di Francesco Marchiano'
Uno Stato che sull'orlo della tomba fa una riforma elettorale, ha diritto a essere descritto come un marrano della storia del mondo.
Recita così un aforisma di Karl Kraus citato nell'ultimo libro del filosofo Michele Prospero. Il titolo è Il nuovismo realizzato. L'antipolitica dalla Bolognina alla Leopolda
ed è un libro eccezionale che vale la pena leggere per tante buone
ragioni. Intanto, nonostante il titolo possa ingannare, non si tratta di
un pamphlet o del classico instant book, ma è un volume approfondito,
puntuale e corposo e nello stesso tempo leggibile e gustabile. Ma,
soprattutto, è un volume che ricostruisce, in maniera critica, alcuni
dei passaggi decisivi degli ultimi venticinque anni della sinistra
italiana e del nostro sistema politico, utile a capire bene come vi
siano solidi nessi causali tra ciò che è stato e il punto in cui siamo
arrivati.
Una prima tesi del volume, come per altro recita il
sottotitolo, è il legame che unisce la resistibile ascesa di Matteo
Renzi con la fine del Pci, o meglio con le modalità e le culture
politiche con le quali il gruppo dirigente comunista di allora, guidato
da Achille Occhetto, liquidò il partito comunista e si avventurò per
altre vie senza passare in maniera decisiva per il socialismo europeo.
Quando nei primi anni Novanta la cosiddetta "prima Repubblica" entrò in
crisi, il nuovo partito guidato da Occhetto preferì scegliere la via
della società civile, dell'antipartitismo, dei referendum, della
repubblica dei cittadini, dei governi tecnici, dell'elezione diretta dei
sindaci, del maggioritario. Anziché trionfare, Occhetto fu il primo a
essere travolto dall'onda nuovista. Arrivò, infatti, Berlusconi e durò
vent'anni.
Quelle idee sostenute da Occhetto, però, non scomparvero, anzi sono state alla base di molti sviluppi futuri. Scrive Prospero:
Il rapporto che lega Occhetto a Renzi è questo. Le sue gesta nei primi anni Novanta hanno creato un sistema dai piedi d'argilla, pronto a escursioni carismatiche. Il nuovismo realizzato è un regime fondato sul nulla con un'antipolitica lieve che pretende di arrestare l'onda del populismo forte. Dal presidenzialismo municipale, ai partiti personali, alle file nei gazebo tutto è concepito per liquidare ogni solida forma del politico e riesumare così i vizi antichi del trasformismo e dell'irrazionale culto del capo con virtù affabulatorie.
In questa storia, perciò, Renzi rappresenta non un'eccezione, ma un
punto di arrivo prevedibile e naturale; le eccezioni, semmai, sono
rappresentate del primo D'Alema e, in parte, da Bersani che hanno
provato a ricostruire sia il partito che il sistema politico su un
terreno più solido.
Approfondito il nesso storico, Prospero passa
alla critica del presente e mette magistralmente a nudo Matteo Renzi,
scomodando i grandi del pensiero, a partire da Machiavelli. Secondo
l'autore Renzi agisce come un politico rinascimentale, che non ha una
cultura delle regole, degli ordinamenti e delle istituzioni e punta al
potere per il potere, senza visione. Per fare ciò utilizza ogni mezzo,
come l'inganno, il tradimento, la spietatezza, la congiura, la faida. Il
suo scopo è la vittoria sua e della sua fazione e perciò Renzi impone
un conflitto distruttivo permanente, lo stesso della Firenze del
Cinquecento contro il quale ha scritto pagine insuperabili Machiavelli.
Per molti Renzi sarebbe un grande leader carismatico, il cui avvento si sarebbe atteso da tempo,
in grado finalmente di portare alla vittoria la sinistra e l'Italia. Ma
è davvero così? Prospero risponde utilizzando le pagine di Max Weber,
il grande sociologo tedesco che ha teorizzato il carisma, facendo vedere
come Matteo Renzi non abbia nulla in comune con il leader carismatico.
Quest'ultimo, infatti, si forma nel partito e nelle istituzioni, luoghi
nei quali dimostra le sue capacità di leadership, la sua cultura
politica, la propensione a interpretare i fenomeni politici e sociali e a
elaborare visioni profonde, solide. Per queste sue capacità il leader
emerge e ascende alla guida: per le caratteristiche sue e anche grazie
per la capacità di selezione da parte del partito.
Nulla di questo
si troverebbe in Renzi. Scelto dai gazebo dopo che media e gruppi di
potere economico compiacenti ne hanno costruito e supportato l'impresa,
Renzi arriva da totale inesperto nelle stanze dei bottoni, senza neanche
passare per un incarico parlamentare, un caso unico. Così egli ha
letteralmente scalato dall'esterno il Pd trasformandolo in un partito
personale, diretta espressione del leader al quale tutti ubbidiscono.
Scarsa è la capacità di elaborazione politico-culturale di Renzi che già
emergeva nel documento con il quale ha vinto il congresso, il quale
spiccava, secondo l'autore, per il vuoto di proposta politica. In
generale, nei discorsi e nei "documenti" di Renzi, alla rigorosa analisi
critica dei fenomeni in corso, si sostituisce una misera banalizzazione
fatta di slogan, luoghi comuni, frasi fatte, dove, per altro, abbondano
cadute lessicali e persino lacune grammaticali che Prospero elenca
puntigliosamente. Il tutto in linea con i 140 caratteri dei tweet con i
quali Renzi è abituato a comunicare e che contribuiscono a mantenere
quel rapporto diretto tra il leader e il popolo tipico del populismo.
Scrive ancora Prospero:
La leadership di Renzi marcia con una esplicita rincorsa di stili populistici per coprire, con un nichilismo sorridente, la ragnatela degli interessi che la sorregge.
Qui
c'è un passaggio importante: infatti per mantenere la fiducia della
troika e ricompensare la Confindustria di Squinzi, Renzi si è schierato
contro i sindacati e il mondo del lavoro, adottando il Jobs Act e
portando in dono a questi poteri "lo scalpo dell'articolo 18". Per
queste ragioni, secondo Prospero, il problema non è tanto Renzi, un
politico che per le sue venature populistiche e per la vaghezza delle
sue proposte, potrebbe indistintamente essere leader sia del M5s che di
Forza Italia. Il problema è il
partito della sinistra che perso il riferimento al lavoro, abolita, con
la formula del partito della nazione, la sua funzione parziale e
conflittuale, destrutturata la sua organizzazione, vaga verso
l'estinzione. Un esito drammatico che, per Prospero, occorrerebbe
invertire al più presto.
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