venerdì 18 febbraio 2011

"Alleanze insopportabili'

Una domanda che arriva da lontano. Che ha radici profonde ma che ha un punto di caduta nelle giornate di Genova di 10 anni fa e che si conferma in legislazioni speciali contro immigrati, lavoratori, contro chi utilizza liberamente sostanze non lecite, contro prostitute, lavavetri.
Parlo di un uomo e di suoi sodali che, nonostante giacca e cravatta e quel tocco di bon ton e di pacatezza tipico dei potenti, ha firmato impunemente le leggi peggiori partorite in quest’ultimo decennio, colui che mentre Genova somigliò per alcune notti alla Santiago del Cile, degli anni Settanta, era nella cabina di comando, laddove lo stato di diritto era sospeso, Gianfranco Fini.
Lo scorso anno, fra gli applausi imbarazzati alla festa nazionale dell’Unità, Fini ha rivendicato la scelta repressiva di Genova, per quanto riguarda le leggi prodotte, molte le dichiarazioni da conservatore liberale ma nessun atto di modifica sostanziale. La Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi, gli infiniti pacchetti sicurezza, non solo restano in vigore ma continuano a macinare vite, vite rinchiuse in galera per pochi grammi di hashish, vite rinchiuse ed espulse o rese invisibili, per la mancanza di un documento di soggiorno, vite triturate in guerre, come tutte le guerre, senza senso se non lo sfruttamento e la volontà di dominio.
Un uomo di destra, magari “per bene” ma sempre di destra, considera ineccepibili queste scelte, sono la struttura portante del proprio agire politico, del proprio essere, rimandano ad una idea di ordine prestabilito e immutabile che non ammette l’esistenza di un conflitto di classe. Il volto presentabile dei padroni nell’atto sostanziale dello sfruttamento, il luogo del lavoro, ma anche nella gestione delle città, delle relazioni sociali, nella definizione netta del confine fra lecito e illecito, buono e cattivo, incluso escluso. Un uomo che senza cadere nel volgare machismo berlusconiano, esalta il ruolo dell’esercito come entità etica al di sopra di tutto. L’esercito che della concezione machista del potere è forse la sintesi più estrema.
Il leader di questa “destra moderna” incarna le richieste del mercato, di Confindustria, del grande capitale il manganello è momentaneamente nel cassetto. Basta che qualche studente “esageri”, che le immolate e gli immolati in nome dell’uscita dalla crisi, dimostrino troppa determinazione, basta che qualcuno provi a materializzare in termini concreti (casa, lavoro, welfare, cittadinanza) la tanto abusata parola “diritti”, che quei manganelli tornino a farsi sentire.
Del resto, da politico consumato di scuola almirantiana, non si può negare a Fini la capacità di spiazzare gli avversari aprendo su quell’esigua parte di diritti civili che già trova consenso nell’opinione pubblica, dichiarazioni misurate e alternate, ora innovatrici, ora strutturalmente reazionarie. Nei fatti, negli atti pratici che sono quelli che producono mutamento le affermazioni cariche di buon senso, sovente vengono smentite. Sparisce il buon senso, restano le “cariche”. Le cariche e le torture genovesi e non solo, l’indisponibilità ad accettare una ricostruzione storica di quei giorni che stabilisca responsabilità politiche e materiali, come a veder messi in discussione gli infiniti casi di violenza dello Stato che continua imperterrita.
A Genova eravamo in tante e tanti, abbiamo continuato e continuiamo a chiedere giustizia per un omicidio di Stato, per le torture collettive, per una brutalità che chi c’era non può e non deve dimenticare. Eppure, anche a sinistra c’è chi in nome del realismo politico, in nome della sacrosanta volontà di non aver più Silvio Berlusconi come presidente del consiglio, è disposto a dimenticare quei giorni, a metterci una pietra sopra, ad allearsi anche con chi di quella macelleria è stato fra i principali responsabili. Accettare questa condizione significa rinunciare ad una parte di se e della propria storia, assoggettarsi alla subalternità delle logiche di potere.
Si potrà rispondere che è una alleanza temporanea, che sparito l’incubo rappresentato dal piduista, ognuno tornerà ai suoi ruoli in una leale competizione fra gentiluomini. O, anche, che porre una simile questione dimostra una visione statica e residuale delle vicende politiche, che Fini e i suoi, folgorati sulla fra Damasco e Arcore, non sono più gli stessi di 10 anni fa, di 5 anni fa, di un anno fa
.
Ma c’è anche un testo dimenticato che si vuole stravolgere, che anche Fini vuole stravolgere, in nome del presidenzialismo, della libertà di impresa e di profitto, della logica maggioritaria. Quel testo si chiama Costituzione, quel testo è stato violato a Genova e lo si continua a violare materialmente giorno dopo giorno. Si continuerà a tentare di farlo, con o senza Berlusconi. Se non altro in nome di quel testo, delle ragioni ancora attualissime per cui è stato scritto, non c’è spazio per una alleanza con Gianfranco Fini e le ragioni che rappresenta. C’è chi non condivide? Cosa ne pensano i tanti e le tante che a Genova, 10 anni fa, hanno respirato l’odore lurido del fascismo?
Stefano Galieni,

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