Un governo di truffatori si vede da certi dettagli. Come si
fa a conciliare le cifre già dichiarate nel Def sul bilancio con la
sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato la norma
Fornero-Monti sulla mancata (o limitata) indicizzazione delle pensioni
al di sopra di un certo livello? Semplice: si fa finta di rispettare la
sentenza e si tagliano del 50% le somme dovute ai pensionati che
percepiscono un assegno "cinque volte o più superiori al minimo".
Quindi, in un colpo solo, il governo medita di fregarsene di una sentenza e di agire retroattivamente sulle pensioni.
Intanto facciamo un po' di chiarezza. Le pensioni "cinque volte o più
superiori al minimo" comprendono - certamente - anche le pensioni d'oro
di personaggi come Giuliano Amato (un recordman, in questo settore) ed
altri privilegiati che hanno seduto in consigli di amministrazione o sui
banchi del Parlamento. Ma la maggior parte sono pensioni sotto i 2.000
euro al mese, praticamente quanto prende un insegnante con 42 anni di
contributi. Quindi l'argomentazione populista va quantomeno
differenziata a seconda che si tratti di "cinque volte il minimo" (2.500
euro lordi, meno di 2.000 netti) oppure "trenta o cento volte il
minimo".
La fucileria confusionaria era cominciata subito dopo la sentenza, ad
esempio col sottosegretario Enrico Zanetti che ritiene logico sostenere
che «Non rimborsare tutti è compatibile con la sentenza della
Consulta»; anzi, è «impensabile restituire le indicizzazioni delle
pensioni di molte volte superiori alla minima, per quelle più alte
sarebbe immorale e il governo deve dirlo forte. Occorre farlo per le
fasce più basse». Quando un governante fa il populista, la fregatura è
dietro l'angolo. Ma sorge anche il sospetto che sia stato fatto
sottosegretario un signore che non comprende il significato della
massima "la legge è uguale per tutti", e quindi considera una sentenza
della Consulta poco più che un'opinione tra tante.
A dargli man forte, nelle ore successive, era stato resuscitato
persino Mario Monti - autore con la Fornero del blocco sentenziato come
incostituzionale - che si chiedeva retoricamente come mai la Corte non
avesse tenuto conto di "altri limiti costituzionali come l'obbligo al
pareggio di bilancio". Obiezione interessante soprattutto perché
illumina su come i trattati e i vicoli europei distruggano dall'interno
la struttura giuridica e costituzionale dei paesi Ue, mettendo in
contrapposizione continua "i conti" e i diritti acquisiti.
Davanti a questa mostra di indifferenza per la legge, la stessa
Consulta si era sentita in dovere di spiegare che la sentenza 70/2015
vale erga omnes ed è immediatamente applicativa. Per chiederne
l’applicazione, in pratica non serve nemmeno presentare un ricorso: il
governo deve solo obbedire ed erogare la differenza indebitamente
trattenuta per tre anni.
Alla fine il governo ha incaricato Pier Carlo Padoan di stendere
l'ultimo velo di nebbia: «Stiamo pensando a misure che minimizzino gli
impatti sulla finanza pubblica, soprattutto in questa fase, nel pieno
rispetto della Corte». Botte piena e moglie ubriaca, nel migliore stile
renziano. Poi ci hanno pensato alcuni giornali padronali, ben inseriti
tra le teste fini del ministero dell'economia, a sciogliere il mistero
sul come fare: basta tagliare il rimborso del 50% a tutti. Poi, se a
qualcuno non sta bene, presentasse un altro ricorso alla Corte
Costituzionale e si preparasse ad aspettare un'altra sentenza (tra due o
tre anni).
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