Un assetto costituzionale può reggere o essere stravolto in
mille modi. L'occasione della partita decisiva, quella che segna
l'inversione di rotta, è quasi sempre casuale. Ma il punto centrale è
sempre lo stesso: lo schema regge o crolla? Sulle pensioni - non proprio per caso - si sta giocando esattamente
questa partita.
Ricapitoliamo: il governo Monti, con la riforma Fornero,
aveva annullato l'indicizzazione delle pensioni al di sopra di tre
volte il minimo (ovvero sopra i 1.400 euro lordi, mica solo a quelle
"d'oro"). La Corte Costituzionale ha sentenziato che quella decisione
del governo viola per l'appunto la Carta fondamentale ordinando la
restituzione del maltolto (accumulatosi nei quattro anni intercorsi). Il
governo Renzi ha colto l'occasione per decretare che il rimborso
sarebbe stato minimo per chi prende poco e nullo al di sopra dei 3.000
euro lordi, ma soprattutto per destabilizzare l'autonomia istituzione
della Consulta.
Su due direttrici: la Corte dovrebbe sempre "contemperare" la difesa
dei diritti costituzionali con l'altrettanto costituzionale (art. 81)
"obbligo al pareggio di bilancio". Una norma che costituzionalizza un
trattato europeo e quindi vincola tutti i futuri governi a fare scelte
di politica economica he rientrano in quel limite. Quindi a tagliare
diritti acquisiti, di qualsiasi tipo ed entità, se questi diritti comportano spesa.
Qual'è il problema? Che tutti i diritti sociali (pensioni, sanità,
istruzione, casa, ecc) prevedono un costo. Quindi rispettare il vincolo
di bilancio necessariamente deve comportare una compressione dei diritti sociali (quelli "civili" sono invece prevalentemente gratuiti o quasi).
La seconda direttrice, confortata da autorevoli editorialisti dei media di regime,
è decisamente più diretta: occorre cambiare la Corte Costituzionale.
Intanto infilandoci dentro, alla prima occasione (a scadenza di mandato
di uno dei componenti) qualcuno più "sensibile" alle ragioni dei conti
piuttosto che ai principi costituzionali. Non per caso, il primo nome
che gira è quello di Franco Bassanini, ex Pci-Pds-Pd, da molti anni alla
guida della Cassa Depositi e Prestiti. Che non sembra il luogo migliore
per fare esperienza di Costituzione Repubblicana...
Ora la questione viene ri-sollecitata da un'ingiunzione di pagamento,
diretta all'Inps, di appena tremila euro. Lo ha inviato il Tribunale
di Napoli, sezione lavoro, che il 29 maggio ha accolto il ricorso
effettuato da un pensionato partenopeo dopo la sentenza della Corte
Costituzionale. C'è comunque un problema di tempi: il ricorso era stato
presentato il 13 maggio scorso, 5 giorni prima che il governo
annunciasse il decreto sui rimborsi sulle pensioni. Quindi la sentenza
del Tribunale non ne tiene conto e ha deciso che il rimborso deve essere
integrale, non "parziale" e ridotto come previsto dal governo (per il
2012-13 il provvedimento riconosce la rivalutazione del 40%” per gli
assegni tra 3 e 4 volte il minimo, del 20% per quelli tra 4 e 5 volte il
minimo e del 10% per quelli tra 5 e 6 volte il minimo.; per il 2014-15
sarà rimborsato il 20% di quanto previsto per il biennio precedente).
Non entriamo nella contorta diatriba tra chi ritiene che il decreto
del governo sia valido sia per il futuro che per il passato (con effetti
dunque retroattivi, anche questi incostituzionali), oppure soltanto per
il passato. Quel che ci sembra importante sottolineare è invece la
logica padronal-governativa: la Costituzione va cambiata perché i
"diritti" non debbono poter essere tutelati di fronte a scelte
governative tese a eliminarli. Che si parli di pensioni o di qualsiasi
altra cosa.
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