Capita purtroppo di rado di leggere delle critiche non
faziose né infantili alle scelte operate da Tsipras in queste settimane.
Quindi, quando questo avviene, non va persa la discussione per
approfondire il dibattito. Nella fattispecie mi riferisco al post di Giacomo Russo Spena,
postato nel suo blog, che insieme a Matteo Pucciarelli è stato tra i
primi a scrivere in modo approfondito dell'avventura di Alexis Tsipras e
di Syriza.
Le critiche di Russo Spena, possono essere così
sinteticamente riassunte: Tsipras avrebbe sottovalutato i rapporti di
forza sfavorevoli alla Grecia; non ha compreso il ruolo del Pse, della
socialdemocrazia europea, riponendo quindi speranze del tutto infondate
in quest'ultima, in Hollande e persino in Renzi; non avrebbe preparato
il famoso piano B tanto reclamato da Varoufakis; ha eluso il programma
elettorale originario, quello di Salonicco; infine ha ridotto in
frantumi Syriza, costruita con tanta fatica.
Sono critiche precise
che nessuno può eludere. Non ho l'ambizione di sciogliere d'incanto
questi nodi, ma semplicemente di avanzare qualche osservazione.
L'argomentazione della sottovalutazione dei rapporti di forza e del
ruolo negativo della socialdemocrazia non può essere rovesciata su
Tsipras. Chiama in causa le responsabilità di quest'ultima. È stata
proprio la vicenda greca che ha messo a nudo la totale sottomissione
della socialdemocrazia europea, o quantomeno della parte più rilevante
della medesima, alle politiche di austerity e di inflessibilità nei
confronti della Grecia.
Si poteva dire che era proprio tutto così
anche prima? Certo a pensare male ci si prende sempre, come diceva un
celebre personaggio della prima Repubblica italiana. Ma in questo modo
si nega, o quantomeno si sottovaluta - qui sì - il peso che hanno i
processi reali sulla maturazione delle posizioni delle forze politiche.
Non si sarebbe potuto dire che Sigmar Gabriel si potesse collocare
addirittura a destra della Merkel, se il governo greco non avesse
costretto ognuno a scoprire le carte. Magra consolazione? Forse. Ma se,
come è accaduto in altre circostanze e fasi storiche, la valutazione sui
rapporti di forza sfavorevoli avesse inibito fin dall'inizio qualunque
resistenza e reazione da parte del governo greco, oggi la situazione
politica in Europa, e non solo, sarebbe molto più grigia e più piatta.
Non
si sarebbero aperte le falle vistose che oggi vediamo: il Fmi che dice
apertamente ciò che i greci hanno sempre sostenuto, ovvero che il debito
di quel paese - e non solo - non è sostenibile senza un taglio del suo
valore nominale; Olanda e Finlandia che hanno preso una posizione
finalmente non identica a quella tedesca; la stessa riapertura di un
dibattito dentro e fuori la Germania sulla intransigenza della Merkel.
A
questo va aggiunto un punto essenziale. In autunno si andrà a una
discussione sulla ristrutturazione/riduzione del debito greco. Ma la
questione non riguarda solo quest'ultimo, ma il debito sovrano dei paesi
europei nel loro complesso. Non è il remake della Conferenza di Londra
chiesta nel programma di Salonicco, ma è un punto di novità che non ci
sarebbe stato senza l'insistenza dei greci. Naturalmente la partita è
apertissima e difficilissima su questo fronte, ma, appunto, si è aperta
una nuova fase. Come sarà difficilissimo evitare che gli aspetti più
odiosi di un "accordo" in sé brutto vengano elusi. Qui c'è un'altra
novità che non deve sfuggire. Il governo greco non ha mai presentato
l'accordo come una vittoria. Non ha nascosto la sua negatività e i suoi
caratteri recessivi. Ma ha chiarito che non esiste solo il testo ma
anche il contesto, ovvero ciò che si è movimentato in Europa. E
quest'ultimo non è il quadro che i creditori presentavano prima del
referendum.
