«Il
capitale è la contraddizione in movimento, in cui esso spinge a ridurre
il tempo di lavoro al minimo, mentre, dall’ altro lato, pone il tempo
di lavoro come unica misura e fonte di ricchezza.» Marx, Grundrisse1
Questa citazione dai Grundrisse, che mette a fuoco la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico, descrive succintamente la situazione odierna su scala mondiale: ancora una volta, come nel 1914, il capitale richiede, per poter sopravvivere come capitale, una vasta svalorizzazione di tutti i valori esistenti, nonostante la grande distruzione di esseri umani e mezzi di produzione che ciò comporta.
In realtà, questa è stata la situazione da circa il 1970/73. Il capitale globale ha rinviato il giorno della re-sa dei conti, una deflazione vera e propria, con una vasta crescita piramidale di debito – capitale fittizio – e con una serie di tendenze «compensative», che hanno sostenuto questo debito contraendo la riproduzione sociale.
Prima di indagare le specifiche dei quattro decenni dal 1970/73, fatemi innanzitutto delineare i mutamenti che si sono verificati in termini generali.
Il sistema dei tassi di cambio fissi ancorati al dollaro USA di Bretton Woods del secondo dopoguerra era appena crollato.
A quel tempo, l’accumulazione mondiale era chiaramente divisa nelle tre zone dei 1) paesi capitalisti avanzati (OCSE) (USA-Europa-Giappone), 2) il blocco «socialista» (Unione Sovietica e Comecon) e 3) il «terzo mondo» dei paesi «non allineati», con la Cina come un mondo a parte.
Sia il blocco «socialista» che il terzo mondo erano profonda-mente indebitati con le banche occidentali e lo sarebbero diventati ancor più nel corso degli anni ‘70. La classe operaia negli USA e in Europa occidentale era in mezzo alla sua più grande ondata di scioperi dall'immediato periodo post seconda guerra mondiale.
Il nazionalismo del terzo mondo nella varietà «Tricontinentale», promosso da paesi come l'Algeria e Cuba, era ancora una forza potente che sarebbe culminata alla metà degli anni ’70 nella sconfitta USA in Indocina, nell'indipendenza delle colonie portoghesi in Angola, Mozambico e Guinea-Bissau e nei regimi filo-sovietici in Somalia ed Etiopia, nel Corno d'Africa.
La lotta anti-apartheid in Sud Africa aveva raggiunto un nuovo livello nei tumulti di Soweto del 1976. Una nuova ondata d’indipendenza del terzo mondo si è ripetuta anche nell'emergere dell'OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) nei picchi del prezzo del petrolio del 1973 (e successivamente nel 1979), collegati certamente alla maggior parte delle Nazioni dell'OPEC, ma in realtà agli Stati Uniti e ai mercati finanziari USA2
Presso le Nazioni Unite, un «Gruppo dei 77» dei paesi del Terzo Mondo attaccò aggressivamente il predominio economico occidentale. L’«Euro-Comunismo» sembrava avanzare in Francia, Spagna e Italia3. Lo Scià dell'Iran, appoggiato dagli USA, aspirava ad essere una potenza regionale in Medio Oriente. Pochi in Occidente avevano ancora sentito parlare di fondamentalismo islamico, o di varietà sciita o sunnita, e ancora pochi avevano preso sul serio le «Quattro Tigri» in Asia (Corea del sud - Taiwan - Hong Kong - Singapore), ancora nella fase iniziale del loro emergere come potenze industriali.
La Cina, ancora in gran parte autarchica e ancora nelle ulti-me convulsioni della «Rivoluzione Culturale», era un «grandezza trascurabile» dell'economia mondiale. Francia e Germania alla fine degli anni '70 erano nelle prime fasi della formazione di una moneta unica europea per fermare la loro dipendenza dalle fluttuazioni del dollaro. Il cono meridionale del Sud America (Argentina-Cile-Brasile-Uruguay) era sotto brutali dittature militari appoggiate dagli Stati Uniti.
Quarant'anni dopo, e trentacinque anni nell'era «neo-liberista», prima di tutto vediamo il declino (relativo) degli Stati Uniti. L'Unione Europea, concepita come un contrappeso all'egemonia americana, è minacciata da un collasso della sua moneta unica e, dopo questa, da una vera e propria disintegrazione. Negli Stati Uniti, (se non ancor più in Europa), gli scioperi regredivano, molto di recente, fino alla quasi invisibilità.4
Il blocco sovietico è imploso, con solo la Polonia e la Repubblica Ceca che hanno, ad oggi, riconquistato una posizione precaria. Il Terzo Mondo si è frammentato col pieno emergere delle «Quattro Tigri»5, seguite dalle «Oche Volanti» delle aspiranti tigri, attualmente guidate dal Vietnam «socialista»6. Il fondamentalismo islamico ha spazzato via il nazionalismo del terzo mondo in gran parte del mondo arabo e in Afghanistan e Pakistan.
Le piccole popolazioni degli Stati petroliferi del Golfo e l’Arabia Saudita sono in una classe a sé, ma la loro numerosa forza lavoro immigrata del sud asiatico è una potenziale bomba a orologeria regionale. Un terzo della popolazione mondiale, in Africa7 e in parti dell'America Latina, è stato intrappolato nella stagnazione economica dal 1980.
Nel frattempo la Cina, pienamente in sintonia con la ristrutturazione neo-liberista globale e, di fatto, una chiave del suo successo a livello globale, come si dimostrerà, è diventata l’«officina del mondo» della produzione manifatturiera, in contrapposizione allo svuotamento di tanti altri paesi. Torneremo alle implicazioni pratiche di questa rivoluzione del mondo dopo aver analizzato in dettaglio il quadro del «bilancio» di austerità mondiale volto a preservare i valori fittizi. La maggior parte dei ultimi quattro decenni è stata un periodo di sconfitta e ricomposizione per la classe operaia; di seguito, (un po' artificialmente) metteremo tra parentesi la lotta di classe benché distillando la deriva «economica» del periodo, e concluderemo con una visione strategica del mondo.
Il capitale aveva avviato una fase estensiva di svalorizzazione paragonabile, una volta, alla vigilia della prima guerra mondiale, quando il semplice forte crollo dei valori cartacei, il falli-mento di capitali più deboli, la deflazione generale dei prezzi e un periodo di disoccupazione estesa per la classe operaia spingeva verso il basso i salari ormai sufficienti a raggiungere la necessaria svalorizzazione, come nel caso dell'Ottocento.
