sabato 15 agosto 2015

Le nostre parole e il mercato elettorale di Paolo Favilli




Comunicazione. L'indeterminatezza della parola "Sinistra" che consente al renzismo di rivendicarla deve spingersi a declinarla in modo nuovo: non siamo "più a sinistra", siamo "diversi". 
Ai molti aspetti para­dos­sali che con­trad­di­stin­guono la sfera poli­tica in Ita­lia, pos­siamo aggiun­gere un altro para­dosso che riguarda diret­ta­mente l’oggetto su cui Norma Ran­geri ci ha invi­tato a discu­tere. Quanto più la «sini­stra» diventa inco­no­sci­bile nelle «cose» tanto più estende i suoi con­fini nelle «parole».
A «sini­stra del Pd» si stanno aprendo vastis­simi spazi per la «sini­stra». Con for­mu­la­zioni appena un po’ dif­fe­renti, frasi di tal genere ven­gono costan­te­mente ripe­tute anche sulle colonne di que­sto gior­nale. Lo si dice ormai da tanto tempo, ma lo stato di cose pre­sente ci prova in maniera dif­fi­cil­mente con­tro­ver­ti­bile quanto grande sia la dif­fe­renza tra affer­ma­zioni desi­de­ranti e realtà effet­tuale. Comun­que non è senza inte­resse chie­dersi quale sia il modo con cui è pos­si­bile inten­dere il ter­mine «sinistra».
Pro­ba­bil­mente la mag­gio­ranza di coloro che si sen­tono impe­gnati nella costru­zione della cosid­detta «casa comune» ritiene che la «sini­stra» in fieri, quella che dovrà occu­pare gli spazi lasciati liberi dal Pd, sia la sola legit­ti­mata all’uso di quel ter­mine. Ci sono però anche coloro che pen­sano ad un sog­getto poli­tico «a sini­stra» del Pd. C’è poi il Pd che ha risco­perto il valore nella comu­ni­ca­zione (nella pro­pa­ganda cioè) di una parola dalla quale, pro­prio nel suo momento fon­dante, aveva invece teso a sot­to­li­neare la distanza. Ricor­diamo bene Vel­troni, fon­da­tore e primo segre­ta­rio, defi­nire la nuova ragione del par­tito con espres­sione di radi­cale chia­rezza. A chi gli faceva notare che ormai egli non pro­nun­ciava più «la pala­bra izquierda», rispon­deva : «Es que somos refor­mi­stas, no de izquier­das» («El País», 1/03/2008). Ora Vel­troni ha risco­perto la «parola», così come il suo crea­tivo epi­gono Renzi.
Natu­ral­mente, trat­tan­dosi di pura comunicazione/propaganda, la «parola» deve flut­tuare nell’aria, non avere alcun peso ed alcuna radice nelle «cose». Sini­stra è «cam­bia­mento», sini­stra è «fare», come diceva com­pul­si­va­mente Ber­lu­sconi, al mas­simo sini­stra è un fle­bile richiamo ai sem­pi­terni valori. Tal­mente sem­pi­terni che, pre­scin­dendo da qual­si­vo­glia dimen­sione storico-analitica dei con­creti rap­porti eco­no­mici e sociali, pos­sono andar bene per tutti.
Pro­prio per que­sto lo «sdo­ga­na­mento» (così ha tito­lato «la Repub­blica») veltron-renziano del ter­mine «sini­stra» è sem­pli­ce­mente fun­zione del mer­cato elet­to­rale. Fun­zione effi­cace peral­tro per­ché 
a) richiama una tra­di­zione di lungo periodo i cui effetti di tra­sci­na­mento non sono certo esau­riti; 
b) spo­sta il con­fronto con qual­siasi altro sog­getto che voglia defi­nirsi di sini­stra su un piano esclu­si­va­mente assiale.
La col­lo­ca­zione sulla dimen­sione assiale, essendo le deno­mi­na­zioni poli­ti­che stru­menti di bat­ta­glia, non è la con­se­guenza di una tec­nica natu­rale, ma degli esiti di lotte poli­ti­che e cul­tu­rali. Per que­sto tali col­lo­ca­zioni si ride­fi­ni­scono con­ti­nua­mente e vanno valu­tate come sin­tomi di pro­cessi in corso, del tutto esterni rispetto a qual­siasi cri­te­rio di ogget­ti­vità. È evi­dente, quindi, il van­tag­gio del Pd che, restando sul piano assiale, può com­pe­tere con un forza che si col­loca ine­vi­ta­bil­mente «più a sini­stra». E il «più a sini­stra» è il luogo di tutte le forme di «estre­mi­smo», è il luogo del «più uno».
