giovedì 27 agosto 2015

Tutto succede e nulla accade di Alberto Burgio

Italia. La politica come amministrazione toglie ossigeno all’analisi. Il paradosso dell’era renziana
gelatoPos­sono suc­ce­dere cose senza che nulla di nuovo accada? Si direbbe un para­dosso, ma è la cifra dell’Italia al tempo del ren­zi­smo.
Avve­ni­menti si suc­ce­dono, per un verso, senza posa. Que­sto governo licen­zia leggi aber­ranti a raf­fica
(il Jobs act, il super­por­cel­lum detto Ita­li­cum, la «buona scuola»). Lavora ala­cre­mente a deva­stare la Costi­tu­zione, a sman­tel­lare il wel­fare, a pol­ve­riz­zare il sin­da­cato. Non perde occa­sione per radi­ca­liz­zare il mix di auste­rity anti­so­ciale e libe­ri­smo fiscale, e fa strame ogni giorno dei rego­la­menti par­la­men­tari rie­su­mando i fasti del tra­sfor­mi­smo e della «mala­vita». Eppure, con tutto ciò, non accade nulla che modi­fi­chi anche in pic­cola parte il quadro.
Per cui manca la mate­ria per un’analisi che accom­pa­gni il pro­dursi degli eventi svi­sce­ran­done via via signi­fi­cati impli­citi e ripo­sti. Con la com­pren­sione del con­no­tato restau­ra­tore del governo Renzi si è colto l’essenziale e risolto al tempo stesso ogni dilemma inter­pre­ta­tivo. La cro­naca non pro­duce alcuna novità sostan­ziale e ogni ana­lisi tende fatal­mente a ripe­tere se stessa.
Sap­piamo ormai da tempo chi è que­sto pre­teso cam­pione del cam­bia­mento: l’esecutore spre­giu­di­cato – rozzo ed effi­cace, effi­cace per­ché rozzo – del pro­gramma di nor­ma­liz­za­zione neo­li­be­rale del paese; il dele­gato deter­mi­nato e zelante del capi­tale pri­vato inca­ri­cato di garan­tire l’osservanza dei det­tami dell’eurozona senza al tempo stesso mini­ma­mente inter­fe­rire nelle due più vistose pecu­lia­rità ita­liote: l’arretratezza tec­no­lo­gica e il diva­rio tra Centro-Nord e Mezzogiorno.
Il che signi­fica in sol­doni oli­gar­chia, disoc­cu­pa­zione di massa e spe­re­qua­zioni cre­scenti. Detto que­sto, quanto pur rapi­da­mente accade sem­bra inscri­versi ordi­na­ta­mente nello schema, limi­tarsi a pro­iet­tare la siste­ma­tica rea­liz­za­zione del piano. L’incalzare degli avve­ni­menti pare risol­versi in un’esibizione di sur­place, in un falso movi­mento. Susci­tando l’impressione di vivere come al ral­len­ta­tore, in una zona di sab­bie mobili. E di assi­stere, tor­pidi e impo­tenti, al pro­prio affon­da­mento in assenza di con­trad­di­zioni, di con­flitti, di quelle con­vul­sioni che in altri fran­genti accom­pa­gne­reb­bero lo svol­gersi dei pro­cessi.
È così? Si tratta di un’impressione fon­data? E se sì, come spie­garla? Azzar­diamo due ipo­tesi,
restando in dub­bio su quale rite­nere più plausibile.
La prima chiama in causa la regres­sione della poli­tica ad ammi­ni­stra­zione, corol­la­rio della scom­parsa di qual­siasi oppo­si­zione. Cioè il fon­da­mento stesso della Costi­tu­zione mate­riale della Seconda Repub­blica. La poli­tica nella moder­nità vive del con­fronto tra diverse idee di società, tra diverse cul­ture, tavole di valori e di fina­lità. C’è stata poli­tica in Ita­lia sino al tempo della Guerra fredda e fin­ché il socia­li­smo è apparso una con­creta pos­si­bi­lità, auspi­cata o ese­crata. Dac­ché si è estinta l’idea di una pos­si­bile alter­na­tiva di società, la poli­tica è tra­mon­tata. Il con­fronto verte esclu­si­va­mente su aspetti tec­nici e sulle costel­la­zioni di inte­ressi da pri­vi­le­giare o discriminare.