La distruzione addirittura fisica della forza-lavoro – dei lavoratori – e degli impianti di capitale divenne parte del processo per cui il capitale distruggeva abbastanza «valore» per riavviare la produzione ad un adeguato tasso di profitto. Tra il 1914 e il 1945, due guerre mondiali, il periodo degli anni ‘20 di breve ricostruzione8, il decennio di depressione 1930, il fascismo e lo stalinismo costituirono la parte essenziale del processo che gettò le basi per il boom post-bellico 1945-1970/73. Il processo mondiale di svalorizzazione9, come tutte le ristrutturazioni prima di esso (le crisi decennali studiate da Marx dal 1817 al 1866 e la «lunga deflazione» dal 1873 al 1896), spostò nell’insieme produzione e riproduzione verso un nuovo «standard di valore», o ciò che Marx intende nel Capitale come una «rivoluzione nel valore».
Ogni fase capitalista di boom e di picco (da «picco di depressione» come si dice in gergo) costituisce un «collettore» basato su un tale nuovo standard, una trasformazione dalle «mele alle arance» in cui un'unità di tempo di lavoro socialmente necessario è sproporzionata rispetto a quella della fase precedente, o a quella della successiva. Il «cluster» delle nuove modalità di trasporto a metà del XIX secolo, dai canali alle ferrovie al vapore, costituiva questa sorta di collettore; le nuove tecnologie (elettronica, chimica e automobilistica) dal 1920 al 1940 ne erano un altro o, più vicino al nostro tempo, la rivoluzione in entrambe le comunicazioni e il trasporto di merci (marittimi e aerei) fin dal 1970.
Dai tardi anni ‘60, il boom post bellico aveva portato il capitale mondiale ad un’altra fase in cui il costo attuale di riproduzione della forza-lavoro non sarebbe servito più a lungo come «numerario», comune denominatore del sistema, per lo scambio di merci. Il capitale, ancora una volta, come nel 1914, ma più diffusamente, era entrato in una nuova fase in cui la distruzione fisica su scala mondiale era una parte necessaria del movimento di svalutazione e potenziale rivalutazione.
Ogni ciclo capitalista di boom e picco produce capitale fittizio appena raggiunge il culmine: questo è costituito da crediti cartacei sul plusvalore che non corrispondono ad alcun reale plusvalore che provenga o dal processo di produzione immediato o da fonti del bottino proveniente dall’accumulazione primitiva. Dilagante speculazione a parte, come è avvenuto in particolare negli ultimi due decenni (e anche nel periodo precedente la crisi mondiale 1973-1975, il più grande del dopoguerra fino a quel momento10), la fonte iniziale del capitale fittizio è il capitale fisso svalorizzato nella sfera immediata11 della produzione stessa. Questa svalorizzazione deriva direttamente da uno degli aspetti più essenziali del capitale: i progressi regolari nella produttività del lavoro.
Ma il capitale appare ai capitalisti non, come nei primi due volumi del libro di Marx, come «valore che valorizza se stesso», ma piuttosto come titoli (diritti) di carta alla ricchezza, stock (profitto), obbligazioni (interesse) e i vari diritti sull'affitto della terra affrontati nel III vol. Si tratta di diritti sul futuro flusso di cassa [contante], il cui «valore» non è immediatamente determinato dall'enigma «prezzo/valore» discusso fino alla nausea dai lettori fermi alla prima sezione del III vol., ma da una capitalizzazione di quel flusso di cassa relativo al tasso di profitto generalmente disponibile12.
Mentre si sviluppa questa massa di aria calda – fittizia rispetto al plusvalore effettivo disponibile per valorizzarla – essa è sostenuta temporaneamente da azioni deflazionistiche della Banca Centrale e da varie «tendenze compensative»13. La massa di aria calda circola, come qualsiasi altro capitale, fino a quando essa non può più essere valorizzata attraverso il classico movimento D-M-D’ che definisce il capitale14.
La conseguente asfissia fa collassare questi titoli alla ricchezza, allineandoli con il sottostante tasso effettivo disponibile di profitto, o addirittura al di sotto di esso, nella fase iniziale di una nuova espansione. Questa è la fase in cui siamo vissuti dal 2008. Ma ciò che si è verificato nel 2008 era semplicemente la fase ultima, acuta, come indicato, di un lungo processo di indebitamento piramidale dissimulato (o non, come era), un lungo periodo di riproduzione sociale contratta su scala mondiale, dall'inizio degli anni ‘70, in contrasto con la ripresa capitalistica dalla depressione del 1945-1970/73.
Esaminiamo allora più da vicino la storia per cui questi titoli fittizi alla ricchezza hanno assunto le dimensioni enormi che avevano acquisito dal 2007-8 e che, in cinque anni di crash, possiedono ancora oggi. Il lettore contemporaneo può facilmente riconoscere tali titoli nelle attività degli hedge fund, oltre ai derivati, la «finanza strutturata» e cartolarizzata, la «asset inflation» a livello mondiale, i mercati azionari e i valori nella proprietà privata e commerciale, i «credit default swap», i «collateral loan obligations», la mongolfiera del settore «FIRE» (finanza - immobiliare -assicurazione), per non parlare dell’aumento del debito pubblico degli Stati Uniti, da 10 a 15 trilioni di $ in quattro anni, e dei comparabili recenti aumenti nei bilanci della Banca Centrale Europea, della banca del Giappone e della Bank of China. La riproduzione sociale contratta, sotto il peso di questi diritti di carta, è più immediatamente visibile per le strade di Grecia, Italia e Spagna e il tasso attuale del 50% di disoccupazione su scala mondiale per chi ha meno di 25 anni.
Pochi oggi ricordano la crisi di liquidità aziendale degli Stati Uniti del 1969-7015, o la caduta del 35% del mercato borsistico U.S. nello stesso anno, dopo la «crisi del dollaro» del marzo 196816 o, infine, la forte recessione degli Stati Uniti che seguì. Ma questi eventi probabilmente possono essere visti come segno della fine del boom post-seconda guerra mondiale e, nonostante le occasionali apparenze contrarie, il sistema mondiale è stato sempre ossessionato dallo spettro della deflazione assoluta oggi in corso. La crisi creditizia e conseguente recessione fu seguita dalla sospensione nell’agosto 1971 da parte di Richard Nixon della convertibilità del dollaro USA in oro, e da una serie di altre misure per sollevare l'economia statunitense in un super-boom inflazionistico, che garantisse la sua rielezione nel 197217.
