L’alleanza
di Nichi Vendola con Pier Luigi Bersani torna di nuovo a rischio con la
discesa in campo di Mario Monti. Il governatore pugliese teme di non
essere più così determinante nel prossimo governo, non si dimette più e,
per amore dei suoi cittadini, resterà alla guida della regione fino a
quando non saranno chiari gli equilibri della prossima legislatura con
il rischio che alla fine possa preferire il ruolo attivo a Bari rispetto
alla testimonianza a Montecitorio.
Sta tornando di nuovo in forse il ruolo
che potrà avere Vendola nel prossimo governo e per il momento, anche se è
vietato dirlo, non è ancora contendibile la sua poltrona. Tutto per
colpa di Monti che non solo ormai è in campo e al di là della forma del
suo impegno rischia di essere determinante per il prossimo governo. Per
il premier dopo aver respinto le offerte di Silvio Berlusconi a guidare i
moderati e aver incontrato il segretario del Pd a Palazzo Chigi,
qualcosa è davvero cambiata. Se Berlusconi, capita l’antifona, ha
iniziato a correre in prima persona per la premiership, è nel
centrosinistra che si avranno le maggiori conseguenze. L’alleanza tra Pd
e Sel se è buona per la campagna elettorale, in molti sanno che non può
andar bene per il prossimo governo. A meno di un ruolo di semplice
testimonianza da parte di Sel piuttosto che, come ha sempre detto il
governatore pugliese, quello di condizionare il governo.
Dopo il viaggio a Bruxelles di Bersani
che ha rassicurato i vertici europei che, al di là degli slogan,
l’agenda Monti sarà portata avanti con al massimo alcune modifiche,
tutto è cambiato. Anche se ha pure assicurato che il suo più stretto
alleato politico del momento è europeista convinto e non farà scherzi,
Vendola per primo ha capito che l’aria non è più la stessa.
Non è ancora chiaro se il progetto post
elettorale di Monti-Bersani prevede davvero il taglio delle ali estreme e
un governo Pd–centristi e montiani ex Pdl oppure semplicemente
un’alleanza centrosinistra, montiani.
Se nel primo caso Vendola sparirebbe
proprio dalla maggioranza, cosa abbastanza difficile da giustificare
dopo aver fatto insieme le primarie e le elezioni, nella seconda e più
plausibile ipotesi il ruolo del governatore e dei suoi verrebbe comunque
fortemente ridimensionato. E per lui non ci saranno più né posti da
ministro né addirittura una vicepresidenza di governo. Ecco allora che
lo stesso Vendola inizia a preparare il passo indietro. Mercoledì nel
vertice di maggioranza che ha tenuto in regione per la legge di
bilancio, mentre tutti si aspettavano l’annuncio che all’approvazione
della finanziaria regionale si sarebbe dimesso, lui li ha gelati. «Sarò
presidente della regione fino all’ultimo secondo utile» ha detto
Vendola, motivando la decisione «per preservare gli interessi della mia
comunità. Non ci sono dimissioni all’indomani della manovra di bilancio,
andremo in campagna elettorale con l’impegno intatto a tenere sotto
controllo tutti i dossier della Puglia». Insomma, al di là delle belle
parole e dei nobili interessi è chiaro che Vendola ha annusato il
trappolone. Fare campagna per un centrosinistra dove non sarà più
determinante e contemporaneamente lasciare la sua prestigiosa poltrona
nelle mani dei democratici che, a partire da Michele Emiliano, sono già
sull’uscio pronti a occuparla. E se davvero le cose andranno come sembra
oggi, a quel punto Vendola potrebbe decidere di restare alla guida
della Puglia fino alla fine del mandato, una carica molto più visibile e
prestigiosa rispetto a un ruolo di parlamentare, più o meno graduato.
Antonio Calitri - Italia Oggi La blindatura delle candidature di Sel
Sono
stati ufficializzati quest’oggi, in seguito all’assemblea nazionale di
Sinistra Ecologia Libertà, i nomi dei candidati appartenenti al “listino
bloccato” e che, di conseguenza, non dovranno sottoporsi alle primarie
interne per il partito. Di questi, 12 appartengono agli organi
dirigenziali (in modo particolare al coordinamento nazionale) e 10 sono
esterni al partito.
Per i primi spiccano i nomi di Titti Di
Salvo (presidenza nazionale), Celeste Costantino (presidenza nazionale),
Francesco Ferrara (responsabile nazionale organizzazione), Sergio
Boccadutri (tesoriere), Francesco Forgione (membro dell’assemblea
nazionale), Maria Luisa Boccia (presidentessa dell’assemblea nazionale),
più quelli dell’intero coordinamento nazionale: Nicola Fratoianni,
Massimiliano Smeriglio, Gennaro Migliore, Claudio Fava, Monica Cerutti,
Loredana De Petris, Grazia Francescato. L’unica “esclusa” è Chiara
Cremonesi, attuale consigliera in Lombardia, che dovrebbe impegnarsi
attivamente per le prossime regionali.
Di questi, due hanno ottenuto la deroga:
Claudio Fava e Francesco Forgione. Lo Statuto di Sel, all’art.12 comma
6, prevede infatti che «non è ricandidabile [...] chi abbia ricoperto
tre mandati pieni di consigliera/e regionale o parlamentare (nazionale o
europeo, anche non consecutivi). La deroga è possibile col voto a
maggioranza qualificata di 2/3 dell’ Assemblea nazionale».
La “lista bloccata” viene completata dai
10 esponenti appartenenti al mondo del lavoro, civico e
sindacale: Roberto Natale (segretario Fnsi), Laura Boldrini (portavoce
commissariato Onu rifugiati), Giorgio Airaudo (Fiom), Giulio Marcon
(portavoce ‘Sbilanciamoci’), Giulio Volpe (rettore università di
Foggia), Pape Diaw (portavoce comunità senegalese Firenze), Ida
Dominjanni (giornalista), Monica Frassoni (co-presidentessa dei Verdi
europei), Giovanni Barozzino (uno dei tre operai licenziati dalla Fiat
Sata di Melfi).
In conferenza stampa, Nichi Vendola ha
dedicato parole particolari proprio a Barozzino: «Esattamente come Mario
Monti, vogliamo iniziare la nostra campagna elettorale da Melfi. Ognuno
sceglie da che parte stare: anche noi abbiamo scelto».
red. - Pubblico giornale
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