Il segretario della Filctem Cgil Morselli sul Corriere della Sera rivendica il suo accordo, nel contratto nazionale dei chimici, che ha aperto la via alle deroghe contrattuali. Egli spiega che esso è diverso da quello di Pomigliano, perché per i chimici le deroghe sarebbero temporanee. Bisogna proprio dire che c'è chi non impara nulla dalla realtà. Ci si attendeva che il segretario dei chimici della Cgil, di fronte a come viene usata e minacciata la deroga al contratto nazionale dalla Fiat, dai padroni metalmeccanici, dalla Confindustria, facesse una dichiarazione di buon senso. Dicesse, cioè: «Signori abbiamo concordato una cosa che è diventata un attacco generale ai diritti dei lavoratori, non volevo, non ci sto più». Invece persevera nell'errore, e purtroppo non è il solo. In Italia i dati economici stanno mostrando che la ripresa non c'è. L'unica ripresa in atto davvero è quella dell'attacco frontale al salario e ai diritti dei lavoratori. E come sempre negli ultimi trent'anni questo attacco si nasconde sotto due parole magiche: patto sociale. Vuole il patto sociale la Confindustria, naturalmente visti i guadagni che spera di ottenere con esso. Vuole il patto sociale il governo, che così un'altra volta si chiama fuori dal compito di definire una politica economica, e può divertirsi a insultare la Fiom e la Cgil. Vuole il patto sociale la Cisl, che ne ha appena firmato uno, ma evidentemente non è mai contenta e pensa che continuare a riscrivere e peggiorare lo stesso accordo è un modo di esistere. Vuole il patto sociale, pare di capire, una parte rilevante del partito democratico, da Damiano a D'Antoni. E qui francamente rinunciamo a capire, perché dovremmo entrare in analisi psicologiche che riguardano il masochismo e la voglia di farsi male.In Italia le parole patto sociale hanno coperto nel passato, e coprono ancor più oggi una politica brutalmente classista che taglia i salari e i diritti dei lavoratori e che lascia libere di fare quel che vogliono le imprese con il loro sistema. Il patto sociale è un puro e semplice imbroglio. Per affrontare la crisi italiana ci vorrebbero giustizia, uguaglianza, intervento pubblico. Invece si pensa di affrontare tutto con la distruzione del contratto nazionale, partita con l'attacco alla Fiat. La presidente della Confindustria vuole legare i salari alla produttività e dimentica che la Fiat ha cancellato quest'anno proprio il premio di produttività.O meglio non lo dimentica affatto perché oggi legare i salari alla produttività vuol solo dire ridurre le retribuzioni. E' l'Italia di sempre, quella dei poteri e delle caste che comandano e non vogliono cambiare niente, quella che vuole il patto sociale. Come ha scritto il professor Luciano Gallino ci sarebbe invece bisogno di un ritorno del conflitto sociale e della tanta vituperata lotta di classe. Per conquistare diritti e salari uguali per tutti e costringere così le imprese a competere sulla qualità e sulla tecnologia invece che sui salari e sullo sfruttamento dei lavoratori. Con il patto sociale è tornato di moda il modello tedesco. Naturalmente questo non vuol dire che i salari italiani dovranno essere pari a quelli tedeschi, superiori del 40%. Né che gli orari di lavoro dovranno ridursi fino alle 35 ore settimanali dei metalmeccanici di Germania. Né che nelle imprese il sindacato dei lavoratori abbia potere di veto sulle scelte strategiche. Né tanto meno che lo Stato intervenga per fermare le delocalizzazioni o addirittura garantire la proprietà pubblica delle imprese. Tutto questo che c'è in Germania da noi non è importabile, l'unica cosa che invece si vuol portare qui è la "collaborazione". L'idea del patto sociale, è la solita vecchia minestra riscaldata della politica reazionaria. Si chiede la collaborazione ai lavoratori cosicché gli industriali e i ricchi possano continuare a fare tutto quello che vogliono.La verità è che in Italia non solo c'è bisogno di lottare contro Berlusconi e la sua politica, ma bisogna cominciare davvero a contrastare la politica altrettanto conservatrice e antisociale della Confindustria. La disdetta da parte della Federmeccanica del contratto nazionale deve essere considerata una dichiarazione di guerra a tutto il mondo del lavoro e alle sue stesse garanzie costituzionali. Ma proprio qui invece è mancata finora l'iniziativa della maggioranza della sinistra e della stessa Cgil. Sotto sotto si pensa che si possa mandar via Berlusconi alleandosi con Marchionne. E' un'idea priva di contatto con la realtà e che porta solo al suicidio di chi a sinistra la pratica. Se si vuole davvero affrontare la crisi economica bisogna costruire un'alternativa di fondo e la prima cosa da fare è abbandonare i discorsi vecchi e inutili di chi pensa di continuare ad offrire disponibilità ad un sistema delle imprese che non è disposto a concedere nulla.
di Giorgio Cremaschisu Liberazione del 11/09/2010
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