Niente tiene più, pare. E i mercati freddamente registrano che in
queste condizioni non si possono programmare investimenti finanziari
affidabili. Così le borse mondiali continuano a crollare (Milano -2%, a
mezzogiorno di oggi) nonostante qualche buona notizia (un inatteso
surplus della bilancia commerciale, merito soprattutto del crollo dei
prezzi del petrolio) avesse permesso al Giappone di aprire la giornata
con un indice finalmente positivo, sia pur di poco.
Ma se niente tiene più, una buona notizia viene sommersa in un attimo dalle peggiori. E ce ne sono davvero tante. La più importante, sussurrata comunque a mezza bocca, è che il sistema bancario globale è a pezzi, più ancora di quello italiano, segnato negli ultimi mesi da “salvataggi” politicamente imbarazzanti e con un metodo (il bail in) che grida vendetta, tanto che persino il presidente della Banca d'Italia chiede “all'Europa” di ripensarlo. E velocemente.
Le principali banche europee e americane stanno male per un motivo assai diverso dal semplice aumento delle “sofferenze” provocate da prestiti alle imprese che non rientrano (la crisi ha fatto aumentare i fallimenti aziendali). I grandi istituti hanno ancora in cassaforte vagonate di titoli tossici, prodotti derivati, spazzatura varia da loro stessi – spesso – creata; centinaia o migliaia di miliardi di dollari ed euro che ad un certo punto (alla scadenza dei titoli) vengono o andranno “svalutati”, provocando passività di bilancio decisamente enormi. Basta un'occhiata a IlSole24Ore per fare due conti:
Ma se niente tiene più, una buona notizia viene sommersa in un attimo dalle peggiori. E ce ne sono davvero tante. La più importante, sussurrata comunque a mezza bocca, è che il sistema bancario globale è a pezzi, più ancora di quello italiano, segnato negli ultimi mesi da “salvataggi” politicamente imbarazzanti e con un metodo (il bail in) che grida vendetta, tanto che persino il presidente della Banca d'Italia chiede “all'Europa” di ripensarlo. E velocemente.
Le principali banche europee e americane stanno male per un motivo assai diverso dal semplice aumento delle “sofferenze” provocate da prestiti alle imprese che non rientrano (la crisi ha fatto aumentare i fallimenti aziendali). I grandi istituti hanno ancora in cassaforte vagonate di titoli tossici, prodotti derivati, spazzatura varia da loro stessi – spesso – creata; centinaia o migliaia di miliardi di dollari ed euro che ad un certo punto (alla scadenza dei titoli) vengono o andranno “svalutati”, provocando passività di bilancio decisamente enormi. Basta un'occhiata a IlSole24Ore per fare due conti:
"Deutsche Bank aveva a fine 2014
ben 31 miliardi di titoli non valutabili dal mercato. Possono valere
100, 50, 30 nessuno lo sa. Sono però la metà dell'intero capitale della
banca. Per Barclays (61 miliardi di sterline) i titoli illiquidi sono
addirittura l'80% del patrimonio. Per Bnp Paribas nel 2014 “valevano” il
39% dell' intero capitale della banca. Per Commerbank i titoli senza
prezzo sono iscritti a bilancio per un valore che equivale al 24% del
patrimonio. Per il Credit Suisse quegli oltre 20 miliardi di attività
illiquide erano nel 2014 il 79% del capitale."
Neanche anni di
politiche monetarie non convenzionali della Federal Reserve o della Bce
sono state sufficienti a ripulire questa cloaca infinita. Migliaia di
miliardi stampati di corsa hanno un po' ridotto la quantità di titoli
fetidi in circolazione (trasferendoli sui conti delle banche centrali
stesse), ma non abbastanza da creare aria nuova. Questo è dunque quanto
basta per fare delle banche un bersaglio privilegiato delle vendite
azionarie. Il che spiega anche la maggiore sensibilità della piazza
italiana (in cui il 40% della capitalizzazione è rappresentata da
istituti di credito) alle oscillazioni del mercato.
Pesa l'incertezza normativa, per cui l'Unione Europea ritiene di dover bacchettare l'Italia se prevede una “garanzia” pubblica indiretta sui crediti deteriorati di alcune banche, ma non ha nulla da dire se Royal Bank of Scotland, protagonista in negativo della crisi post 2008, è di fatto una banca pubblica, nazionalizzata per evitarne il fallimento. E la stessa cosa è avvenuta per la spagnola Bankia, per molte banche francesi e tedesche (Commerzbank, per dirne una, ma anche tutto il sistema delle Landesbanken, l'equivalente tedesco delle nostre banchette di provincia).
Ma se le regole sono elastiche a seconda di chi deve rispettarle, non c'è un sistema di regole, soltanto arbitrio. Quindi vendette, sotterfugi, inganni e – per i popoli ridotti a mandria spaventata – propaganda. Un si salvi chi può che travolge tutto e tutti, bastonando per primi i correntisti o gli obbligazionisti “obbligati”, stile Banca Etruria, quelli che “non hanno sufficiente cultura finanziaria” o almeno un membro del cda che li avverta in tempo prima del crollo.
Il segno certo è dato dal prezzo dell'oro, salito del 10% da inizio anno e del 5% soltanto la settimana scorsa. Bene rifugio per eccellenza, misura di tutte le angosce, ben più del dollaro o di altre forme “forti” di liquidità difensiva.
Ma fornisce la stessa lettura anche l'aumento dello spread per i paesi Piigs europei, anche se hanno fatto tutti i “compiti a casa”.