La rottura del legame tra il dollaro, allora come ora valuta di riserva principale del mondo, e l'ancoraggio all’oro stabilito dalla conferenza di Bretton Woods del 1944, iniziò il processo di levitazione dell’allora esistente bolla di capitale fittizio nelle proporzioni colossali che ha assunto oggi.
Simultanea (e relativa) a questi eventi nei mercati dei capitali del mondo era la quadruplicazione del prezzo mondiale del petrolio nel 1972-197318.
Nel 1973-74 come nel 2008, i maggiori governi capitalisti reflazionarono alla maniera keynesiana classica, producendo (in questo caso) la «stagflazione» con poca crescita e molta inflazione, che dal 1979 andò galoppando al 15% negli Stati Uniti e superiore nel Regno Unito. C’erano dei tassi d’interesse effettivamente negativi in un periodo in cui i creditori e tutte le persone a reddito fisso sono state punite e i debitori premiati19.
I Paesi europei e il Giappone furono costretti a importare inflazione americana con le loro croniche eccedenze della bilancia dei pagamenti nel commercio con gli Stati Uniti. Questo periodo terminò nel 1979 con una seconda «crisi petrolifera», più direttamente connessa con la rivoluzione iraniana, con l'avvento al potere della Thatcher in Gran Bretagna e un anno dopo di Reagan negli Stati Uniti, mentre la Federal Reserve Bank USA sotto Paul Volcker viaggiava su tassi di interesse al 20% per interrompere una forte fuga dal dollaro e (per farlo) soffocare l'inflazione USA20, realizzata con un'ancora più profonda recessione (1980-82) rispetto a quella della metà degli anni ‘70. Il capitale mondiale entrò nell'era «neoliberista», e dal 1985 Reagan, Thatcher, Mitterrand, Gorbaciov e Deng erano in sincronia nel voltare le spalle alle dimensioni «sociali» dello stato che aveva caratterizzato fino ad allora l'era post-1945.
Il «neo-liberismo» (di per sé un termine coniato per distogliere l'attenzione dalla parola «capitalismo») aveva le sue origini nel lontano dopoguerra21, nel pensiero dei teorici «Austriaci» Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises e promosso nel mondo anglo-americano in un'altra variante come «monetarismo».
Anche se la maggior parte dei potenziali lettori di questo testo sono tutti abbastanza abituati al termine e alle sue ramificazioni, provarlo è appena utile per dare un senso dell’impatto globale del neoliberismo, che oggi non è ancora esaurito. Mentre era marginale nei primi anni della crisi degli anni ‘70, tranne nel Sud America meridionale (Cile, Argentina)22, il neo-liberismo ha dominato il mondo per 30 anni, e il suo corso non è ancora finito. Potremmo adeguatamente definirlo come più mezzi di distruzione di V (capitale variabile) e C (capitale costante)23 finalizzate a puntellare sempre la bolla fittizia di aria calda con sufficiente S (plusvalore).
Il calo del suo andamento in ascesa avvenne con l’inversione di tendenza del 1968 all'uguaglianza del reddito in Occidente24; dominò ideologia durante un periodo in cui la disparità di reddito negli Stati Uniti, almeno, superava quella del 1929, e il divario tra «ricchi» e «poveri» cresceva molto più di quanto fosse nel 197325.
Il neo-liberismo comportò una guerra nel sociale, da cui fu contrassegnato lo stato sociale del dopoguerra e, in altri contesti, il «comunismo»; la privatizzazione delle funzioni26 dello stato, solitamente per scopi di saccheggio a breve termine; la precarizzazione e la «flessibilizzazione» del lavoro27, spesso con tecniche «just in time» originate in Giappone; la grave deindustrializzazione degli Stati Uniti e del Regno Unito28; la grande riduzione delle tasse sui ricchi in nome dell’economia del «trickle down»[teoria secondo cui i benefici per ricchi si riverseranno come tali sui poveri -ndt]; il vantare la piccola azienda «imprenditoriale» (in molti casi, auto-sfruttamento di ex lavoratori) e l'ascesa dell’«high tech»29; la riduzione o addirittura lo smantellamento della regolamentazione statale del settore bancario e borsistico oltre a quello delle condizioni di lavoro, salute e sicurezza; l'incontrollata esternalizzazione della produzione ai mercati del lavoro più convenienti; lo smantellamento di (alcune) tariffe e la promozione di accordi commerciali regionali, sovra-nazionali a scapito di operai e contadini. Negli Stati Uniti, il neo-liberismo è stato accompagnato e promosso dalla «guerra della cultura », in cui argomenti come l'aborto, l'educazione sessuale, la contraccezione, la religione e il rifiuto di Darwin, hanno eclissato per molti, compresi quelli più direttamente colpiti, le «questioni economiche» in una violenta reazione generale contro gli anni ‘60 e ‘70.
Un inizio di apertura critica nel nuovo periodo fu la Proposta 13 della California nel 1978, una rivolta fiscale populista che copriva le tasse sulla proprietà delle abitazioni, che fece cadere la classifica nazionale delle scuole pubbliche di California dal 1° al 48° posto nei successivi 30 anni. Questa è stata una manifestazione precoce di «autonomia» degli strati ricchi nelle enclaves di bassa tassazione con barriere visibili o invisibili, applicata dalla nuova industria di massa della «sicurezza» privata. Gli stessi strati ricchi hanno spostato i normali lavoratori dalle aree urbane in via di gentrificazione in tutto il mondo. Il neoliberismo del «libero mercato» a livello internazionale fu presto messo alla prova nella crisi del debito latino-americano del 1982 (Brasile e Messico prima di tutto), che richiedevano l'intervento massiccio e la ristrutturazione del debito da parte del governo statunitense e che comportava programmi di austerità del FMI in decine di paesi gravati dal 1973 dall'aumento del costo delle importazioni di petrolio30.
Nel 1980 i più grandi datori di lavoro in Brasile erano impianti siderurgici e di automobili; nel 2000 erano compagnie private di assicurazione e Mac Donald31. Il neo-liberismo comportò il dilagare della seconda guerra fredda e aumentò le spese militari32. Esso portò all'accordo di Plaza del 1985, in cui gli Stati Uniti imposero un'importante rivalutazione su Giappone e Germania (svalutando così le grandi riserve di dollari che avevano costruito per sostenere il dollaro e gli alti tassi di interesse di Volcker dopo il 1979). Continuò e s’intensificò l'incarcerazione della «sovrappopolazione relativa» (in senso razziale) negli Stati Uniti, raggiungendo i 7 milioni di persone, ossia il 3% della popolazione attuale33. Si è arrivati al crollo del mercato azionario mondiale del 1987. Mesi prima, Alan Greenspan aveva assunto da Volcker la Federal Reserve Bank (FRB o Fed) e durante e dopo il crash inaugurò due decenni di «gestione Green-span», l'assicurazione che l’infusione massiccia di credito da parte della Fed avrebbe creato uno scudo protettivo contro qualsiasi recessione finanziaria o del mercato azionario.
