Senza aver potuto partecipare attivamente e direttamente alla fase più recente delle discussioni riguardanti il Prc e la FdS, affido a queste poche righe alcune mie riflessioni sulla “fase”, sull’unità dei comunisti e sul futuro del partito al quale rivendico con orgoglio l’iscrizione dal 1991.
Un "non-nuovo" appello sull’unità dei comunisti ha suscitato una "non-nuova" discussione e polemica. Io sono stato tra i firmatari del primo appello “comunisti uniti”, che nella mia testa (ma anche nella lettera del testo) avrebbe dovuto avvicinare i due maggiori partiti comunisti ma non solo, avrebbe dovuto creare un terreno di discussione e di elaborazione rivolto al futuro, facendo anche tesoro del nostro patrimonio storico e culturale, senza nascondere però errori e scelte sbagliate, rispetto ai quali rivendicare elementi di discontinuità anche profonda. Un appello ai gruppi dirigenti della “galassia comunista” ad iniziare un nuovo percorso, per chiudere la pagina delle scissioni ed aprire una fase nuova. Un appello che ho ritenuto fosse giusto sostenere ma che ha finito per legittimare un’operazione allora (come oggi) francamente indigeribile (“strappo” con il Prc e attrazione verso il Pdci).
Da una parte, Bertinotti, Vendola e soci tentavano la spallata finale all’idea stessa della presenza dei comunisti organizzati in Italia, dall’altra qualcuno prendeva questo pretesto per pensare di uscire da un partito che sentiva sempre meno “suo” e rifugiarsi presso i comunisti italiani: Chianciano ha aperto per fortuna una nuova fase nella vita del Prc, dato troppo presto per morto; fase che faccio fatica a considerare esaurita nella sua dimensione strategica e “rifondativa” nel senso genuino del termine.
Forse, su questo, stiamo lavorando troppo poco, finendo per concedere spazio a vecchi e reciproci stereotipi. Perché, invece di dividerci su ragionamenti e progetti del tutto astratti, non proviamo a concentrare le forze sulla “rifondazione” di una moderna forza comunista e di sinistra in grado di reggere lo scontro con il capitale, in grado di tenere insieme la parte migliore della storia del movimento operaio e comunista italiano come internazionale con le nuove esperienze ed elaborazioni che hanno caratterizzato gli ambienti della “nuova sinistra” in Italia ed in Europa? Su questo terreno determinante per il futuro, come sulla costruzione di un’identità dinamica, in movimento, non riusciamo a produrre uno scatto, ad indirizzare la rotta, a ruotare il timone della ricerca collettiva.
Quest’ultimo, nuovo appello all’unità non sembra aggiungere granché alla discussione. Non serve un saldatore per assemblare pezzi di comunisti; pezzi di partito con altri, gruppi e gruppetti, diaspore varie… con il risultato finale di essere tutti, ma proprio tutti, più deboli. I partiti comunisti nascono e vivono solamente grazie all’azione consapevole di dirigenti e militanti, solamente se hanno un grande progetto di trasformazione sociale alle spalle intorno al quale aggregare forze vecchie e nuove, adattandosi certo ai singoli contesti per poterli poi cambiare e radicandosi nelle rispettive società.
Progetto politico, progetto sociale ed organizzazione costituiscono i tre elementi fondamentali per il successo o il fallimento non solo dei comunisti, ma anche della sinistra radicale più generalmente intesa. Comunisti e sinistra radicale che devono trovare la necessità di convivere, almeno in questa fase e soprattutto in Europa, dando vita ad un grande progetto di trasformazione sociale, di alternativa di società. Su questo i comunisti dovrebbero poter giocare un ruolo fondamentale, utilizzando in maniera creativa ed aperta il materialismo storico dialettico, uno straordinario strumento di elaborazione politica e di lotta.
Gli operai di San Pietroburgo e il gruppo dirigente bolscevico nel 1917 sono stati protagonisti di un evento che ha cambiato la storia del mondo e che appartiene a tutta l’umanità oppressa, ma chi in Cina pochi anni dopo ha tentato di applicare meccanicamente quel modello ad una realtà economica, sociale e culturale completamente differente, ha rischiato di condurre il partito allo sfascio e la rivoluzione alla sconfitta. Mao, interpretando Lenin e non copiandolo, ha costruito un processo rivoluzionario del tutto originale, con al centro un “nuovo” soggetto, e talmente rispondente alle esigenze della società cinese da risultare vincente. Per questo tutte le nostre forze dovrebbero essere concentrate alla costruzione di un progetto di società all’altezza dello scontro in atto e dei tempi, all’altezza delle nuove sfide poste dal capitalismo, elemento che ci consentirebbe forse di aggregare nuove forze, superando così l’astrattezza di una discussione tutta ideologica che porta inevitabilmente a dividerci. Sull’unità dei comunisti come su Sel.
