L'esplosione della maggioranza di centrodestra monopolizza per intero l'attenzione politica. In attesa di sapere se e quando si voterà è tutto un discutere di scadenze, alleanze, compravendite, primarie… Silenzio di tomba, invece, sui movimenti tellurici che stanno rovesciando le piccole certezze della vita di ognuno e gli equilibri sociali.Due eventi hanno cambiato il quadro politico e sociale nelle ultime settimane. Il primo è la centralizzazione delle politiche di bilancio nazionali dei 27 paesi dell'Unione europea, decisa in via definitiva al vertice Ecofin di lunedì e martedì scorsi.E' stato cioè creato "un nuovo luogo politico" che si prende il principale potere di uno stato: il controllo delle risorse finanziarie pubbliche. Un "luogo" sottratto ad ogni controllo democratico (i membri della Commissione sono nominati dai singoli governi), politicamente irresponsabile ma ampiamente avvicinabile dalle lobby finanziarie o industriali. Qui vengono fissati i paletti della politica economica dei prossimi dieci anni, costringendo qualsiasi governo nazionale dentro una gabbia molto stretta. Su questo ci dovrebbe essere una discussione molto seria a sinistra. Ma non ce n'è traccia.Intendiamoci. Un continente dotato di moneta comune ed economie interconnesse deve avere una politica economica comune. Ma questo "programma di convergenza" disegna invece un'Europa più divisa, che gerarchizza i vari paesi sulla base di "criteri" con un solo obiettivo: "programmare le riforme nazionali" per aumentarne la competitività, puntando a ridurre il deficit (esploso ovunque per "salvare le banche") mediante la compressione della spesa pubblica "improduttiva". A partire dalla spesa sociale.Non basta. Per vincolare meglio i vari stati è stata fissata una procedura sanzionatoria semiautomatica. In pratica, a chi "sfora" saranno ridotti i fondi europei per le aree sottoutilizzate (Fas). All'interno di ogni paese verrà accentuata la divaricazione tra aree sviluppate e aree depresse: una nuova guerra tra i poveri. Non a caso Tremonti l'ha definita, con soddisfazione, "un cambiamento costituzionale".Ma come può un paese a innovazione zero, come l'Italia, recuperare "competitività" nei confronti di concorrenti con salari monetari molto più bassi e una struttura dei diritti dei lavoratori praticamente inesistente?Una risposta senza equivoci è arrivata ieri dalla Bce: adottando misure per "assicurare che il processo di contrattazione dei salari ne consenta il flessibile e appropriato adeguamento alle condizioni di disoccupazione e alle perdite di competitività". Tradotto: vanno abbassati, e anche di molto.Si tratta di un passaggio storico chiarissimo, fin qui costruito con il contributo paritetico dei governi di centrodestra e di centrosinistra. E' la "cultura della povertà" che deve sostituire quella dei "diritti acquisiti". Marchionne si è infilato in questa congiuntura giocando d'anticipo, indicando la via a un mondo imprenditoriale ormai nel panico (sempre ieri l'Ocse ha stimato per il nostro paese una caduta del Pil dello 0,3% nel terzo trimestre). La disdetta del contratto nazionale dei metalmeccanici punta a ridisegnare tutto il sistema delle relazioni industriali sul "modello Pomigliano". Anche qui, dunque, "un cambiamento costituzionale" imposto con la forza: cancellazione della contrattazione collettiva nazionale e quindi del sindacato "vero", divieto di sciopero, compressione dei salari, aumento di intensità e durata del lavoro. Ognuno deve essere messo nella condizione di doversi presentare, cappello in mano e testa bassa, a elemosinare un lavoro purchessia. In questa stessa direzione va il "collegato lavoro" del governo Berlusconi - contro cui abbiamo fatto lo sciopero della fame nei mesi scorsi - che andrà all'approvazione definitiva la prossima settimana. Una legge che sposta radicalmente i rapporti di lavoro a favore delle imprese, limitando fortemente sia le tutele del singolo che la possibilità di intervento della magistratura. Fino a modificare radicalmente i processi di lavoro, a partire dai "licenziamenti per giusta causa".Davanti a questa aggressione diventa decisiva la costruzione rapida della resistenza sociale, che è diffusa ovunque ma fatica a concentrarsi in un movimento politicamente rilevante. Per questo va colta l'occasione della manifestazione nazionale del 16 ottobre, proclamata dalla Fiom Cgil, preparandola fin d'ora in tutte le realtà territoriali. Vanno costituiti ovunque comitati che mettano a punto tutti gli aspetti politici e organizzativi. Non bisogna più aspettare. Già lunedì mattina, alla riapertura delle scuole, saremo davanti agli istituti insieme al personale precario che rischia il licenziamento e a quello di ruolo alle prese con il sovraffollamento. E altrettanto faremo sabato 18, nella giornata di mobilitazione contro il "collegato lavoro". Il 16 ottobre va costruito ogni giorno, perché deve diventare il punto di partenza di un rinnovato movimento per "il lavoro bene comune". Senza se e senza ma.
Paolo Ferrero,
Segretario PRC
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