#Cambiaverso è un tormentone azzeccatissimo. Dentro a quella parola ci sta proprio tutto. Ci sta il vicesindaco Dario Nardella,
l’erede sindaco di Firenze designato da Matteo Renzi e planato (guai a
chiamarlo “paracadutato”) di nuovo in città. Il fedele renziano ha
voluto le primarie, annunciate tra un taglio del nastro e un’ospitata in
tv, sperando di essere avvertito agli occhi dell’opinione pubblica come
legittimato alla successione. Poco importa se, a differenza di ciò che
accade in altri Comuni toscani, a Firenze le fa solo il Pd.
E se a sfidare Nardella ci sono due candidati non troppo aggressivi, e
sconosciuti, o quasi, all’opinione pubblica. Vuoi mettere una sera sì e
una no un Nardella in tv contro un lanciatissimo Iacopo Ghelli e un combattivo Alessandro Lo Presti divisi tra un volantinaggio e una cena al circolo?
Il
risultato appare scontato ma Nardella si dà un gran da fare. Dopotutto
le primarie sono un’occasione per partire in vantaggio con la campagna
elettorale. Così arrivano le promesse. “Tramvia, linea 2 entro il 2019”,
ha annunciato il vicesindaco con l’ex rivale di Renzi, il presidente
della Regione Enrico Rossi. Lo ha fatto proprio come
aveva promesso, in tandem col rottamatore, anni addietro: “Tramvia,
linea 2 entro il 2014”. Con un sempre efficace: “Ci metto la faccia”.
Con tutti i ritardi che ci sono, 5 anni più o meno che vuoi che siano.
Ora le cose sono diverse, si #cambiaverso. C’è da fidarsi.
C’è da credere anche a Rossi, che stamani ha scritto su Facebook
che il rottamatore deve essere sostenuto da tutto il Pd perché sta
facendo cose “di sinistra”. Da quando il boy scout è diventato
presidente del Consiglio, il governatore, forse per non restare al palo,
ha cambiato verso. Ma è lo stesso Rossi che il 30 aprile 2010 si scagliava contro Renzi per l’apertura, il primo maggio, degli esercizi commerciali? “Per me è un giorno per riflettere sui valori, non per fare shopping” disse allora. E il 2 novembre 2011, della Leopolda di Renzi
pensava che venisse “riproposto proprio ciò che è all’origine della
crisi (…) Sul banco degli imputati non può finire la sinistra, ma i
cedimenti che ha avuto verso quel liberismo”.
Il 18 ottobre 2012 lo invitò perfino a riflettere sulla sua permanenza nel partito.
“Il culmine Renzi – dichiarò Rossi – lo ha raggiunto all’indomani
dell’assemblea nazionale che gli ha concesso la deroga ad personam per
partecipare alle primarie, dichiarando che se vince cambia tutti i
dirigenti. Siamo di nuovo ad un uomo solo al comando. Ma se questo Pd
gli suscita tanta avversione perché non cambia partito?”. Il partito non
l’ha lasciato. Anzi. E Rossi pare abbia optato per rottamare le sue
idee. E’ lontano quel 23 ottobre 2012 in cui insinuava che il politico
di Rignano volesse “vincere a tutti i costi, anche con gli elettori del
centrodestra in incognito”, ricorrendo “contro il suo partito, come se
fosse un esterno o un estraneo”. Altro che estraneo.
Adesso quel sindaco gli è molto familiare, anche se a Radio24 l’11 marzo 2013
Rossi ha detto che “sarebbe giusto contribuisse un po’ di più
all’interno del partito invece di lucrare sulla sua posizione per cui
pur stando nel partito canta da fuori”. Adesso quel sindaco è l’uomo per cui è valsa la pena di rivoluzionare la Giunta regionale e tagliare la testa a tre assessori. Per incompetenza? Macché, per “la necessità di aiutare Renzi”.
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