domenica 14 febbraio 2016

W le tasse. La sola ricchezza dei poveri di Maurizio Scarpa

W le tasse.  La sola ricchezza dei poveri
Se vogliamo usare una terminologia “politicamente corretta” dovremmo affermare che vi è una egemonia culturale di destra anche tra i lavoratori. Se fossimo in un bar, potremmo dire che si sono semplicemente rincoglioniti.
Fra i tanti temi per i quali anche la nostra gente parla con il cervello del padrone (immigrati, ecc.) quello più frequente e radicato è l’argomento “tasse”. Purtroppo anche a sinistra, spesso, si cavalcano luoghi comuni urlando “meno tasse”. Poi, per dare un tocco rivoluzionario si aggiunge “per il lavoro dipendente ed i pensionati”. Nel contempo ci si dichiara paladini della difesa dello stato sociale, una evidente e palese contraddizione, dato che lo stato sociale si finanzia con le tasse.
Dopo questa lunga premessa, arriviamo al cuore di questa mia riflessione che si può riassumere in questo concetto “le tasse sono l’unico strumento di redistribuzione della ricchezza possibile nella società capitalista”. Non a caso, il cavallo di battaglia di tutte le destre, politiche e sociali, è “meno tasse per tutti”, che tradotto significa “ognuno viva col proprio reddito”, nessuna solidarietà sociale. Qui viene il vero scontro inconciliabile tra i lavoratori ed il loro padrone. In termini forbiti è la contraddizione capitale-lavoro che si supererà solo quando chi lavora si riappropria dei mezzi di produzione.
Il nostro sistema economico è fondato sul furto, rappresentato dall’appropriazione indebita che i padroni fanno di gran parte del nostro lavoro e quindi della ricchezza prodotta da esso prodotta. Uno slogan molto in voga contro le tasse è che lavoriamo sino a giugno per pagarle. Beh! Ricordiamo a lorsignori che mediamente i lavoratori, se va bene, ricevono il 10% della ricchezza che producono, il cosiddetto costo del lavoro. Quindi, lavorano un’ora per sé e 9 ore per gli altri. Infatti, grazie al tuo lavoro, il padrone non solo si prende il profitto, ma si paga la infrastruttura, gli investimenti, il proprio sistema politico ed economico che sorregge il suo potere. Con il tuo lavoro si paga gli immobili, si paga le macchine per produrre, i capi per controllarti e poi dice che gli investimenti sono suoi e che è giusto che a lui vada il compenso maggiore.
In attesa del socialismo, non possiamo che lottare perché una parte della ricchezza che produciamo e che ci viene espropriata dal padrone, ci venga restituita attraverso il maggior numero di servizi pubblici gratuiti. Infatti, il reddito di un lavoratore ha tre fonti di entrate: il salario diretto, il salario indiretto o sociale, il salario differito.
Il salario diretto ovviamente è lo stipendio. Quello indiretto sono l’istruzione, la sanità, i servizi sociali, ecc. che, quando sono gratuiti, danno più potere all’entrata salariale. Infine vi è il salario differito, cioè la pensione che null’altro è che un accantonamento, od in altre parole, un risparmio forzoso perché imposto dallo Stato che andrò a riprendermi negli anni della vecchiaia.
I padroni sono riusciti a far passare nel pensiero comune che i contributi previdenziali sono tasse. Balle! Sono soldi nostri che mettiamo “in banca” per riprenderceli al termine della vita lavorativa (con il sistema contributivo questo è anche matematicamente vero). I padroni conoscono così bene questi tre pilastri del reddito che non perdono occasione per attaccarli. Sono quarant’anni che FMI prima, BCE dopo, ogni giorno escono con un comunicato che dice che per rilanciare la (loro) economia, occorre tagliare il costo del lavoro, privatizzare i beni e servizi pubblici, tagliare le pensioni. Come si vede, sono esattamente sotto mentite spoglie il salario diretto, indiretto, differito. In un solo concetto “tagliare la nostra qualità della vita a loro favore”. Ciò spiega perché l’1% della popolazione detiene metà della ricchezza mondiale.
Tutto ciò premesso, è demenziale chiedere il taglio delle tasse. Le tasse vanno mantenute, aumentando la pressione fiscale sulle ricchezze che creano disuguaglianze sociali e povertà. Il lavoro dipendente deve fare la sua parte non chiedendone la diminuzione, ma chiedendo la redistribuzione della ricchezza attraverso l’accesso gratuito ed universale a tutti i servizi indispensabili al benessere dell’essere umano.
Al contrario, l’aumento dei tickets sanitari, quello del trasporto pubblico, il pagamento della scuola e dei servizi socio-assistenziali valgono dieci volte sul reddito di una famiglia di qualsiasi aumento contrattuale. La battaglia che dobbiamo condurre è impedire che i soldi pubblici ritornino ancora una volta nelle tasche dei padroni attraverso i finanziamenti al capitale finanziario, al capitale improduttivo, alla corruzione, ai politici asserviti. Compito non facile. Ma anche la lotta alla corruzione non si risolve dicendo “meno tasse per tutti”.
La privatizzazione dei servizi propugnata da alcuni paladini dell’onestà in politica, non fa nient’altro che legalizzare l’illegalità. Ciò che prima si chiamava tangente, dopo diviene legalmente profitto, con la differenza che l’accesso ai servizi non sarà più un diritto, ma selezionato in base al censo.
Le tasse sono la ricchezza dei poveri. Teniamocele, solo se esistono si può lottare per riprendersele.
Come tante altri temi accanto alla battaglia politica dobbiamo porre una rivoluzione culturale.
Prima comprendiamo come stanno effettivamente le cose, più velocemente smetteremo di dare ragione al padrone.

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