Il «Piccolo Stato» «Libero mercato» del neo-liberismo è indifferente nell’utilizzare lo Stato per soddisfare le sue follie, cosa che si è ripetuta su una scala molto maggiore dopo il 200734. Esso si affermò (negli USA) mediante la «riforma del welfare», che impone ai destinatari di beni di accettare lavori umili al minimo salario, invece di ricevere un assegno sociale. È stato l’anticipatore dell’epoca di Ivan Boeskys e Michael Milkens dei titoli ad alto rischio (junk bond), acquisizioni di aziende per indebitamento (leveraged buyout)35 (LBO), in cui il debito veniva accumulato sulle società a scopo di tassazione, costringendole quindi a disfare gli attivi e a ridimensionarsi fino al loro torsolo «redditizio», dopo di che gli artisti del LBO rivendevano la società, estinguevano il debito e intascavano un enorme profitto pochi anni dopo.
Ha promosso l'ideologia dello «shareholder value» (valore azionario), nel senso che il prezzo delle azioni a breve termine vinceva tutte le altre considerazioni nella gestione delle imprese e mostrava la porta alle strategie di investimento a lungo termine e R+D (Ricerca e Sviluppo) della «vecchia economia». Ha liberalizzato le banche di risparmio e prestito (S+L) negli Stati Uniti, portando ad una baldoria del credito immobiliare che finì con la fine degli anni 1980 con 500 miliardi di $ di perdite, raccolti da e aggiunti al debito del governo degli Stati Uniti36. Allo stesso tempo finiva l'era dei «junk bond» (benché fosse rinata come «private equity», oggi viva e vegeta). Tra il 1990 e il 1993, nella «mite» recessione degli Stati Uniti, i prezzi delle case caddero drammaticamente e grandi istituzioni finanziarie come Citicorp, che detenevano miliardi del debito inesigibile37 del terzo mondo, barcollarono, finché i loro debiti, a loro volta, come quelli della frode Risparmio e Prestito (S+L), vennero nazionalizzati senza tanti complimenti.
Dai primi anni '90, il precedente «liberismo» New Deal, associato negli Stati Uniti con un (molto modesto) stato sociale keynesiano, fu sopraffatto al di là del nuovo mantra e giunse al potere con Bill Clinton dopo la recessione del 1990-1993. Fu seguito da Tony Blair, Gordon Brown e Anthony Giddens in Gran Bretagna nel 1997, dopo che quest'ultimo trio aveva purificato il partito laburista della sua immagine sindacale grintosa, proletaria con la loro «terza via» al crollo del mercato. Clinton è stato immediatamente informato dal suo governo, guidato dal segretario del Tesoro Robert Rubin (un ex banchiere di Goldman Sachs), sulla impellente necessità di calmare i mercati obbligazionari38, astenendosi da qualsiasi deficit di bilancio disposto socialmente. Clinton fece pressione attraverso il NAFTA, l'accordo di libero commercio nordamericano con il Canada ed il Messico39. La sua molto attesa e complessa riforma della sanità, come il disegno di legge di Obama 15 anni dopo, era destinata a porre freno alle spese sanitarie, benché mantenesse ancora le prerogative degli assicuratori sanitari privati40 e fosse già morta al suo arrivo al Congresso. Clinton introdusse un leggero aumento d’imposta sul reddito, ma invertendo a mala pena le riduzioni fiscali dei 12 anni precedenti41. Egli operò mediante una legislazione di «rigore contro la criminalità», per mettere 1 milione di nuovi poliziotti per le strade, come suo contributo più diretto all'espansione dell'occupazione. Alla vigilia della sua elezione nel 1992, all’epoca governatore dell'Arkansas, egli aveva diretto la cella di esecuzione di un prigioniero mentalmente ritardato, e successivamente denunciato Jesse Jackson per dimostrare di essere non un liberale vecchio stile «morbido verso la criminalità» o la pena di morte. Nel 1996, alla vigilia della sua rielezione, abolì «il welfare come lo conosciamo», spingendo per motivare il sussidio di disoccupazione con lavori socialmente utili (workfare) e iniziative di ritorno al lavoro, una manovra elettorale a buon mercato che risparmiava pochi miliardi al governo ma abbandonava milioni di madri sole a lavori con salario minimo e a lunghi spostamenti e milioni di bambini trascurati «sotto-chiave».
A partire dal 1995, decollava la bolla «high tech» di Silicon Valley, insieme con l'inflazione finanziaria generale. Il 1995 fu anche l'anno dell’«inversione Plaza»α, in cui il dollaro arrivò a sfondare il plafond contro il marco tedesco e lo yen giapponese, a 10 anni dopo il picco42. Le entrate federali, statali e locali, derivanti dall'inflazione degli asset finanziari, generarono una eccedenza federale nel 1996, e «eccedenze a perdita d’occhio» sono state proiettate anche nel XXI secolo. Il mercato del lavoro si è ristretto a livelli mai visti dal primi anni ‘60. In quegli anni il FMI e la Banca mondiale erano diretti esecutori della politica neo-liberista degli Stati Uniti, con programmi di «aggiustamento strutturale» in 100 paesi. Si deve, tuttavia, osservare la breve congiuntura Clinton «ben regolata», a fronte del suo contesto internazionale. In primo luogo, il «miracolo» giapponese era giunto a un termine nel crollo del mercato azionario del 19891990, con l'indice Nikkei che cadeva da 38.000 a 10.000 senza mai recuperare, cominciando più di 20 anni di sviluppo molto più lento. Era il risultato dell'accordo Plaza, che aveva radicalmente rivalutato lo yen. Il capitale giapponese ha continuato a fare shopping alla grande, non solo negli Stati Uniti ma anche nel sud-est asiatico43.
