Soltanto loro potevano, e possono, salvarlo. Dopo le amministrative, dopo i referendum. Era il pensiero che in tanti, me compreso, avevano espresso. “Loro”, ovviamente, è il centrosinistra. Non sono passate neanche due settimane dal plebiscito referendario, e già sembra tutto così lontano. Ricapitolando.
Subito dopo il successo dei Sì, Pier Luigi Bersani rilascia una fastidiosissima conferenza stampa in cui fa lo sborone e si appropria della vittoria. Ma anche no. Bersani era favorevole, come tutto il Pd, al nucleare. Poco e nulla ha fatto, come tutto il Pd, contro il legittimo impedimento. E riguardo all’acqua pubblica, gioverebbe riascoltare quel discorso di Carpi in cui esortava ad affidare l’acqua alla Veolia. Chiedendo al suo amico ministro Mastella, peraltro, di zittire i medici che si permettevano di dire quanto gli inceneritori fossero dannosi per la salute dei cittadini. Massimo D’Alema, in quei giorni, ha detto a Ballarò: “E’ curioso. Se perdiamo è colpa nostra, se vinciamo è merito della società civile. Noi non vinciamo mai. Ahahahahah”. Ahahahahah. Ride lui, rido io: è l’unica cosa condivisibile detta dal Presunto Intelligente negli ultimi 62 anni. Già, D’Alema. Un altro che esultava, dopo quei referendum che, fino a Fukushima e ai successi delle amministrative, erano sgraditi poiché “facevano il gioco di Berlusconi” (cioè rubavano il lavoro al Pd). E con lui esultavano Casini, e Fini, e Rutelli. Tutta gente che, anche dopo il disastro in Giappone, era favorevole al nucleare (e Casini, già che c’era, si era adoperato di persona per il legittimo impedimento).
I rutelliani, in una delle molte sintesi panecicoriesche che li hanno resi mitici, hanno aggiunto che il loro appello a votare ai referendum è stato aritmeticamente decisivo per la vittoria dei Sì. Considerando che di rutelliani, in Italia, ce ne sono sì e no 7, evidentemente non mi sono accorto che il quorum è stato raggiunto per un nonnulla.
Ma torniamo a D’Alema. E’ lui uno dei primi rianimatori berlusconiani. Da sempre e non solo per la Bicamerale. Nessuno ha mai capito bene se sia ingenuo, tonto, in malafede o un infiltrato berlusconiano nelle file della “sinistra” italiana. Non si sa, però lui ci ha tenuto a far sapere che sulle intercettazioni su Bisignani e la P4 “Leggiamo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che vedere con vicende penali e sgradevolmente riferiscono vicende private delle persone”. Una sintesi garantista, peraltro riassumibile col sempiterno Sticazzi, a cui non era arrivato neanche il ministro (va be’) Alfano.
Berlusconi è finito. Si telefona da solo, la base leghista lo strozzerebbe, nessuno lo sostiene davanti ai Tribunali. Lo schifa anche la serva. E’ però qui che il Pd, solerte, lo aiuta. Da una parte sostenendo tesi inaccettabili (per chi dice di essere alternativo al premier), dall’altra fermandosi sempre un attimo prima – anzi, molto prima – di portare l’ultimo colpo al pugile rivale. La maggioranza barcolla, e loro si nascondono. Sono già tornati mansueti. E Bersani ha smesso di farsi rappresentare da Crozza nei discorsi importanti: peccato, ci aveva guadagnato in cipiglio e credibilità. Il sistematico bocca a bocca del centrosinistra al governo non si limita però al Partito Democratico. E’ di questi giorni la rutilanza di Antonio Di Pietro, uno dei reali vincitori del referendum. Più cauto, più moderato, più trattenuto. E già questo aveva infastidito qualcuno. La sua chiacchierata a Montecitorio con Berlusconi ha poi fatto inferocire molti internauti. Una polemica patetica, che dimostra come la Rete sia sì straordinaria, ma permetta anche a qualsiasi frustrato di sfogare bile e rabbia sul personaggio famoso di turno. Ergendosi a duro e puro che insulta, protetto da anonimato, il “traditore”. Che colpe ha Di Pietro? Che doveva fare? “Menargli”, come ha ironizzato lui? “Inciucio” de che? Non scherziamo, via. L’episodio dimostra piuttosto quanto sia messo male il Premier. “Un signore” - ha raccontato Di Pietro - mi si avvicina e mi dice ‘Buongiorno’… Poi mi domanda: ‘Visto quanto è bello il mio discorso’?”. Berlusconi è così solo da andare dal suo peggior nemico per ricevere un complimento. Poveraccio. Di Pietro ha fatto benissimo a parlarci, dicendogli quello che lui dichiara di avergli detto (“La cosa migliore per il Paese è che lei se ne vada a casa”). Il problema non è questo, ma casomai la sua nuova veste di Pifferaio Magico dei delusi destrorsi. Basta leggere l’intervista di stamani a La Stampa, fatta da Fabio Martini. Legittima la svolta moderata, legittimo il sottolineare quanto in Parlamento la vera opposizione l’abbia fatta (quasi) soltanto l’Italia dei Valori. Ci sta anche la sverniciata al Retore Supercazzolico Vendola (“Lui vuole le primarie, ma per fare cosa? Per capire cosa farebbe il candidato Vendola, potrei guardare in Puglia. Ma cosa sta facendo? Niente. O comunque nulla di rivoluzionario”). Facile anche l’attacco al Pd: “E’ un pachiderma. E’ finito per loro il tempo di sentire applausi. L’unica cosa che hanno fatto, dopo averci sparato addosso per i referendum, è stata quella di metterci il cappello sopra. Si sentono sempre i primi della classe, ma si devono dare da fare. Riconosco che il motore debba essere costituito dal partito di maggioranza relativa, però suono la sveglia”. Meno condivisibile accusare il Pd di aver detto sempre “no”, come l’asino di Buridano che poi morì di fame (sempre ruspante, Di Pietro, quando ricorre ai paragoni): di “no”, il Pd ne ha detti pochi. Troppo pochi. E i risultati si vedono.
