Il governo prigioniero della trappola della “crescita senza
occupazione fissa”. Usa la leva fiscale, e fondi a pioggia, ma non
ottiene risultati. E la disoccupazione giovanile supera un nuovo,
triste, record: il 44,2%. Tutte le reazioni sui dati di giugno
Dopo lo Svimez
, anche l’Istat guasta la festa al governo. Ventiduemila occupati
in meno e cinquantacinque mila disoccupati in più a giugno, 85
mila in più dal 2014, hanno indotto ieri il presidente del Consiglio
Matteo Renzi a parlare di «piccola ripartenza» dell’occupazione.
A Renzi è stato suggerito di guardare i dati Istat che attestano la
riduzione degli inattivi, sintomo di una maggiore partecipazione
al mercato del lavoro. Una tendenza che si è strutturata
nell’ultimo anno: –0,9% (-131 mila). «C’è ancora moltissimo da fare ma
i dati sono interessanti perché quelli che vengono considerati
inattivi, che erano sfiduciati o rassegnati, tornano a crederci –
ha detto — cioè aumenta il numero di persone che ha trovato un posto
di lavoro ma anche chi lo sta cercando».
A riprova della strategia del governo,
tutta in difesa per giustificare dati da stagnazione pura
e semplice, sono arrivati anche i pensieri del responsabile
economico del Pd, Filippo Taddei, il quale sostiene che la
«crescita» (data allo 0,7%) produrrà effetti occupazionali in
autunno, «con sei mesi di ritardo». C’è qualcosa che però non funziona
nella trincea scavata dal governo sotto l’intenso
cannoneggiamento della crisi: se il tasso di inattività
diminuisce, dovrebbe diminuire allora anche quello della
disoccupazione. Invece accade il contrario, e non da ieri. Si torna
a sfiorare il record del 13% (siamo al 12,7%).
In pratica, coloro che perdono il
lavoro sono di più di quelli che lo cercano e sono tornati a
«mettersi in gioco» come direbbe Renzi. Chi invece ha trovato un
lavoro esce dalla cassa integrazione. Lo attestano i dati: tra il
2014 e il 2015 110 mila persone si trovano in questa situazione.
Taddei e il ministro del lavoro Poletti ieri lo hanno rivendicato.
Solo che c’è un grande problema: non si
tratta di nuovi posti di lavoro, quelli tanto promessi, ma sono
conversioni di quelli già esistenti, ma precari. Le imprese non
stanno creando nuovi posti di lavoro, ma si limitano ad incassare gli
sgravi fiscali elargiti dal governo. Da Palazzo Chigi si
giustificano sostenendo che arriveranno «dopo», ma si sa che la
teoria dei due tempi non funziona mai. Per avere un quadro più
attendibile, e meno ideologico, della situazione dalle parti della
maggioranza bisogna prestare ascolto ad uno degli alleati di Renzi,
per di più ex ministro del lavoro e presidente della commissione
lavoro del Senato: «Il governo – ha spiegato Maurizio Sacconi — deve
riflettere sugli impulsi prioritari alla crescita posto che gli
oltre 16 miliardi di detassazione sul lavoro hanno sortito effetti
modesti. Come insegna la ripresa spagnola, non basta la domanda
estera se non si congiunge con la rianimazione di quella interna».
Per Sacconi tale «rianimazione»
avverrà con il taglio delle tasse promesse da Renzi sugli immobili,
per pagare i quali il governo taglierà la sanità pubblica. Un
pasticcio, prodotto purissimo dell’austerità, da cui non sarà facile
uscire per l’esecutivo. Da questi discorsi, fatti arrampicandosi
sugli specchi, ieri è rimasto in un cono d’ombra il continente della
disoccupazione giovanile: al 44,2%. Dopo il fallimento del
programma di Garanzia Giovani, per il governo è ormai un tabù, tanto
è vero che non ieri non ne ha parlato. In questo caso non ci sono
«fluttuazioni dovute alla ripresa» come sostiene Poletti per la
disoccupazione generale. La tendenza è univoca: i giovani, e le
donne, under 34 sono ormai le vittime accertate della crisi. Alfredo
D’Attorre, deputato della sinistra Pd, coglie il punto: «Mai è stata
così alta – sostiene – si scrive dal 77 solo perché allora cominciano
le serie statistiche omogenee, in realtà allora la
disoccupazione giovanile era al 21,7%, oggi è al 44,2%». I giovani
sono perduti lungo la strada sognata della «crescita».
«L’Istat conferma come l’occupazione
giovanile sia instabile e di breve durata – ha sostenuto Serena
Sorrentino (Cgil) – Il Jobs Act non dà risposte, ma il governo
è ancora in tempo per modificarne radicalmente i decreti. La smetta
di finanziare a pioggia le imprese e finanzi un piano per il lavoro».
L’impotenza sui giovani e la «mal riuscita Garanzia Giovani» spinge
Guglielmo Loy (Uil) a parlare di fallimento delle politiche del
lavoro. «Non è sufficiente un incentivo per aumentare l’occupazione»
ha aggiunto Gigi Petteni della Uil. Da parte delle opposizioni
duplice è la richiesta: «reddito di cittadinanza e interventi per
il bene pubblico» (Giorgio Airaudo, Sel) e «abbandono della leva
fiscale e investimenti pubblici che trainano quelli privati.
Altrimenti il Titanic di Renzi e Poletti punterà dritto verso
l’iceberg» (Movimento 5 Stelle).
Il viaggio procede a velocità sostenuta.
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