinese contro l'esplosione
della bolla speculativa cresciuta nelle piazze finanziarie del paese nel corso
dell'ultimo anno e mezzo. E la centralità ormai assunta dall'economia di
Pechino nel sistema globale, e soprattutto su quello asiatico, trascina con sé
tutto il continente.
Shanghai
crolla dell'8,45% e l’indice di Shenzhen lo imita prontamente, perdendo il
7,02%. Neanche la libertà concessa dallo State Council ai fondi pensione
statali – acquistare titoli azionari era fin qui proibito – ha frenato la
caduta. Di fatto, le piazze cinesi hanno a questo punto azzerato i guadagni
realizzati nell'ultimo, folle, anno. Sembra a questo punto più che evidente
come vaste quote di capitali stiano lasciando il sistema cinese, convinte che
non sia più tempo per guadagni mostruosi come quelli degli ultimi venti anni.
L’Hang
Seng di Hong Kong – piazza più internazionale, quindi tradizionalmente meno
sensibile alle pressioni speculative interne, è questa volta crollata del 6,7%.
Istantanee
come le contrattazioni informatiche le conseguenze per le altre borse del
continente. Taiwan si allinea alle dinamiche dell'ex “madrepatria” perdendo il
7,5%, così come Tokyo (-4,61%).
Ma
sarebbe sbagliato credere che si tratti di una tempesta soltanto asiatica.
Venerdì a New York l'indice Dow Jones aveva perso il 3,12%, mentre l'indice
tecnologico Nasdaq era crollato del 4,28. E lo stesso avevano fatto ovviamente
le piazze europee, con perdite medie intorno al 3%.
Il
prezzo del petrolio, di conseguenza, è caduto ancora oltre i minimi degli
ultimi mesi. La qualità Wti (West Texas Intermediate) è caduta sotto la soglia
dei 40 dollari al barile (39,85), dopo aver toccato il minimo a 39,71, il
livello più basso da marzo 2009. Il Brent è sceso invece a 45,02 dollari al
barile, come non avveniva da 6 anni; ovvero poco dopo l'esplosione della crisi
finanziaria globale che ancora non si è affatto chiusa.
Sui
mercati pesano non soltanto le preoccupazioni per la tenuta della crescita cinese
– nell'ultimo decennio l'unico fattore di “tranquillità” in una tendenza
negativa globale – ma anche, e forse soprattutto, quelle per le mosse della
Federal Reserve statunitense, che aveva di fatto annunciato un rialzo dei tassi
di interesse dopo quasi sei anni a quota zero. Non ultima, però, c'è anche la
crisi greca. Le dimissioni di Tsipras e le le elezioni da indire per la fine di
settembre, anche se si tratta di mosse sotto controllo da parte dell'Unione
Europea, mettono infatti in qualche misura a rischio la stabilità del paese (i
risultati non sono affatto scontati), ingigantendo i dubbi già stratosferici
sull'efficacia del cosiddetto “terzo piano di salvataggio”.
Com'era
logico attendersi, le borse europee hanno seguito il trend fin dall'apertura,
con cadute violente dei valori azionari. Francoforte ha perso subito il
3,4%, Londra il 2,5% e Parigi il 3,07%. Come sempre più nevrotica (quando va
bene e quando va male) Milano, con il Ftse Mib crollato del 4,1%. Un botto che
ha costretto le autorità di borsa a sospendere dalle contrattazioni 14
dei 40 titoli principali.
Ma
le cose sono rapidamente peggiorate nel rpimo pomeriggio, quando anche la borse
statunitensi hanno aperto conc rolli drammatici. Il Dow Jones scende del 3%,
mentre il Nasdaq fa anche peggio: -3,7.
A
quel punto le piazze del vecchio continente hanno perso ogni ritegno. Parigi è
arrivata a perdere l'8% (azzerando i guadagni dall'inizio dell'anno), per poi
risalire un po', intorno alle 16.30, fino al -6,3%. Londra e fRancoforte, alla
stessa ra, segnavano oltre il -5%. Più o meno allo stesso livello la borsa di
Madrid, mentre Atene - a conferma dei fortissimi dubbi sulla praticabilitàdel
nuovo "piano di salvataggio", nonché, ovviamente, sulla accertata
insolvibilità del debito ellenico, sfiora il -13%.
In
modo apparentemente assurdo, l'euro è risalito a 1,16 dollari (era a 1,13
venerdì sera). Ma un senso perverso c'è: gli speculatori finanziari globali si
aspettano, a questo punto, che la Fed rinunci ad aumentare i tassi di
interesse, perlomeno nel brevissimo periodo (si attendava la mossa per
settembre-ottobre); quindi il dollaro cessa per il momento di essere nuovamente
un "bene rifugio".
Naturalmente,
lo spread tra i titoli pubblici dei paesi "forti" (leggi Germania( e
quello dei paesi deboli ha preso a risalire velocemene. Il differenziale
di rendimento tra Btp italiani a dieci anni e i Bund tedeschi è balzato a 138
punti base dai 129 punti di venerdì.
Non
lo dite subito a Renzi, né ai 200 finanzieri o imprenditori che hanno usato il Corriere per ribadire il
loro apprezzamento per il loro uomo a palazzo Chigi. Non c'è da cavalcare una
mini-ripresa, ma la tempesta del secolo.
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