Lo yen alto, tuttavia, colpì duramente le esportazioni giapponesi e la mancanza di sbocchi disponibili spinse i fondi nella speculazione immobiliare e altri tipi di asset inflazionistico, portando all'arresto del 1990, da cui il Giappone non ha mai completamente recuperato. Molti degli investimenti giapponesi negli Stati Uniti andarono male. I giapponesi, in un clima di costante ostilità contro il Giappone da parte dei politici americani, dell’industria e di alcuni sindacati, erano diffidati dal farne altri. Questo è stato accompagnato da battaglie sul commercio e sulle tariffe, e il Giappone era pressato dagli Stati Uniti a incrementare la spesa militare. Di suprema importanza, negli anni '90, il flusso di capitale giapponese negli Stati Uniti era un fattore di agevolazione del credito.
Gli anni di Clinton hanno visto anche la crisi del mercato obbligazionario del 1994, quando l’aggressiva Fed attirava i commercianti di titoli con svariati rapidi aumenti del tasso d’interesse, causando miliardi di perdite44. Quell'anno vide anche la seconda crisi del debito latino-americano, partita dal Messico e rimbalzata attraverso i mercati finanziari dell'America Latina45. Mentre l'amministrazione Clinton aveva sostenuto che l'accordo di libero scambio NAFTA sarebbe valso 50 miliardi di $ in nuova produzione annua esportata negli Stati Uniti, è stato invece necessario fornire un salvataggio del governo americano di 50 miliardi di dollari agli americani titolari del debito messicano dopo il crollo del peso.
La crisi messicana del 1994-95, tuttavia, impallidisce in confronto alla crisi asiatica del 1997-98. Mentre mesi prima le nuove «tigri» asiatiche erano state propagandate come la storia del successo degli anni ‘80 e ‘90 (compresi gli ideologi americani dal lato debole che immaginavano queste economie molto stataliste come espressione di un trionfo del «libero mercato»), che era iniziata nel luglio del 1997 come una corsa sulla valuta thailandese, rotolata in una spaventosa fuga di capitali a breve termine proprio da quei paesi che avevano risposto al canto della sirena neo-liberista e liberalizzato i loro scambi, e risparmiava quei paesi (Cina, Malesia, India) che avevano resistito ad essa.
Dall'inizio del 1998, la Corea del sud, l’Indonesia e la Thailandia erano prostrate e sotto il controllo del FMI. Per beneficiare del FMI e di altri prestiti, Paesi come la Corea del sud dovettero acconsentire a massicci licenziamenti dei dipendenti statali, abbandonare i controlli sulle acquisizioni straniere di industrie chiave, mentre gli avvoltoi capitalisti occidentali si precipitavano a comprare, a prezzi stracciati, un massiccio leveraged buyout globale46. L’ideologo di Clinton Lawrence Summers, allora sottosegretario del tesoro degli Stati Uniti, si precipitò in Asia per sorvegliare questo processo e interruppe un tentativo giapponese di formare un fondo monetario asiatico per arrestare la crisi in atto. I capitali in fuga dal col-lasso delle economie asiatiche ritornarono negli Stati Uniti, rafforzando nuovamente i mercati dei capitali locali.
Nel blocco orientale, che era crollato nel 1989/1991, l'amministrazione Clinton sostenne un’austerità draconiana. Non c'era nessun «nuovo piano Marshall» (non esisteva nessun capitale per nessuno47). Gli Stati Uniti appoggiarono fino in fondo il «democratico» Eltsin, dopo che (nel 1993) aveva bombardato un Parlamento eletto. Gli USA favorirono l'acquisizione dell'economia russa da parte degli oligarchi, che prendevano i soldi degli Stati Uniti e dal FMI e li esportavano all'estero. I massimi consiglieri USA amministravano la privatizzazione dell'economia russa, che rapidamente culminò nell’acquisizione di essa da parte di elementi criminali, molti dei quali ex ufficiali del KGB sovietico48. Questo saccheggio dell'industria russa e delle risorse naturali è stato momentaneamente interrotto dal crollo del rublo del 1998. Durante questi anni, più di metà della popolazione russa è stata ridotta in povertà. Dalla fine degli anni ‘90, gli standard di vita in alcune repubbliche della ex Asia centrale sovietica erano al 30% del loro livello precedente49. Il 1998 ha visto anche la crisi della gestione del capitale a lungo termine (LTCM) dell'autunno 1998. LTCM era uno dei massimi hedge fund, fondato e guidato da protagonisti di Wall Street e che aveva due economisti vincitori di Premi Nobel nel suo Consiglio di amministrazione. LTCM nonostante fosse stato spiazzato dal default russo e dall'impatto potenziale del suo fallimento sui mercati finanziari mondiali fu stimato a 1,4 trilioni di$. La Federal Reserve di New York convocò una riunione di emergenza di fine settimana delle banche di Wall Street coinvolte, che hanno fornito congiuntamente un salvataggio di 13 miliardi di $ per il controllo dei danni, come una piccola prova generale per gli eventi del 2007-8 e oltre50. Le crisi finanziarie latino-americana, asiatica e russa rimbalzarono sull'economia stessa degli Stati Uniti, che era in mezzo alla frenesia borsistica del 1995-2000, associata con la «New Economy» «dot.com» dell'high-tech. Il capitale, in fuga dal collasso dei mercati esteri, vide un rifugio nel dollaro USA in salita (in seguito all’accordo «inversione Plaza» del 1995) e l'ascesa stratosferica del mercato azionario, totalmente fuori sincronia con i profitti sottostanti51. I governi (federale, statali e locali) furono incoraggiati dal gettito fiscale basato su questa fittizia inflazione degli attivi e Clinton lasciò l'incarico, appena in tempo, più popolare di quando era stato precedentemente eletto. Nella primavera del 2000, la «New Economy» fu stivata nel collasso del dot.com. Il NASDAQ (la borsa valori per le imprese high-tech) scese da 5.000 a 2.000 e mai più si riprese. Fu questa l'epoca in cui Wal-Mart sostituì General Motors come il più grande datore di lavoro degli USA e l'economia della cosiddetta «Goldilocks» (gabbia do-rata) si affermava negli Stati Uniti, mentre all'estero scoppiava una crisi dopo l’alta, è impensabile senza il «prezzo Cina», le esportazioni a basso costo sempre in crescita, soprattutto da parte di imprese straniere operanti in Cina52, che ha mantenuto bassa l’inflazione dei prezzi al consumo in un mercato del lavoro fermo e con un’impennata vertiginosa dell'inflazione degli asset in azioni e beni immobili53.