E’ però la sintesi finale a non convincere. “Con il crollo del Cavaliere c’è tutto un elettorato che va riportato sulla retta via. Ce lo hanno già detto i referendum: sono andati a votare 27 milioni di italiani, molti di più dei 17 che votarono centrosinistra alle Politiche”. Poi: “Io non voglio morire di inedia in attesa che il Terzo polo decida che fare. Nel sistema bipolare gli elettori liberaldemocratici che non vogliono buttare il proprio voto, se votano centrosinistra sanno di trovare nell’Idv un riferimento ben strutturato. Noi siamo una realtà liberaldemocratica che vuole dialogare con la sinistra ma non essere ghettizzati ideologicamente a sinistra. Lo Stato sociale va difeso ma il libero mercato non è un nemico da abbattere. Difendiamo i lavoratori, ma senza imprese i lavoratori non ci stanno. L’assistenzialismo fine a sé stesso non porta da nessuna parte”. Quindi: “Dobbiamo intercettare i voti in uscita da destra”.
I politologi l’hanno definita svolta moderata dell’Idv. E non si scopre oggi che Di Pietro non sia mai stato un uomo di sinistra. Casomai, il fatto che lui e Grillo continuino a intercettare gli Orfani Sinistri dà la misura di quanto la nomenklatura di sinistra sia impresentabile – e per fortuna gli elettori del Pd sono molto superiori a chi dovrebbe rappresentarli.
La sintesi politica del “nuovo” Di Pietro suona però raffazzonata. Un po’ MoVimento 5 Stelle, un po’ Casini , un po’ D’Alema. Poche idee e confuse. Volere intercettare i voti della destra è leit motiv antico. Lo sostiene il bolscevico Follini, lo ripete nell’ultimo numero di MicroMega il grillino Favia, affermando che nessuno può riuscirci tranne loro (falso: Gunny De Magistris a Napoli c’era riuscito eccome. Infatti, come premio, adesso lo stanno lasciando tutti solo). E’ chiaro che esiste una fetta di elettorato fluttuante, quasi sempre centrista tendente alla destra. C’è sempre stata. Ciò che Di Pietro non capisce, è che se spinge verso destra, forse può intercettare parte dei mitologici “2 milioni di voti” che servono per vincere le elezioni, ma al tempo stesso ne perde altrettanti – se non di più – a sinistra. E’ la classica coperta corta. Di Pietro ha avuto successo proprio per i suoi toni netti, duri, a volte manichei. Nel momento esatto in cui esce dall’arena per entrare goffamente nella realpolitik, diventa un “ex sbirro” qualsiasi. Un Casini fuori tempo massimo. Un D’Alema di destra (cioè un D’Alema 2).
Amministrative e referendum hanno dimostrato che il centrosinistra vince quando non si vergogna di essere tale. Quando propone persone credibili, quando se ne sbatte dei diktat dall’alto. Quando si impegna in battaglie “felicemente bipartisan”. Quando non scimmiotta veltronianamente il finto moderatismo del centrodestra. Di Pietro si è appena iscritto all’esercito smandruppato dei presunti statisti. Quelli che inseguono il centro, e nel frattempo perdono la base. Viene da chiedersi: e se la soluzione fosse convincere non i delusi di destra, bensì intercettare – ancora di più – quegli orfani di sinistra che nel 2008 si astennero, ma due settimane fa sono stati i primi a votare quattro Sì?
Stia tranquillo, Berlusconi. Ci pensano loro, a rianimarla un’altra volta. Hanno già cominciato.
Andrea Scanzi; Il Fatto quotidiano