domenica 23 marzo 2014

Berlinguer e le lacrime di coccodrillo (del Pd) di Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano



Giovedì prossimo uscirà il film di Walter Veltroni dedicato a Enrico Berlinguer. Essendo piaciuto a molti, e anzi quasi tutti, nei prossimi giorni ci sarà un’esplosione di bastiancontrari che sosterrà che il film è brutto, che Veltroni doveva intervistare Occhetto, che l’opera è retorica e bla bla bla. Legittimo, ma i bastiancontrari bisogna saperli fare: Fulvio Abbate sa farlo, altri molto meno. Ho persino sentito una tizia fieramente mascellata, che alcuni chiamano “giornalista”, sostenere più o meno che “già adesso Renzi ha fatto molto più di quanto abbia fatto in tutta la sua vita Berlinguer, se fosse ancora vivo Renzi lo rottamerebbe”. Poi forse hanno eseguito il Tso d’urgenza. 
Quando c’era Berlinguer” è un ottimo film. L’ho visto in anteprima a inizio marzo, ne ho scritto su il Fatto Quotidiano e mi permetto di consigliarvelo: è rispettoso e garbato. Lasciate stare il passato politico di Veltroni o il fatto che alla prima romana ci fosse mezzo mondo e una quantità industriale di auto blulimitatevi a guardare il film. Ognuno, poi, penserà che forse Veltroni poteva dare più spazio a questo o quell’aspetto della vita di Berlinguer, e certo è un’opera criticabile come tutto e tutti, ma c’era bisogno di un lavoro garbato e misurato che restituisse la grandezza fragile del leader comunista. Vi faranno male i primi minuti, quelli in cui gggiovani e meno gggiovani esibiscono tronfi la loro orribile ignoranza (“Berlinguer chi?”); e vi faranno ancora più male gli ultimi minuti, che raccontano la sua morte. Probabilmente vi feriranno anche le banalità arroganti di Scalfari (che comunque andava intervistato) e quelle friabilissime di Jovanotti (che non si capisce perché sia stato intervistato). Dettagli. Andate a vederlo, perché dentro c’è la storia di un piccolo grande uomo e parallelamente il declino di un paese; di un’etica; di una politica. 
Quando c’era Berlinguer” ha però un grande difetto, va da sé senza colpe del regista o del film stesso: rischia di essere usato dai politici contemporanei, anzitutto dal Pd, come lavaggio generale di coscienza. Lo racconta bene anche Fabrizio D’Esposito su il Fatto Quotidiano. In questi giorni si sta assistendo a una sfilata inquietante e disturbante di esponenti piddini che fanno la loro frignatina di fronte a Sant’Enrico e poi tornano a sputtanare la politica come nulla fosse. Per loro quel film è una sorta di lavacro, un’ostia da ingoiare per poi recitare due miserere e proseguire la malapolitica di sempre. Un simile atteggiamento è ancora più colpevole, perché l’ultimo grande insegnamento di Berlinguer è legato proprio alla questione morale. Un tema che gli valse gli attacchi feroci anche di molti colleghi di partito, su tutti Giorgio Napolitano. Il Pd sta usando il film di Veltroni per rifarsi una verginità, ma la storia di questi giorni dice che gli scheletri nell’armadio sono troppi e anzi ormai non sono neanche più nell’armadio: li si esibisce tronfiamente, li si ostenta. Genovese, Barracciu, Del Basso de Caro, De Filippo. Per non parlare poi  di Luciano D’Alfonso, candidato Pd alle Regionali in Abruzzo nonostante (o forse grazie a) un ruolino di marcia encomiabile: ex sindaco di Pescara, arrestato nel 2008 per storie di mazzette e poi rinviato a giudizio tre volte (due per corruzione, una per truffa e falso).
Dei tre provvedimenti, riassume Marco Travaglio ne L’Espresso, “quello per truffa e falso è in corso, mentre i due per corruzione si sono sono chiusi in primo grado con l’assoluzione: ma per uno la Procura ha fatto ricorso”. La candidatura di un uomo come D’Alfonso, evidentemente, va bene anche a chi diceva di voler rottamare, rinnovare e moralizzare il Pd. Va bene alla Ministro Boschi, che ovviamente alla prima romana del film su Berlinguer c’era (“Non basta un avviso di garanzia per chiedere le dimissioni”). Va bene a Renzi. E va bene a (quasi?) tutti gli altri. Da una parte piangono Berlinguer e dall’altra lo ammazzano un’altra volta. Fingendo di non sapere che, se Berlinguer fosse ancora vivo, come minimo li manderebbe a quel paese. Educatamente, come era suo stile. Ma risolutamente, come era suo stile.

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