Era possibile un piano B? A parte il fatto che per
molti quello avrebbe dovuto essere il piano A (l'uscita da l'euro), ogni
piano di riserva sconta la debolezza intrinseca di non potere essere
sperimentato. Lo stesso Varoufakis ha detto che se ne è parlato, ma al
dunque non vi erano le condizioni per attuarlo. Qui non si tratta di
capire in quanto tempo di poteva stampare valuta alternativa o tornare
alla dracma - in fondo dettagli, anche se importanti - ma di come
bloccare la fuoriuscita dei capitali in tempo reale, di come indicizzare
i salari per reggere l'inevitabile rimbalzo inflazionistico, di come
salvaguardare il piccolo risparmio e altro ancora. Concordo che una
riflessione maggiore su queste tematiche avrebbe permesso al governo
greco e al gruppo dirigente di Syriza di trovarsi con una via di uscita
che non fosse cadere nelle braccia di Schauble, cioè della Grexit pura e
semplice. Ma questa è una critica che dobbiamo rivolgere in primo luogo
al complesso della sinistra antagonista europea, prigioniera di un
dibattito euro - non euro che non porta da nessuna parte. Il limite o
gli errori di Tsipras in questo campo vanno quindi molto suddivisi e
contestualizzati pur sapendo che mal comune non fa mezzo gaudio.
Proprio
la distanza fra il programma di Salonicco e la situazione attuale
motiva fortemente la scelta delle elezioni anticipate. Si tratta di
chiedere un mandato su un programma diverso, anche se non opposto, come
invece dicono gli scissionisti di Syriza e i loro estimatori. Questa
scelta porta alla frantumazione Syriza? Anche qui non sottovalutiamo le
responsabilità di chi la scissione - tutt'altro che inevitabile - la
promuove, altrimenti facciamo di Tsipras un deus ex machina in assoluto.
Qui arriviamo a un punto rimasto in ombra nella discussione.
Ovvero la decisione di andare alle elezioni anticipate doveva passare
prima attraverso un congresso di Syriza? La mia risposta è: non
necessariamente. Non solo perché la democrazia in un paese è cosa più
importante di quella in un partito. Neppure per una questione di tempi.
Ma perché è bene che Syriza si tenga fuori dalla idea, che tanto male ha
fatto nella storia del movimento operaio, del partito-stato o, nella
versione attuale, del partito-governo. Non è Syriza che prende le
decisioni per la Grecia, ma il governo eletto in libere elezioni - che
Syriza ha contribuito a vincere in modo determinante - e quando questo
non è in grado di farlo perché ritiene il suo mandato esaurito o
superato, sono ancora libere elezioni a doversi assumere la
responsabilità di tracciare la direzione per il Paese. Non è forse
questa un'applicazione concreta di quel mix tra democrazia delegata e
democrazia diretta che a livello teorico siamo in molti ad auspicare?
Quanto a Varoufakis. Ho molto apprezzato la sua recente intervista a Le Monde.
Mi pare che voglia tirarsi fuori dalla immediatezza delle vicende
greche e lavorare di più in uno scenario europeo, per creare un
movimento d'opinione che disveli i segreti di trattati capestro come il
TTIP. Da qui il suo apprezzamento della figura di Julian Assange e la
riproposizione delle ricette per superare la crisi dell'euro elaborate
da lui stesso nel 2010 assieme a Stuart Holland e James Galbraith. Meno
convincente è che tutto ciò che la Germania fa lo faccia per punire la
Francia. Mi pare che i francesi si mortifichino da soli e al di là di
qualche dichiarazione il loro allineamento alla Merkel in tutta questa
vicenda sia stata la scelta prevalente.
Ciò che ha in mente
l'elite tedesca è piuttosto quello di ridurre l'Europa a un protettorato
tedesco, rinunciando alla presenza dei paesi che non accettano questa
logica e di giocarsi così la sfida della globalizzazione. In parte già
avviene con i paesi nordici. Dove si vede che la questione della moneta
conta relativamente. La Polonia ha il suo zloty, ma è un pezzo del
sistema produttivo allargato tedesco. Uscire dall'euro, per finire in
pasto ai mercati finanziari internazionali o essere un ingranaggio
ancora più bloccato nella catena di produzione del valore tedesco non è
una grande scelta. Ma mi rendo conto che qui la discussione richiede ben
altri approfondimenti che lo spazio non concede.
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