Così que­sta ipo­tesi spiega il ridursi, sino a dile­guare, dello spa­zio dell’analisi poli­tica. Il venir meno del con­fronto poli­tico toglie ossi­geno al lavoro ana­li­tico. Lascia soprav­vi­vere solo la cro­naca, che si dispone disci­pli­na­ta­mente nel qua­dro ege­mone, uni­voco e inva­riante. Se que­sto è vero, l’Italia di Renzi non è affatto un ine­dito. La situa­zione è que­sta, in realtà, già da 15 o 20 anni. Ciò che carat­te­rizza l’oggi è il grado di evi­denza rag­giunto dal pro­cesso, il suo imporsi final­mente come un dato di fatto acqui­sito e non controvertibile.
C’è un’altra spie­ga­zione pos­si­bile, che rove­scia radi­cal­mente la pro­spet­tiva adot­tata. Si può infatti negare che non vi sia più mate­ria per ana­lisi che nel regi­strare il pro­dursi degli avve­ni­menti e lo svol­gi­mento dei pro­cessi ne indi­vi­duino tra­sfor­ma­zioni essen­ziali. Tutto dipende, stando a quest’altra ipo­tesi, dalle cate­go­rie d’indagine. Che vanno final­mente rin­no­vate di sana pianta per­ché i muta­menti veri­fi­ca­tisi nella poli­tica glo­bale sono stati pro­fondi, tale da infi­ciare cri­teri e rife­ri­menti ormai obso­leti. In effetti non lo si può esclu­dere. Il punto è che a ben vedere que­sta seconda ipo­tesi con­verge nella prima e non fa che riba­dirla.
Se cer­chiamo di cir­co­stan­ziare le ragioni dell’inattualità dei vec­chi stru­menti di ana­lisi per muo­vere verso la costru­zione di una nuova «cas­setta di attrezzi», la prima cosa che ci tro­viamo a dover ride­fi­nire è pro­prio l’idea di poli­tica. Che si può inten­dere in tanti modi e che nulla impone di ricon­durre al tema fon­da­men­tale dell’alternativa e della trasformazione.
Non è ine­vi­ta­bile assu­mere la pola­rità politica/amministrazione come si è fatto in pre­ce­denza. Men­tre si può benis­simo con­si­de­rare poli­tica a pieno titolo anche la mate­ria del con­fronto tra demo­cra­tici e repub­bli­cani negli Stati uniti, tra labu­ri­sti e con­ser­va­tori in Gran Bre­ta­gna, tra social­de­mo­cra­tici e demo­cri­stiani in Ger­ma­nia. Que­sto dice del resto oggi il senso comune, figlio della dot­trina that­che­riana dell’inesistenza di alter­na­tive al capi­ta­li­smo. Ma in que­sto modo non si fa che rico­no­scere che si è final­mente com­piuto anche in Ita­lia un muta­mento pro­fondo – forse epo­cale – rispetto al mondo sor­tito dalle guerre mon­diali.
Che gli uni sosten­gano che la poli­tica è morta, ormai sosti­tuita dall’amministrazione, dalla tec­nica di gestione dell’esistente, e gli altri repli­chino che essa si è sol­tanto tra­sfor­mata, che al tempo della mon­dia­liz­za­zione neo­li­be­rale la poli­tica coin­cide con la gover­nance e la gover­na­men­ta­lità, poco cam­bia. Comun­que si evoca un pro­cesso di nor­ma­liz­za­zione e l’instaurarsi di una pro­spet­tiva natu­ra­li­stica che, deru­bri­cato il tema della tra­sfor­ma­zione, dismette l’attitudine com­pa­ra­tiva con altre pos­si­bi­lità siste­mi­che. Di tale muta­mento è indi­spen­sa­bile pren­dere atto se si intende pre­ser­vare un inte­resse cri­tico. Se si tratti o meno di un muta­mento irre­ver­si­bile è dif­fi­cile a dirsi. Di certo lo sarà se non se ne è nem­meno consapevoli.

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