Dagli anni ‘70, decine di economie del terzo mondo sono state devastate dalle politiche54 neo-liberiste imposte dal FMI e dalla Banca mondiale, che imponevano l’accettazione di importazioni a basso costo, come effetto del NAFTA sulla campagna messicana, che ha spinto anche milioni di rurali messicani fuori della terra e a emigrare negli Stati Uniti, dove svolgevano lavori a salario minimo (o al di sotto del minimo) fino al crash del 2008. Il NAFTA è anche lo sfondo poco noto dell’ascesa dei cartelli messicani della droga, che reclutò migliaia di questi profughi dalla campagna, impoveriti in guerre che hanno ucciso oltre 50.000 persone.
Gli sviluppi post-1989/1991 nell'ex blocco sovietico, ancora una volta, si alimentarono altresì dei brevi giorni sereni della «New Economy». L'aspetto più importante è stata una nuova dimensione di investimento di capitale occidentale, con manodopera istruita a basso costo e attraente patrimonio immobilia-re urbano (Praga, Budapest, Cracovia, Riga) da gentrificare. La popolazione, soprattutto anziana, dell'Europa orientale e della Russia ha subito austerità tremenda e peggio55. C'era la massiccia emigrazione di giovani istruiti ad ovest, oltre a reti di criminalità del tutto nuove. Intere regioni industriali venivano chiuse o ridimensionate appena gli oligarchi si prendevano i gioielli di famiglia. C'era la spesa dell'unificazione della Germania, che è stata permessa in quanto rappresentava un buon compromesso per la sua integrazione nell'Unione europea. I trilioni di marchi spesi per la riunificazione spinsero in alto i tassi di interesse tedeschi, approfondendo la recessione nel resto dell'Europa occidentale56. Il capitale tedesco aumentò anche in Europa orientale, e le imprese francesi e tedesche si trasferirono in Polonia. In Polonia, le vecchie aree industriali urbane fuori Varsavia sono state devastate57.
Le conseguenze del crollo del dot.com del 2000 erano in qualche misura localizzate, benché la «razionale allocazione delle risorse dal libero mercato» abbia portato al prosciugamento di 3 trilioni di $ in valore cartaceo, e il 98% di tutti i cavi a fibre ottiche deposti durante l'euforia non sarebbero mai stati usati. Solo quando George Bush Jr. prese il potere nell'autunno 2000, tutto cominciò a rotolare verso il basso. Proprio come la prima guerra in Iraq aveva deviato l’attenzione dalla crescente recessione sotto Bush Senior, l’11 settembre fece la stessa cosa per Bush Jr. Gli Stati Uniti andarono in recessione dal 2000 al 2003. Fu questa l'epoca della Enron58 e del World.com, ulteriori precipitazioni della «New Economy». Il «dividendo» dal boom dell’high-tech era finito. Fu a questo punto che la bolla immobiliare diede il cambio alla bolla dell’high-tech, promossa dalla Fed come una nuova fonte di spesa dei consumatori. Operai americani con stipendi inadeguati si indebitavano profondamente sempre di più e iniziarono ad usare le loro case come garanzia per più debiti. La «finanza strutturata» – il confezionamento di flussi di reddito da mutui ipotecari e da altri introiti e venduti all’insaputa con indice di valutazione (rating) AAA dalle agenzie di servizi – è entrata ovunque, culminando nella frenesia dei mutui sub-prime, nella costruzione e vendita di alloggi degli ultimi anni del boom59.
Fino al 2008 era l'epoca del consumatore americano "che aveva raggiunto il limite massimo", acquistando beni dall’Asia (sempre più dalla Cina). Il conseguente boom dell’esportazione in Cina spingeva alla frenesia in tutti i fornitori di materie prime (Australia, America Latina, Africa). Milioni di messicani, in fuga dalla devastazione dell'economia messicana dopo il 1982 e poi post-NAFTA, come indicato, lavorava nella costruzione degli USA e imballando carne al salario minimo durante gli anni del boom. Come sempre nel caso delle espansioni USA dal 1950, i dollari detenuti all'estero cominciarono ad accumularsi a causa del deficit cronico della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti60. Nel 2005 il dollaro veniva rifiutato, passando da 1$=1,50 €a 1$=0.75 €dal 2008.
Questo triangolo di base delle importazioni asiatiche negli Stati Uniti, tracciato sulle materie prime dal mondo intero e costituito dalla crescente forza nazionale negli Stati Uniti (come esemplificato dal boom degli alloggi) e reso possibile dal prestito straniero, cominciò a disfarsi nel 200761. Era la fase finale degli Stati Uniti come «consumatore in ultima istanza» che sostiene l'economia di resto del mondo, in cambio del proprio indebitamento con l'estero sempre crescente62, che torna indietro almeno agli anni ‘70.
Questo tuttavia non deve distrarre l'attenzione dal problema più profondo della crisi strutturale, la necessità di una massiccia svalorizzazione del tipo 1914-1945 (tuttavia diversa nella fattispecie, che tutta la storia fin qui delineata ha tentato di abbozzare). L'era «neo-liberista», come affermato all'inizio, ha impiegato quattro decenni per polverizzare i livelli reali di vita (V) e i capitali fissi reali (C) su scala mondiale e per togliere valore al plusvalore (S), per evitare il massiccio «indebolimento» la cui possibilità ha ossessionato gli Stati fin dai primi anni ‘70.
La panoramica precedente non sarebbe completa, senza qualche considerazione sull'ascesa della Cina.
Al momento in cui scrivo (settembre 2012) tutte le zone principali dell'economia mondiale hanno registrato un «rallentamento», in cui alcuni vedono una recessione possibile «a doppio-tuffo»63; la Cina non vi sfuggirà e può addirittura passare in testa. Alcuni analisti scettici, facendo un passo indietro rispetto all’euforia intorno all’ascesa indiscussa della Cina, hanno sottolineato i paralleli con l'euforia analoga intorno al «Giappone come n. 1», il «Giappone nella corsia di sorpasso» degli anni ‘80. Ci sono in effetti importanti paralleli: l’accumulazione da parte della Cina di 1,4 trilioni di $ dal commercio con gli Stati Uniti riciclati in banconote del tesoro degli Stati Uniti; le schermaglie costanti da parte di politici americani sulla valuta cinese presumibilmente sopravvalutata; l'inondazione del mercato statunitense con le merci cinesi (come accennato precedentemente); un accumulo enorme di immobili invenduti, che uguaglia il gonfiamento del settore immobiliare del Giappone degli anni ‘80; le «banche zombie», che portano innumerevoli miliardi di prestiti non esigibili al settore dell'impresa di stato; la grave dipendenza della Cina dalle importazioni di cibo, petrolio e materie prime; il progressivo invecchiamento della popolazione. Benché non così drammatica come la caduta del 75% della borsa del Giappone nel 1990, negli ultimi quattro anni il mercato azionario cinese è andato vagando al ribasso.
