La proposta lanciata da Nichi Vendola di una coalizione di emergenza democratica, dalla sinistra di Sel alla nuova destra di Fini, ha indubbiamente il merito di smuovere le acque di un dibattito che si era fatto ormai stantio sul tema primarie sì, primarie no. Il guaio è che quella proposta rischia di incontrare più ostacoli di quanti non ne voglia sormontare
Non si tratta della riproposizione, che sarebbe fuori tempo massimo, benché ragionevole, di un governo di "decantazione" per condurre il paese a elezioni sulla base di una nuova legge elettorale. Qui è esplicitamente previsto un passaggio elettorale auspicato come immediato sulla base della legge vigente. Mi pare però difficile andare a chiedere un voto ai cittadini con l'esplicita previsione di farli tornare a votare di lì a pochi mesi.
La coalizione proposta da Vendola dovrebbe reggersi su tre punti programmatici: una nuova legge elettorale, nuove norme in materia di conflitto di interessi e sul sistema informativo. E' chiaro che è il primo punto a definire la natura del governo e la sua durata, poiché, fatta la nuova legge, sarebbe naturale fare conseguire l'immediato scioglimento delle camere. Per fare questo - e questo valeva anche nel caso di un governo nato dall'attuale parlamento - bisognerebbe che tra le forze della coalizione ci fosse una credibile unità di intenti sulla legge da fare, che compete al futuro parlamento non certo a un decreto legge del governo. Di questa condizione non vi è traccia. Limitandoci al campo del centrosinistra vi è chi propone il modello tedesco, chi quello francese, chi un pasticcio degno delle gag televisive di Corrado Guzzanti. Se ci allarghiamo a destra la confusione aumenta. Comprendo bene che la proposta di Vendola - che è legata anche al nome di Rosi Bindi, talmente degno che vorrei più ancora diventasse la prima Presidente donna della Repubblica - vuole restringere il campo d'azione del futuro governo a questioni di risanamento democratico e nel contempo tamponare le inopinate aperture di credito ai leghisti fatte da Bersani. Ho paura si tratti di una illusione. Qualunque governo non può fare a meno di affrontare temi economici, nella più grande crisi da ottanta anni a questa parte, se non altro per l'incombenza della legge finanziaria. Il fatto che questi siano largamente sovra determinati dal nuovo patto di stabilità definito in sede Ue, non assolve le responsabilità politiche dei governi nazionali in carica. Come sappiamo è già difficile trovare una quadra su questi temi nel centrosinistra, figuriamoci con i seguaci di Fini e di Casini, tra i quali abbondano i protagonisti diretti e i sostenitori attivi dei tagli alla spesa sociale, dalla privatizzazione dell'acqua allo scempio della scuola pubblica.
C'è poi da dubitare che l'antiberlusconismo in quanto tale, seppure in versione virtuosa, risulti vincente in una competizione elettorale con le norme attuali, visto che molto si gioca sugli indecisi e sugli astensionisti. Questi ultimi, a destra quanto forse soprattutto a sinistra, cercano per rimotivarsi ben altri stimoli che non soluzioni presentate come puramente transitorie. Un passaggio elettorale mette sempre in gioco il profilo identitario delle forze in esso impegnate e guai a nasconderlo. Per questo continuo a pensare che non esistono scorciatoie né alternative al centrosinistra , di cui dobbiamo discutere non solo modalità delle primarie, ma soprattutto punti qualificanti di un programma credibile, e che la condizione migliore per sconfiggere Berlusconi sia la presenza elettoralmente autonoma di un terzo polo della destra moderata. Conosco bene i rischi di una simile competizione, ma chi vuole coltivare pensieri lunghi sulla società italiana, sulla sua necessaria rinascita dal degrado civile e economico nel quale è piombata - come ci hanno detto le straordinarie manifestazioni delle donne e non solo dello scorso sabato - non può limitarsi a improbabili tattiche. Oltretutto con l'effetto collaterale di spiazzare se stessi anziché gli avversari.
Alfonso Gianni,
da il Riformista
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