L’espressione «quelli del più uno» veniva usata dal sin­da­cato (Fiom) e dal Pci di Piom­bino, la città-fabbrica dove è avve­nuta la mia prima for­ma­zione poli­tica. La città fab­brica dove, per un periodo non breve, la realtà della dire­zione ope­raia ha coin­ciso con le ipo­tesi for­mu­late negli scritti dei nostri clas­sici. Veniva usata nei con­fronti dei «grup­pu­scoli», che dopo ogni lotta e dopo il suc­ces­sivo accordo, e nei primi anni Set­tanta gli accordi erano sem­pre favo­re­voli ai «pro­dut­tori», ai side­rur­gici, si pre­sen­ta­vano ai can­celli della grande fab­brica insi­stendo sull’insufficienza di que­gli accordi, sulla scarsa radi­ca­lità delle lotte. Quelli del «più uno», appunto.
In un asse dove è col­lo­cata una forza di esta­blish­ment che si defi­ni­sce come «sini­stra» e così viene defi­nita dalla stra­grande mag­gio­ranza dei media, la con­tem­po­ra­nea pre­senza di una forza «più a sini­stra», indi­pen­den­te­mente dalle prassi poli­ti­che reali, fini­sce ine­vi­ta­bil­mente per ripre­sen­tare quella stessa dinamica.
Cer­ta­mente è la parola «sini­stra» ad avere assunto, ed ormai da lungo tempo, una tale inde­ter­mi­na­tezza seman­tica da per­met­tere qual­si­vo­glia scor­re­ria pro­pa­gan­di­stica. Un breve inter­vento non è la sede per discu­tere della con­ti­nuità o meno del suo uso nel pro­cesso in corso. D’altra parte quello che appare logi­ca­mente giu­sto assai spesso non lo è nei pro­cessi di realtà. Ciò che, però, dob­biamo del tutto evi­tare è qual­siasi rife­ri­mento ad un posi­zio­na­mento «più a sini­stra» del Pd.
Karl Polany ha affer­mato: «Il socia­li­smo è essen­zial­mente la ten­denza ine­rente ad una civiltà indu­striale a supe­rare il mer­cato auto­re­go­lato subor­di­nan­dolo con­sa­pe­vol­mente ad una società demo­cra­tica» (“ La grande tra­sfor­ma­zione. Le ori­gini eco­no­mi­che e poli­ti­che della nostra epoca ”, 1944). Se que­sta con­clu­sione della lunga ana­lisi di Polany, diventa il minimo comun deno­mi­na­tore di tutte le forze impe­gnate nella costru­zione della «casa comune», ecco che la col­lo­ca­zione assiale cessa di avere senso. Non si tratta di essere «più a sini­stra», bensì di fare un salto qua­li­ta­tivo, di essere «diversi».
In fondo il pro­blema della «diver­sità» è tutto qui. Il prius della diver­sità, anche quella di Ber­lin­guer, non stava nell’etica, nell’antropologia, stava in una con­ce­zione della poli­tica e degli obbiet­tivi della poli­tica.
Affer­mare una teo­ria e una prassi che ten­dono a subor­di­nare il «mer­cato auto­re­go­lato» alla società «demo­cra­tica» è com­pito che con­di­ziona tutti gli ambiti della poli­tica, tutta la sfera dei diritti ed anche la sfera dei valori. Il rife­ri­mento ai «valori», infatti, ha senso solo all’interno di una pre­cisa con­cre­tezza ana­li­tica. Frutto, cioè, di una con­si­de­ra­zione dei «valori» come dimen­sione non sepa­rata dalla con­ce­zione del rap­porto tra demo­cra­zia e forme del capi­tale indi­cato da Polany.
Tutto ciò è di sinistra?

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