Nel 1960, l'Asia orientale rappresentava il 5% del PIL mondiale, oggi rappresenta il 35%. La maggior parte di questa crescita ebbe luogo nel periodo di crisi post-1970/73. Come si spiega questo innegabile cambiamento nel quadro del dinamismo economico mondiale con l'analisi generale presentata qui, di 40 anni di crisi e svalorizzazione? Anche se la Corea del sud e Taiwan, due delle prime «tigri» emerse e ancora esistenti sotto l'ombrello militare USA, la Cina ha già superato gli Stati Uniti come loro principale partner commerciale e, come anche con il Giappone, come un obbiettivo per gli investimenti.
Quaranta anni fa, la maggior parte dei paesi latino-americani era sotto tutela degli Stati Uniti; oggi guardano sempre più alla Cina, come alcuni paesi del terzo mondo tenutisi fuori ad est e ad ovest durante la guerra fredda. La Cina sente la pressione della produzione anche a basso costo in Vietnam e Bangladesh, ma i suoi investimenti all'estero64 e i «prestiti agevolati» offrono ad alcuni paesi del terzo mondo, specialmente in Africa, una certa alternativa ai rigori del FMI e della Banca mondiale65.
In mezzo a questo e accanto al suo rapporto «G-2» con gli Stati Uniti, la Cina ha stabilito un rapporto speciale con la Germania, come una via d’accesso all'UE66. Questo s’intreccia con un certo (classico) orientamento geopolitico tedesco verso Russia e Cina, come contrappeso all'influenza USA in Europa67. Tecnici e ingegneri tedeschi sono assunti su larga scala presso aziende cinesi68. Sindacalisti tedeschi vola-no a Pechino per consigliare il governo cinese su un ringiovanimento del suo volto repressivo, della Federazione dei Sindacati di tutta la Cina controllata dallo stato. Dopo che l'esportazione del suo modello di crescita ha sbattuto contro un muro nel 2008, la Cina è ripartita, alla ricerca di un modello di consumo domestico, per sostituirlo, e il modello tedesco di corporativismo e una nuova integrazione della classe operaia potrebbero bene adattarsi allo scopo. I think tanks cinesi studiano l'ascesa della Germania come un «mondo a parte» nella bilancia europea delle potenze pre-1914, supponendo che la Cina occupi una posizione simile rispetto all’attuale sistema mondiale dominato dagli USA69. Ma l'analogia è falsa. L’ascesa della Germania ebbe luogo nel periodo ascendente del capitalismo e, anche allora, essa doveva essere assorbita in una «borghesia Nord Atlantica» attraverso due guerre mondiali. Ritorniamo a queste problematiche dopo aver delineato la crisi del 2007-8.
Il poco spazio preclude un resoconto completo della crisi, ma cercheremo di mettere a fuoco i punti più importanti. Un tiro di apertura è stata la liquidazione del prestatore subprime New Century nel marzo 2007, seguita in giugno dal fallimento di due fondi di Bear Stearns. Quell'estate, il totale dei derivati e del debito default swap era stimato intorno ai 400 trilioni di $. Nel marzo 2008, Bear Stearns ha dovuto essere salvata da J.P. Morgan. I «Mezzi di investimento strutturati» (i SIV) dai quali le banche tenevano nascosti i debiti «fuori bilancio», andavano implodendo. Con la deflazione che accelerava, il petrolio sprofondò da 147 a 107 $ al barile. Il 7 settembre, il governo americano dovette prendere il controllo di Fannie Mae e Freddy Mac, i due giganti titolari governativi del debito ipotecario, con 5,4 trilioni di $ in passività70. Il 14 settembre, la classificazione come «evento del credito» della crisi ebbe luogo con il fallimento di Lehman Brothers, la banca vecchia di 158 anni. Un evento parallelo nel Regno Unito era stato il collasso della banca Northern Rock. Il venerabile broker Merrill Lynch dovette essere venduto al gigante Bank of America. AIG, l’e-norme compagnia di assicurazione, che si era avventurata nel rischioso nuovo mondo dei derivati, dovette anch’essa essere salvata. Il 28-29 settembre, il Congresso degli Stati Uniti, sotto pressione estrema dei circoli governativi capeggiati dall’allora segretario al tesoro Hank Paul-son, accettò un salvataggio di 700 miliardi di $ di attività «tossiche» di Wall Street. J.P. Morgan accettò di assumere il controllo della Mutual bank di Washington, dopo che furono liquidati 46 miliardi di $ nel foglio di bilancio di quest'ultimo. I mercati monetari furono quasi completamente bloccati. I fondi pensione, investiti pesantemente in Wall Street, avevano perso 2 trilioni di $ nei 15 mesi precedenti.
Questi erano solo i punti salienti dei 18 mesi precedenti l'elezione di Barack Obama come Presidente degli Stati Uniti nel novembre del 2008. Il suo governo prese il potere nel gennaio 2009, con la prominenza come protagonisti nel suo staff economico di ex bricconi dell'era Clinton, tra cui l'economista di Harvard Larry Summers e il direttore della Fed di New York Tim Geithner71. Obama chiamò a Washington quelli del CEO di Wall Street e disse loro «Io sono l'unica cosa tra voi e i forconi» e li precedette per mostrare che questo era proprio il suo ruolo nel restaurare nella sua virtuale interezza l'agenda neoliberista, regolando con «tocco leggero» le molte istituzioni che (apparentemente) avevano portato alla crisi, dopo ulteriori trilioni di reflazione nell'inutile applicazione della classica norma keynesiana «spingere su una stringa».
Gli eventi del 2007-2008 sono culminati, fino ad oggi, nella traiettoria reale dell'agenda «neo-liberista» che aveva preso forma verso la fine degli anni ‘70 nel modo più singolare. E finora, quattro anni dopo, rimangono intatte, a malapena celate dal sottilissimo lifting ideologico di facciata. Il governo stesso e le politiche della Banca centrale, lungi dall’eclissare su scala colossale le prime azioni risalenti alla fine anni ‘50, per evitare una deflazione della bolla fittizia generata dalla dinamica del capitalismo reale del [saggio di profitto] P/(C+V), sono ancora in atto.
