Quanto vale la vita di un uomo? Quanto risarcimento spetta ai
famigliari di un essere umano asfaltato da un camionista mentre cammina
sul ciglio della strada, facendosi beatamente i fatti suoi? Dipende.
Se
l'essere umano che passeggia è un italiano la sua vita interrotta ha un
prezzo, che ovviamente pagherà chi l'ha ammazzato. Se però quell'essere
umano è un rumeno il prezzo che gli si appiccica sopra è ridotto circa
di un terzo. Chiaro: i rumeni sono tutti zingari, ladri, stupratori e,
quando va bene, muratori in nero che portano via il lavoro agli
italiani. Non è che la loro vita può essere equiparata a quella di un
bravo italiano che tuttalpiù è mafioso, ma tanto la mafia non esiste ed è
tutta propaganda politica.
Perché poi esistono esseri umani di
serie A (di solito caratterizzati dall'appartenere alla parte
nord-occidentale del Pianeta) ed esseri umani di serie B, ma anche C, D e
giù fino alla Z (di solito caratterizzati dall'arrivare dall'altra
parte del mondo, quella in basso e decisamente più a destra). La
classificazione dei "cristiani" sono mica io a farla, sono i giudici,
anzi un giudice. Precisamente un magistrato della Corte d'Appello di Milano che ha sentenziato sull'opportunità di risarcire i parenti di un rumeno, il signor Vasile Patru, che nel 2007 è stato ucciso a Barletta da un camionista mentre camminava sul ciglio della strada.
Ora:
premesso che già in primo grado era stata accertata la
corresponsabilità della vittima nell'incidente e, di conseguenza, il
risarcimento inizialmente richiesto dalla famiglia decurtato del 50%,
con la sentenza della Corte d'Appello a quel 50% che rimaneva è stato
tolto un ulteriore 30%. Il magistrato ha motivato la sua decisione specificando che la vita in Romania è meno cara
che in Italia e quindi ai familiari dell'uomo ammazzato, che risiedono
nel loro paese, spettava meno di quanto sarebbe toccato ai familiari di
un italiano residenti in patria.
La logica aberrante che sta alla
base di questo giudizio finirà col creare un precedente gravissimo che,
per come butta oggi qua tra giustizieri fai da te e razzisti dell'ultima
ora, rende ancora più debole la posizione già debole degli immigrati.
Perché se fino ad oggi restava almeno la certezza di fondo che una vita è
una vita, a prescindere dalla nazionalità, a questo punto una vita è
una vita ma il suo valore dipende dalle coordinate geografiche. E
importa ben poco se la vita perduta è quella di un uomo che manteneva la
sua famiglia, se aveva figli, moglie, genitori e fratelli che magari
contavano su di lui per tirare avanti: se arriva dalla parte sbagliata
del mondo la sua vita vale meno di quella di chi arriva dalla parte
giusta.
C'è così poca umanità, così poca consapevolezza, in
questa sentenza che mi domando se ad emetterla sia stato davvero un
essere umano. Uno fatto di carne e sangue come il signor Vasile. Perché
il punto è che tra quel giudice e quel pover'uomo morto non c'è
differenza. O meglio quella che c'è dipende da variabili che hanno come
comune denominatore la fortuna della nascita. Il giudice è nato in
Italia, Vasile in un paese dell'ex blocco sovietico. E francamente non
trovo giusto che la fortuna possa essere usata a danno o beneficio di
una vittima. Che le vittime, almeno loro, dovrebbero essere tutte
uguali. Ma ancora no. La loro vita vale soldi, banconote o spiccioli:
dipende. Alla fine dei conti oggi c'è una compagnia assicurativa che
guadagna sul cadavere di un uomo, un giudice che stabilisce un nuovo
tariffario della vita umana e una famiglia che viene maltrattata dal
diritto.
Mi dispiace tanto per questa famiglia, mi dispiace che
qualcuno abbia fatto capire loro che la loro pelle vale meno della mia.
Perché per me non c'è differenza: per me ogni uomo vale infinitamente di
più di tutto il denaro del mondo. Perché per me non importa da dove un
uomo arrivi, che lingua parli, che piatti si trovi in tavola quando si
siede: un uomo è un uomo e nessuna sentenza razzista, sdoganata come
legittima e corretta, potrà mai farmi cambiare idea.
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