
Chi ha visto questa sorta di documentario dice in privato che è una
palla di due ore che esprime appieno tutta la mediocrità del regista
amatoriale, altri puntano il dito sull’infantilismo e la grossolanità
della ricostruzione storica, ma non avendolo visto non voglio dare
giudizi di seconda mano, anche se il richiamo a Berlinguer è un evidente
tentativo di fondare su un nome ormai mitico le fortuna di una
probabile mitica schifezza.
Ma una cosa è certa: la futile mondanità dentro cui si è celebrata la
nascita del Veltroni regista della domenica, è la sconfessione vivente
non solo di Berlinguer come segretario, del Pci, ma anche come uomo del
tutto alieno dal sentimento della salottitudine e del dilettantismo
politico e intellettuale che era presente alla “prima” dell’opera prima.
Anzi guardando le immagini si ha l’impressione che i presenti non siano
gli eredi, ma i traditori che si sono adagiati negli ozi della
questione immorale. Non siano gli epigoni moderni, ma solo il rimasuglio
della politica e della rendita di posizione, quel grasso persistente e
opaco che si appiccica ai piatti, le ossicine spolpate che resistono
alle spugnette.
Non basta fare santo Berlinguer per ottenere l’assoluzione. Anzi
l’operazione è così rozzamente ipocrita che meriterebbe una penitenza
aggiuntiva. E suscita un unico desiderio: quello di una lavapiatti.
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