Torniamo, quindi, e concludiamo con una breve analisi dello scontro geopolitico del XXI secolo: gli Stati Uniti, e secondariamente l'Occidente nel suo complesso, con la Cina e il nuovo capitalismo asiatico, uno scontro che ha lo stesso potenziale di scatenare la rivoluzione permanente «generale» del 1848 e del 1917, come teorizzato da Marx per il 1848 e da Parvus - Trotskij per il 1905-191772: una rivoluzione della classe operaia nel cuore del capitalismo «maturo» (in realtà, stramaturo) in collegamento con la classe operaia emergente nella nascente potenza «anello debole» «periferica»: la Germania nel 1848, la Russia nel 1917, la Cina in qualche futuro (si spera) non troppo lontano. L'imbroglio di USA-Cina in Asia orientale è quello in cui ci muoviamo dall’«economia» alla politica nella critica dell'economia politica.
Le rosee analisi sull’«ascesa dell’Asia», sul «passaggio del potere da ovest a est», chiudono un occhio su alcune realtà scomode. In primo luogo, forse soprattutto, il Giappone riuscì ad affermarsi come potenza industriale (e imperialista) prima del primo periodo di svalorizzazione di massa del 1914-1945, o della fase «decadente» del capitalismo su scala mondiale. Il suo sviluppo statalista dopo il 1868 è stato il modello per tutte le successive «tigri» e ora per la Cina73. Benché sia stata una potenza imperialista proprio dopo aver sconfitto militarmente la Cina nel 1895, dal 1945 non si liberò mai dalla tutela degli Stati Uniti e con la recente ascesa della Cina, così ancora meno. La Corea del sud e Taiwan sono gli unici paesi dell’ex terzo mondo che hanno varcato la soglia per maturare un capitalismo industriale dal 1914. Lo hanno fatto innanzitutto, come colonie giapponesi prima del 1945, portando una certa industrializzazione e in secondo luogo, sotto gli auspici degli USA dal 1945, quando la riforma agraria, essenziale per il «decollo» industriale, era consentita e incoraggiata dagli Stati Uniti come una «vetrina» di contrappeso alla Corea del Nord e alla Cina dopo la rivoluzione del 1949 (gli Stati Uniti si opposero a ogni seria riforma agraria praticamente ovunque nel terzo mondo). Per quanto oggi coinvolte nell'economia cinese, né Taiwan né la Corea del sud sono in grado di eludere la supremazia politica e militare USA; infatti, la Corea del sud ha appena (settembre 2012) messo a punto un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti che farà dell'agricoltura coreana quel che il NAFTA ha fatto in Messico. Il caso della «monarchia ereditaria rossa» della Corea del Nord, che riguarda direttamente Corea del sud, USA, Giappone, Russia e Cina, minacciando questi ultimi cinque paesi con una riunificazione che nessuno di loro (per motivi diversi) desidera, costituisce, insieme con l'irrisolto status di Taiwan, due leve con cui gli Stati Uniti possono man-tenere l’Asia orientale fuori equilibrio. Infine, la profondità del nazionalismo in Asia orientale, problema in Europa superato, provvisoriamente, attraverso due guerre mondiali, fino ad oggi esclude qualsiasi seria integrazione economica regionale in grado di costituire una minaccia più coesa per il predominio USA
È la tempistica della crisi in Occidente negli anni ‘70, con il decollo delle «tigri» e poi, dopo il 1978, della Cina, che dimostra l'enorme crescita in Asia orientale come espressione di un'unica crisi mondiale. La pletora di beni di consumo a buon mercato dall'Asia, in primo luogo dalla Corea del sud e Taiwan e poi dalla Cina, ha attenuato il declino del V (capitale variabile) negli USA e in Europa: l’austerità salariale in quest'ultima è stata parzialmente compensata dalla produzione svalutata negli USA74. Le esigenze del-la burocrazia di stato cinese, esausta da un decennio di «Rivoluzione Culturale», si è intrecciata perfettamente con le esigenze di un capitalismo occidentale che ha esaurito il modello di accumulazione del boom post bellico, basato sul plusvalore relativo.
L'ascesa della Cina è stata e continuerà ad essere un alibi utile per il capitale occidentale e soprattutto statunitense in quanto in via di transito alla fase successiva della crisi post-2008. Diverse esplosioni di xenofobia e richieste di protezionismo da parte di funzionari del governo e dell'Unione appaiono in ogni ciclo elettorale negli Stati Uniti. Il Giappone ha rivendicato le isole Ryukyu, innescando un'ondata di rivolte anti-giapponesi in Cina; nove potenze laiche pongono rivendicazioni su potenziali scoperte di petrolio nel Mare Cinese Meridionale75 e il Vietnam ha concesso alla Marina degli Stati Uniti l'uso del porto di Da Nang, costruito dagli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. Anche se il bilancio della difesa USA è otto volte più grande al confronto delle dieci potenze messe insieme, il Pentagono denuncia ogni segno di aumento dell’efficienza militare cinese, come il recente lancio della sua prima portaerei. L'annunciato «perno in Asia» americano è un ulteriore riallineamento delle priorità.
Inoltre la Cina, con più di 100.000 «incidenti» in un anno di tumulti, con le dispute sulla terra fra i contadini e i funzionari del partito, per non parlare dell'impressionante sciopero del 2011 presso l'enorme stabilimento della Foxxconn e altrove, è una polveriera. La legittimazione del regime fin dal 1978 si è basata sulla consegna dell’8-10% annuo di crescita economica e sui conseguenti posti di lavoro e aumento dei redditi. Può tentare di attuare un modello aggiornato «tedesco», corporativista, di sindacati liberi e comitati di impresa, combinati con l'aumento del consumo interno da sostituire alla diminuzione delle esportazioni, ma gli ostacoli e i rischi sono grandi.
Nel frattempo, la profondità della crisi in Occidente, dopo decenni di recessione, in Grecia, in Italia, in Spagna, in Portogallo, in Francia e anche negli Stati Uniti, vede sempre più il proletariato fare ciò che «è costretto a fare» (Marx) a causa delle condizioni di crisi.
Quando questo fermento che si va approfondendo in Occidente incontra un fermento simile in Cina, le connessioni fallite nel 1848 e nel 1917 (quest'ultimo è il punto di svolta della storia, quando la storia non torna indietro, come afferma CLR James) possono «girare il mondo sottosopra» molto più di quanto fece la «Rivoluzione borghese con bandiere rosse» del 1949.
(Questo testo si trova nel sito Break Their Haughty Power; traduzione di Dante Lepore, a cura di PonSinMor)
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