Da Moratti a Moratti: alla fine il bilancio della giunta Pisapia è
questo. Pisapia era stato eletto sindaco nel maggio del 2011 sull’onda
di una mobilitazione culminata nella vittoria dei referendum contro la
privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali e contro il
nucleare. La sua elezione poneva fine a venti anni di potere della
destra e altrettanti di dominio craxiano ed era stata sostenuta da una
straordinaria partecipazione di base alla campagna elettorale: comitati
per Pisapia (poi comitati per Milano, ma subito rinsecchiti) in tutti i
quartieri della città, intellighenzia (quel che ne resta), creativi,
borghesia d’antan, parrocchie e persino centri sociali. Poi,
contestualmente a quella dei referendum abrogativi nazionali, la
vittoria in cinque referendum consultivi cittadini. I quesiti di quei
referendum e la loro articolazione non erano un piano di governo della
città, ma ne fornivano importanti indirizzi, peraltro in linea con il
programma della candidatura di Pisapia. Nessuno degli impegni previsti
da quella consultazione ha trovato attuazione.
Si può capire, per
il costo dell’intervento, che non sia stato realizzato il ripristino
della rete dei navigli – limitandosi alla riapertura della darsena –
anche se ben 40 milioni sono stati sprecati nel progetto delle nuove
“vie d’acqua”, che avrebbero dovuto portare in barca all’expò i
visitatori; ma che, strada facendo, si sono trasformate in una fogna per
raccogliere gli scoli dei suoi padiglioni. Ma un referendum chiedeva il
potenziamento drastico del trasporto pubblico e la riduzione drastica
del traffico privato; interventi non riducibili alla decantata areaC,
che poco ha innovato rispetto all’ecopass già introdotto dalla Moratti.
Così oggi, giunti al termine della sindacatura, Milano è una delle città
più inquinate, malsane e irrespirabili d’Europa. Certo il problema
dell’aria di Milano non si risolve a livello cittadino o metropolitano.
Ma l’iniziativa del Comune di Milano verso altri Comuni della pianura
Padana – un’iniziativa che poteva sostanziarsi solo mostrando con i
fatti che a Milano le cose si fanno – è stata nulla.
Idem per
l’oggetto del secondo referendum, la piantumazione della città. Oggi
centinaia di alberi sani, ultimo residuo polmone della città, vengono
tagliati per far posto ai cantieri della linea 5 del metrò. Sul quesito
su risparmio energetico e fonti rinnovabili la giunta ha dato il peggio
di sé, portando a termine la privatizzazione-finanziarizzazione di A2A e
insediando ai suoi vertici uomini e donne che hanno continuato a
dissipare le finanze di una delle ex municipalizzate più indebitate
d’Italia con progetti folli come la centrale a carbone in Montenegro o
l’assorbimento in A2A della gestione dei rifiuti, per aumentarne la
quota da incenerire.
Grottesco è l’esito del terzo referendum:
“conservare il futuro parco dell’area expò”. Quel parco è semplicemente
sparito, sostituito da una “piastra” di cemento di un chilometro
quadrato gettata su aree a destinazione agricola, in parte inquinate e
malamente bonificate. Tutto ciò sarebbe forse giustificabile se gli
obiettivi dei referendum fossero stati sacrificati a interventi di
sostegno ai servizi sociali, alla riqualificazione delle periferie, alla
soluzione dei problemi abitativi. Ma non è così. Ad oggi il Comune ha
ancora 9mila alloggi vuoti che non assegna perché non li ha
riqualificati e ha aspettato tre anni, e l’arresto per mafia
dell’assessore regionale Zambetti, per sottrarre alla Regione la
gestione delle proprie case. In compenso si è impegnato in misura
crescente nello sgombero di centri sociali e occupazioni di case.
Che cosa ha prodotto quel cambio di rotta? Il profilo morale o
intellettuale di Pisapia non è in discussione. Che però, due giorni dopo
il suo insediamento è volato a Parigi, nella sede del Bie (Bureau
Internationale de l’Exposition), per impegnarsi nella realizzazione di
expò secondo il percorso avvelenato messo a punto dalla Moratti. Un
percorso che abbandonava il progetto, già di per sé assurdo, di un orto
da piantare sui terreni inquinati di Pero (per mostrare al mondo come
“nutrire il pianeta” Milano disponeva del più vasto parco agricolo
d’Europa da riconvertire a un’agricoltura sostenibile), per dedicarsi
alla cementificazione del sito e alla speculazione edilizia in programma
per il dopo expò (intento fallito per il successivo crollo del mercato
edilizio).