Sarebbe forse sufficiente provare a far funzionare meglio quanto esiste, moltiplicando il lavoro di inchiesta sulle fabbriche in crisi e sulle nuove povertà, sulle caratteristiche di una classe lavoratrice molto diversa da quella che abbiamo ereditato dallo scorso secolo, sull’uso delle tecnologie (rivoluzione informatica e robotica) nei processi produttivi nell’ottica della liberazione del lavoro e del lavoratore… ma anche sulla vita nelle città, su un modello di sviluppo non più sostenibile, sui diritti calpestati, sui nuovi bisogni, ecc… Sulle varie facce e sfaccettature della crisi del neoliberismo, insomma, elaborando proposte e sperando, giova ripeterselo, di aggregare per questa nuove forze.
Questa è la vera scommessa che abbiamo di fronte, come Prc e come Federazione della Sinistra; qui sta la differenza tra una stentata e precaria esistenza ed un possibile rilancio di entrambi i soggetti. Noi viviamo in una società in crisi certo, ma che mantiene una grande complessità: in questo contesto dobbiamo imparare anche nuovi linguaggi, dobbiamo saperci mettere in discussione, cambiare quello che riteniamo di dover cambiare… esattamente come hanno fatto i migliori e più creativi interpreti del marxismo dello scorso secolo!
L’alternativa di società non può e non deve essere in contraddizione con il socialismo: come si può essere comunisti in Italia nel 2011 senza porsi i temi della nuova classe operaia e di una nuova idea di liberazione del lavoro? Senza porsi sul terreno delle vertenze ambientali e su un modello di sviluppo che svincoli il rispetto dell’ambiente e delle comunità dalle compatibilità economiche? Senza porsi il tema dei nuovi diritti e di come sviluppare un sistema politico e giuridico in grado di allargare (e non restringere) le libertà individuali e collettive rispetto alle “democrazie borghesi” in piena crisi?
Per questo dobbiamo allontanarci da ogni forma o visione autoritaria di socialismo, valorizzando altre pagine della nostra storia: a testa alta, da comunisti, possiamo rivendicare l’incontro del maggio 1968 a Praga tra Dubcek e Longo (non Berlinguer, non Occhetto, ma Longo!), nel corso del quale il Segretario del Pci (unico nel suo genere) si è schierato senza tentennamenti a fianco delle riforme, del nuovo corso, della necessità di coniugare socialismo e libertà individuali e collettive. Così come possiamo fare nostra, in una sintesi alta e reciproca, tanta parte della storia della nuova sinistra, che ha dato un contributo fondamentale per la costruzione di una sinistra moderna in termini di analisi, di contenuti e talvolta anche di forme originali di lotta.
Per questo sono e resto convinto che sia proprio il Prc il soggetto politico che ancora oggi, pur con tutti i limiti e le contraddizioni del caso, possa portare, da tutti questi punti di vista, un contributo essenziale alla Federazione della Sinistra. Di mente e di cuore, di elaborazione e di militanza.
La Federazione ha di fronte, secondo me, una sola, prioritaria “necessità” per uscire dal torpore e dall’ambiguità: aprirsi all’esterno, costruendo una fitta rete di relazioni con forze sociali ed ambientali, con gli studenti ed i migranti, con tutti coloro che vogliono provare a cambiare questo mondo e le sue sempre più dirompenti ingiustizie e contraddizioni. E lo deve fare cambiando, ascoltando, elaborando, agendo, osando e correggendo, senza perdere la bussola, certo, senza buttare il bambino con l’acqua sporca. Ma non si può non osare di più, superando vecchi e nuovi tatticismi. Il rischio concreto, altrimenti, è che il bambino scompaia improvvisamente e ci rimanga solamente l’acqua sporca. Per questo, per tenere insieme i comunisti, che vogliono essere al fianco dei settori sociali più avanzati, e le forze di sinistra in un grande progetto occorre un gruppo dirigente adeguato, in grado di valicare alcuni steccati, di scrivere un nuovo capitolo della nostra storia, di divenire giorno dopo giorno, con l’umiltà di chi sa di avere un lungo cammino da percorrere, un punto di riferimento per le nuove generazioni.
Il resto sono, pur con tutto il rispetto e le buone intenzioni, chiacchiere; un film già visto che sappiamo dove conduce: tutti vogliono unire ma ci si divide sempre di più, con l’idea che più si è piccoli ed omogenei meglio è. In partitini o correntine, in gruppi e sottogruppi.
Il sottoscritto non si è fatto mancare nulla quanto ad essere schierato in componenti: credo però di aver maturato la consapevolezza di un’autocritica, nella necessità di aprire una pagina nuova nelle relazioni dentro il Prc. La prima fase della storia del Prc, pur con tutte le sue contraddizioni, ci consegna un piccolo esempio: siamo stati forti anche quando abbiamo provato ad ascoltarci, quando abbiamo aperto o socchiuso delle porte, quando ci siamo posti il problema di ricercare un fondo di verità anche nelle tesi di chi non aveva condiviso lo stesso percorso politico e culturale. Quando lo abbiamo fatto insieme, collettivamente, e non ciascuno a casa propria.
Marcello Graziosi,