mercoledì 6 maggio 2015

Matteo Renzi, ovvero del nulla. Il nuovo libro di Michele Prospero che disintegra Renzi e il renzismo

MATTEO RENZI
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Uno Stato che sull'orlo della tomba fa una riforma elettorale, ha diritto a essere descritto come un marrano della storia del mondo.
Recita così un aforisma di Karl Kraus citato nell'ultimo libro del filosofo Michele Prospero. Il titolo è Il nuovismo realizzato. L'antipolitica dalla Bolognina alla Leopolda ed è un libro eccezionale che vale la pena leggere per tante buone ragioni. Intanto, nonostante il titolo possa ingannare, non si tratta di un pamphlet o del classico instant book, ma è un volume approfondito, puntuale e corposo e nello stesso tempo leggibile e gustabile. Ma, soprattutto, è un volume che ricostruisce, in maniera critica, alcuni dei passaggi decisivi degli ultimi venticinque anni della sinistra italiana e del nostro sistema politico, utile a capire bene come vi siano solidi nessi causali tra ciò che è stato e il punto in cui siamo arrivati.
Una prima tesi del volume, come per altro recita il sottotitolo, è il legame che unisce la resistibile ascesa di Matteo Renzi con la fine del Pci, o meglio con le modalità e le culture politiche con le quali il gruppo dirigente comunista di allora, guidato da Achille Occhetto, liquidò il partito comunista e si avventurò per altre vie senza passare in maniera decisiva per il socialismo europeo. Quando nei primi anni Novanta la cosiddetta "prima Repubblica" entrò in crisi, il nuovo partito guidato da Occhetto preferì scegliere la via della società civile, dell'antipartitismo, dei referendum, della repubblica dei cittadini, dei governi tecnici, dell'elezione diretta dei sindaci, del maggioritario. Anziché trionfare, Occhetto fu il primo a essere travolto dall'onda nuovista. Arrivò, infatti, Berlusconi e durò vent'anni.
Quelle idee sostenute da Occhetto, però, non scomparvero, anzi sono state alla base di molti sviluppi futuri. Scrive Prospero:
Il rapporto che lega Occhetto a Renzi è questo. Le sue gesta nei primi anni Novanta hanno creato un sistema dai piedi d'argilla, pronto a escursioni carismatiche. Il nuovismo realizzato è un regime fondato sul nulla con un'antipolitica lieve che pretende di arrestare l'onda del populismo forte. Dal presidenzialismo municipale, ai partiti personali, alle file nei gazebo tutto è concepito per liquidare ogni solida forma del politico e riesumare così i vizi antichi del trasformismo e dell'irrazionale culto del capo con virtù affabulatorie.

In questa storia, perciò, Renzi rappresenta non un'eccezione, ma un punto di arrivo prevedibile e naturale; le eccezioni, semmai, sono rappresentate del primo D'Alema e, in parte, da Bersani che hanno provato a ricostruire sia il partito che il sistema politico su un terreno più solido.
Approfondito il nesso storico, Prospero passa alla critica del presente e mette magistralmente a nudo Matteo Renzi, scomodando i grandi del pensiero, a partire da Machiavelli. Secondo l'autore Renzi agisce come un politico rinascimentale, che non ha una cultura delle regole, degli ordinamenti e delle istituzioni e punta al potere per il potere, senza visione. Per fare ciò utilizza ogni mezzo, come l'inganno, il tradimento, la spietatezza, la congiura, la faida. Il suo scopo è la vittoria sua e della sua fazione e perciò Renzi impone un conflitto distruttivo permanente, lo stesso della Firenze del Cinquecento contro il quale ha scritto pagine insuperabili Machiavelli.
Per molti Renzi sarebbe un grande leader carismatico, il cui avvento si sarebbe atteso da tempo, in grado finalmente di portare alla vittoria la sinistra e l'Italia. Ma è davvero così? Prospero risponde utilizzando le pagine di Max Weber, il grande sociologo tedesco che ha teorizzato il carisma, facendo vedere come Matteo Renzi non abbia nulla in comune con il leader carismatico. Quest'ultimo, infatti, si forma nel partito e nelle istituzioni, luoghi nei quali dimostra le sue capacità di leadership, la sua cultura politica, la propensione a interpretare i fenomeni politici e sociali e a elaborare visioni profonde, solide. Per queste sue capacità il leader emerge e ascende alla guida: per le caratteristiche sue e anche grazie per la capacità di selezione da parte del partito.
Nulla di questo si troverebbe in Renzi. Scelto dai gazebo dopo che media e gruppi di potere economico compiacenti ne hanno costruito e supportato l'impresa, Renzi arriva da totale inesperto nelle stanze dei bottoni, senza neanche passare per un incarico parlamentare, un caso unico. Così egli ha letteralmente scalato dall'esterno il Pd trasformandolo in un partito personale, diretta espressione del leader al quale tutti ubbidiscono. Scarsa è la capacità di elaborazione politico-culturale di Renzi che già emergeva nel documento con il quale ha vinto il congresso, il quale spiccava, secondo l'autore, per il vuoto di proposta politica. In generale, nei discorsi e nei "documenti" di Renzi, alla rigorosa analisi critica dei fenomeni in corso, si sostituisce una misera banalizzazione fatta di slogan, luoghi comuni, frasi fatte, dove, per altro, abbondano cadute lessicali e persino lacune grammaticali che Prospero elenca puntigliosamente. Il tutto in linea con i 140 caratteri dei tweet con i quali Renzi è abituato a comunicare e che contribuiscono a mantenere quel rapporto diretto tra il leader e il popolo tipico del populismo.
Scrive ancora Prospero:
La leadership di Renzi marcia con una esplicita rincorsa di stili populistici per coprire, con un nichilismo sorridente, la ragnatela degli interessi che la sorregge.
Qui c'è un passaggio importante: infatti per mantenere la fiducia della troika e ricompensare la Confindustria di Squinzi, Renzi si è schierato contro i sindacati e il mondo del lavoro, adottando il Jobs Act e portando in dono a questi poteri "lo scalpo dell'articolo 18". Per queste ragioni, secondo Prospero, il problema non è tanto Renzi, un politico che per le sue venature populistiche e per la vaghezza delle sue proposte, potrebbe indistintamente essere leader sia del M5s che di Forza Italia. Il problema è il partito della sinistra che perso il riferimento al lavoro, abolita, con la formula del partito della nazione, la sua funzione parziale e conflittuale, destrutturata la sua organizzazione, vaga verso l'estinzione. Un esito drammatico che, per Prospero, occorrerebbe invertire al più presto.

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