Da allora tutte le energie della giunta sono state
incanalate prima a rimettere e poi a tenere in piedi expò, peraltro
partito male e in ritardo perché i primi anni erano stati interamente
dedicati – e si capisce il perché – alla spartizione degli incarichi.
Che cosa abbia significato expò è chiaro da sempre a chi lo vuol vedere e
oscuro per sempre a chi non vuol capire. Cemento e asfalto (anche a
chilometri di distanza dal sito, e senza alcun collegamento con esso),
opere inutili come le famigerate vie d’acqua, corruzione sistematica
(arresti a go-go), infiltrazioni mafiose, deroghe alla normativa sul
lavoro, lavoro nero, lavoro gratuito (expò è stato di fatto il
laboratorio del Jobs-act), debiti, compresi quelli che devono ancora
emergere e che Sala ha accuratamente nascosto nel non-bilancio che ha
presentato, che graveranno sul Comune per anni. Poi, trionfo delle
multinazionali del cibo spazzatura ed esibizione incontinente di spreco:
decine e decine di padiglioni e scenografie costose destinate alla
discarica dopo pochi mesi: uno schiaffo alla miseria e ai senza casa. Le
previsioni mirabolanti (della Bocconi) sui posti di lavoro si sono
rivelati un bluff se non una truffa; quelle sugli incassi dei
commercianti idem; anche perché, per riempire il sito, expò ha
inaugurato una movida interna serale che ha rubato loro tutti i clienti.
Per un anno e più Milano è stato expò e niente altro che expò. Il
“modello Milano” – che nessuno ha mai spiegato che cosa sia – era la
gestione di expò. E di conseguenza il governo di Milano era nelle mani
dell’amministratore delegato di expò: l’uomo di fiducia della Moratti e
del suo clan. Non un “manager”, ma uno scemo che non si è accorto di
niente; oppure il più mariuolo di tutti, che è riuscito a sfangarla.
Comunque sia, nessuno stupore se alla fine della sindacatura Pisapia,
quell’uomo sia venuto a prendere ufficialmente possesso del suo vero
ruolo: e con l’investitura del Pd. Contenderà quel posto a Stefano
Parisi, l’uomo di fiducia di Albertini, il sindaco che aveva sgovernato
Milano prima della Moratti. Non resta che l’imbarazzo della scelta.
C’è un’alternativa a questo scempio? No, non c’è. Perché tutto si
svolge ormai all’interno del cerchio magico dell’expò. I due candidati
che hanno conteso a Sala la nomina nelle primarie del Pd – uno forte
dell’impegno profuso senza soldi e senza mezzi nel sostegno alle
situazioni di maggiore emarginazione della città e soprattutto agli
80mila profughi transitati per Milano verso più appetibili destinazioni
europee; l’altra, una figura senza storia, chiamata per far entrare il
bilancio della Città nella gabbia del patto di stabilità, quando Milano
avrebbe invece dovuto mettersi alla testa della sua contestazione, e poi
imposta dal sindaco in carica per far perdere Majorino e far vincere
Sala – non hanno provato nemmeno a sottrarsi a quella stretta: expò e il
suo successo di cartapesta traccia per tutti la strada da seguire nella
prossima sindacatura. Ma non c’è spazio nemmeno per un’alternativa al
Pd. Perché quell’alternativa andava costruita negli anni della
preparazione e della gestione dell’expò e si è fatto di tutto per non
farla emergere. È stato correttamente tentata su singoli temi, come
l’ipocrisia di far nutrire il pianeta dalle multinazionali. Ma non si è
voluto denunciare il “modello Milano” così come si andava delineando:
trionfo della società dello spettacolo e, dietro di esso, varo di un
nuovo assetto urbanistico e di un nuovo ruolo del governo della città al
servizio degli affari e a discapito degli abitanti. Quante cose si
potevano fare, e non sono state fatte, con il denaro sprecato nell’expo…
E non solo per Milano, ma anche per mostrare che il governo di una
città può imboccare la strada della sostenibilità sociale e ambientale.
Adesso bisogna ricominciare da capo.
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