giovedì 27 marzo 2014

I sistemi elettorali e l’equivoco della governabilità di Aldo Giannuli


Spesso si sente il ritornello della “governabilità: ”Bisogna che il sistema elettorale assicuri la governabilità”. Ed in nome di questo si caldeggiano premi di maggioranza, collegi uninominali, soglie di sbarramento e trappole varie. Lasciamo da parte se la governabilità sia un bene in sé e concentriamoci sul significato del termine: che significa governabilità? Grosso modo, possiamo definire il termine in questo modo: la stabilità di governo possibilmente per tutta la durata della legislatura. Dunque, garantire che non ci siano crisi di governo che interrompano l’attuazione dei programmi decisi. E siccome è più probabile che una crisi di governo si inneschi in un governo di coalizione piuttosto che in uno monocolore, occorre fare in modo che il partito vincitore abbia da solo i numeri per governare e non sia costretto ad allearsi a nessuno.
Di qui deriva l’esigenza di trasformare una maggioranza relativa di voti in una maggioranza assoluta di seggi. Ragionamento apparentemente impeccabile che, in realtà, non si mantiene in piedi.
Infatti,  pur di raggiungere la soglia di primo classificato, ciascun partito cercherà di stringere il maggior numero di alleanze possibile. Dunque, le dinamiche del “governo di coalizione” non sarebbero evitate ma, uscite dalla porta della coalizione formata dopo il voto, rientrerebbero dalla finestra della coalizione formata prima delle elezioni. E non importa se la coalizione assuma la forma di più liste apparentate o di lista unica: sempre di una coalizione si tratterebbe.
Come dice Sartori (autore molto lontano dalle mie posizioni, ma che, quando si parla di sistemi elettorali, sa quello che dice): “Un sistema elettorale, da solo, non ha la forza di creare un sistema bipartitico, anche se contribuirà a conservarlo una volta che si sia formato”. Pertanto, nessun sistema elettorale, neanche il maggioritario più puro è in condizione di escludere le dinamiche dei governi di coalizione, con relative crisi.
E il ventennio maggioritario italiano conferma in pieno questo assunto: in 19 anni di sistema maggioritario (dall’aprile 1994 all’aprile 2013) non c’è stato un solo governo di legislatura:
-nel 1994 fu la Lega di Bossi uscì dalla coalizione  di centro destra dopo soli sette mesi, determinando la caduta del governo Berlusconi
-nel 1998 fu Rifondazione Comunista ad uscire dalla maggioranza di centro sinistra facendo cadere il governo Prodi, cui successe il governo D’Alema che, nel giugno 2000, si dimise a sua volta per le tensioni interne alla maggioranza, lasciando il posto ad Amato
-nel 2005 fu l’Udc di Casini a provocare la caduta del governo Berlusconi, cui seguì un nuovo governo Berlusconi che concesse la riforma del sistema elettorale ( il “Porcellum”)
nel 2008 furono i gruppi di Dini e Mastella a far cadere Prodi ed aprire la strada alle elezioni anticipate
Ma non si è trattato solo di rotture interne alle coalizioni, quanto anche di scissioni del partito di maggioranza, come accadde nel 2010, con la scissione di Fini dal Pdl, che ridusse ai minimi termini la maggioranza di centro destra, che poi crollò definitivamente nel novembre 2011.
Dunque, sin qui la regola del maggioritario sembra essere stata piuttosto questa: “Chi si divide perde, ma chi vince non governa”.
Il punto è questo: la stabilità di governo non è cosa che dipenda dal sistema elettorale (anche se un sistema maggioritario aumenta le probabilità di durata di un governo), quanto piuttosto dalla forma di governo. Per definizione, un sistema parlamentare (cioè in cui il governo dipenda dal voto di fiducia del Parlamento) non garantisce la durata del governo, anche se possono esserci utili correttivi come la sfiducia costruttiva (come in Germania). Una durata predeterminata del governo è possibile solo in un sistema di tipo presidenziale: si elegge il capo del governo (che spesso coincide con il Capo dello Stato) che resta in carica per un periodo preciso (di solito 4-5 anni) e non dipende dal voto di fiducia del Parlamento.
Se l’obiettivo che si intende perseguire è questo, non c’è dubbio che l’unico sistema per ottenerlo è la forma di governo presidenziale.
Ma, allora, cambiare il sistema elettorale è inutile? Non è così. Ha effetti ma molto diversi da quelli dichiarati che nascondono le vere intenzioni. Il passaggio dal proporzionale al maggioritario serve a poco dal punto di vista della governabilità ma assicura altri effetti:
a) subordinare il Parlamento al governo, assicurando la centralità dell’esecutivo anche nella formazione delle leggi
b) modellare il sistema politico rendendo più difficile la formazione di nuove forze politiche e, quindi, blindando quelle esistenti
c) di conseguenza, assicurare una maggiore autonomia del ceto politico dalla società civile
d) determina una tendenza centripeta del sistema politico, così da emarginare le forze antisistema.
Il maggioritario tende a stabilizzare il quadro politico esistente e, pertanto, determina la formazione di sinistra e destra nominali, che in realtà sono entrambe forze di centro tendenti verso l’una o l’altra sponda del sistema. Non è un caso che, dal 1994 le coalizioni abbiano preso a denominarsi “centro sinistra” e “centro destra”. Nel maggioritario c’è solo un grande centro più o meno caratterizzato in un senso o nell’altro.
Non dico che questa sia una operazione illegittima o criminale, ed è lecito proporre un assetto di sistema che abbia caratteristiche di centralità dell’esecutivo, stabilità del ceto politico esistente e che ostacoli la formazione di nuovi partiti, ma perché non dichiararlo apertamente e contrabbandare tutto con la truffa della governabilità?
Forse perché la gente reagirebbe malissimo all’idea di blindare il ceto politico esistente?

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