E infine torna in campo la “questione greca”. In una forma assolutamente prevedibile, ossia l'incertezza tutta politica sulla tenuta del governo Tsipras, diventato il governo della Troika dopo il cedimento del leader (a dispetto del referendum appena vinto), il licenziamento di Varoufakis e la scissione di Syriza.
Atene è di nuovo teatro di scioperi, manifestazioni e scontri. Le cause? Le stesse che hanno travolto prima il “socialista” Papandreou e poi il conservatore Samaras: l'obbedienza ai diktat della Troika. Che oggi si concretizzano nella vendita delle ferrovie (Usa e Cina in gara per l'acquisto), una riforma delle pensioni che abbassa sia il livello massimo (da 2.700 a 2.300 euro) sia l'assegno minimo (384 euro, per chi ha almeno 15 anni di contributi). Ma anche la vendita all'asta degli immobili ipotecati (i cui proprietari non sono più riusciti a pagare le rate del mutuo), pretesa dalla Troika come conditio sine qua non per il varo effettivo del “piano di aiuti” da 86 miliardi di euro, concesso dopo la capitolazione di luglio. Per non dire del problema dei profughi che ormai arrivano quasi soltanto in Grecia, via Turchia, e che Bruxelles vorrebbe fossero tutti schedati e identificati con certezza oppure tenuti lì dove arrivano: in Grecia, appunto.
Tutte misure che hanno moltiplicato la conflittualità sociale e dunque anche “turbato” la stabilità di una maggioranza governativa che si regge su due soli voti di scarto, riproponendo per l'ennesima volta lo stesso copione: un governo che obbedisce agli ordini – austerità forever – è destinato a morte sicura, tanto quanto un governo che si proponesse di “disobbedire” senza aver messo in conto la possibilità di dover decisamente uscire dalla Ue e dall'euro.
Niente tiene più, su nulla si può chiedere di avere “fiducia”. Un clima ideale, per le avventure belliche di chi pensa di risolver tutto mostrandosi “decisionisti”.
Pesa l'incertezza normativa, per cui l'Unione Europea ritiene di dover bacchettare l'Italia se prevede una “garanzia” pubblica indiretta sui crediti deteriorati di alcune banche, ma non ha nulla da dire se Royal Bank of Scotland, protagonista in negativo della crisi post 2008, è di fatto una banca pubblica, nazionalizzata per evitarne il fallimento. E la stessa cosa è avvenuta per la spagnola Bankia, per molte banche francesi e tedesche (Commerzbank, per dirne una, ma anche tutto il sistema delle Landesbanken, l'equivalente tedesco delle nostre banchette di provincia).
Ma se le regole sono elastiche a seconda di chi deve rispettarle, non c'è un sistema di regole, soltanto arbitrio. Quindi vendette, sotterfugi, inganni e – per i popoli ridotti a mandria spaventata – propaganda. Un si salvi chi può che travolge tutto e tutti, bastonando per primi i correntisti o gli obbligazionisti “obbligati”, stile Banca Etruria, quelli che “non hanno sufficiente cultura finanziaria” o almeno un membro del cda che li avverta in tempo prima del crollo.
Il segno certo è dato dal prezzo dell'oro, salito del 10% da inizio anno e del 5% soltanto la settimana scorsa. Bene rifugio per eccellenza, misura di tutte le angosce, ben più del dollaro o di altre forme “forti” di liquidità difensiva.
Ma fornisce la stessa lettura anche l'aumento dello spread per i paesi Piigs europei, anche se hanno fatto tutti i “compiti a casa”.
E infine torna in campo la “questione greca”. In una forma assolutamente prevedibile, ossia l'incertezza tutta politica sulla tenuta del governo Tsipras, diventato il governo della Troika dopo il cedimento del leader (a dispetto del referendum appena vinto), il licenziamento di Varoufakis e la scissione di Syriza.
Atene è di nuovo teatro di scioperi, manifestazioni e scontri. Le cause? Le stesse che hanno travolto prima il “socialista” Papandreou e poi il conservatore Samaras: l'obbedienza ai diktat della Troika. Che oggi si concretizzano nella vendita delle ferrovie (Usa e Cina in gara per l'acquisto), una riforma delle pensioni che abbassa sia il livello massimo (da 2.700 a 2.300 euro) sia l'assegno minimo (384 euro, per chi ha almeno 15 anni di contributi). Ma anche la vendita all'asta degli immobili ipotecati (i cui proprietari non sono più riusciti a pagare le rate del mutuo), pretesa dalla Troika come conditio sine qua non per il varo effettivo del “piano di aiuti” da 86 miliardi di euro, concesso dopo la capitolazione di luglio. Per non dire del problema dei profughi che ormai arrivano quasi soltanto in Grecia, via Turchia, e che Bruxelles vorrebbe fossero tutti schedati e identificati con certezza oppure tenuti lì dove arrivano: in Grecia, appunto.
Tutte misure che hanno moltiplicato la conflittualità sociale e dunque anche “turbato” la stabilità di una maggioranza governativa che si regge su due soli voti di scarto, riproponendo per l'ennesima volta lo stesso copione: un governo che obbedisce agli ordini – austerità forever – è destinato a morte sicura, tanto quanto un governo che si proponesse di “disobbedire” senza aver messo in conto la possibilità di dover decisamente uscire dalla Ue e dall'euro.
Niente tiene più, su nulla si può chiedere di avere “fiducia”. Un clima ideale, per le avventure belliche di chi pensa di risolver tutto mostrandosi “decisionisti”.
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