Il sultano atlantico
Turchia. Fermare
con le armi il contagio indipendentista e laico della sinistra kurda (il
Pkk ma anche la coalizione politico-sociale del Rojava in Siria) è
l’obiettivo di Erdogan. Ma anche della «nostra» Alleanza atlantica che
applaude ogni volta che un F16 decolla per bombardare.
di Tommaso Di Francesco, Il Manifesto
Centinaia di combattenti del Partito dei lavoratori del
Kurdistan (Pkk) sono rimasti uccisi e centinaia feriti in una
settimana di raid dell’aviazione turca contro le basi dei ribelli.
Colpiti anche villaggi e la popolazione kurda. Tra i feriti ci
sarebbe anche Nurettin Demirtas, fratello del leader della
formazione curda Partito democratico del popolo (Hdp) Selahattin
Demirtas — che ha avuto una straordinaria affermazione alle ultime
elezioni turche con il suo 13%, impedendo così di fatto la
maggioranza parlamentare all’Akp di Erdogan e per questo messo in
questi giorni sotto accusa, lui e il suo partito.
Sta avvenendo, sotto i nostri occhi, una carneficina. Che ci
riguarda direttamente. Infatti l’offensiva militare — ironia della
sorte l’agenzia parla di una inesistente offensiva contro l’Isis —
è scattata dopo il vertice della Nato di Bruxelles di nemmeno una
settimana fa, di fatto convocato da Ankara per avere
partecipazione e avallo alla sua nuova guerra contro i kurdi, fatta
con la scusa di attaccare anche, per la prima volta le postazioni
siriane dello Stato islamico. La partecipazione atlantica piena
non c’è, ma l’avvallo sì e, soprattuto, c’è quello degli Stati uniti.
Ora dunque con l’applauso dell’Alleanza atlantica
i cacciabombardieri turchi fanno a pezzi i combattenti della
sinistra turca, vale a dire i militanti che quasi da soli finora
combattono con le armi in pugno in Siria e in Turchia contro le
milizie jihadiste dell’Isis. Milizie invece sostenute e finanziate
negli ultimi tre anni proprio da Ankara che ha addestrato tutte le
formazioni ribelli siriane — compresa Al Nusra, vale a dire Al Qarda,
nelle sue basi a partire da quella Nato di Adana, come sanno tutti
i governi occidentali e come ha denunciato proprio la
sinistra turca.
È stato scritto che la svolta «ambigua» di Erdogan sarebbe
derivata dall’impossibilità per Washington di sopportare ancora per
troppo tempo che un proprio alleato potesse mostrare simpatie per un
gruppo terrorista come l’Isis che gli americani ora sono impegnati
a distruggere. Quando mai? Il fatto è che la Turchia, alla frontiera
turbolenta della Siria in guerra, ha addestrato, finanziato
e sostenuto i jihadisti proprio su mandato della coalizione degli
Amici della Siria, guidata proprio dagli Stati uniti e dall’Arabia
saudita insieme alle petromonarchie mediorientali.
Così adesso anche la Casa bianca (dopo l’esperienza sanguinosa di
Bengasi dell’11 settembre 2012) corre ai ripari e bombarda da mesi
gli stessi jihadisti che, come in Libia, ha usato per
destabilizzare l’area. E questo grazie ad Ankara che mette
a disposizione la sua base di Incirlik, mentre gli americani
chiudono tutti e due gli occhi sul massacro della sinistra kurda.
Ecco dunque il nuovo ruolo dell’islamista moderato Erdogan, il sultano atlantico. Altro che «distratto» membro della Nato.
Cinque anni fa, sconfitto nel tentativo di entrare in Europa, ha
ripiegato nell’area per costruire una nuova «pax ottomana», dalla
Bosnia a Gaza„ dall’Azerbaijan alla nuova Libia in funzione anti-Iran.
Ora invece, per accrditarsi con l’Occidente, gioca la carta della
«guerra ottomana».
Con una spina nel fianco però, che deve proprio levarsi: il popolo
kurdo. Perché le guerre americane ed europee, devastando tre paesi
centrali dell’area nordafricana e mediorientale — nell’ordine
temporale, Iraq, Libia e Siria — hanno attivato sia il
protagonismo jihadista, prima alleato dell’Occidente contro
i regimi in carica, e ora diventato nemico; ma hanno anche chiamato in
causa il popolo kurdo, che resta diviso proprio tra Siria, Turchia
e Iraq (pieno di petrolio e nemico giurato del Pkk).
Fermare con le armi il contagio indipendentista e laico della
sinistra kurda (il Pkk ma anche la coalizione politico-sociale del
Rojava in Siria) è l’obiettivo di Erdogan. Ma anche della «nostra»
Alleanza atlantica che applaude ogni volta che un F16 decolla per
bombardare. L’Italia atlantica, che si prepara ad una nuova
avventura militare in Libia, di Pkk del resto se ne intende: ha
consegnato alle «alleate» galere turche il leader Ocalan venuto da
noi per trattare la pace.
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