giovedì 14 maggio 2015

L’intelligenza di John Maynard Keynes Vittorio Capecchi

Perché bisogna sostenere Varoufakis contro la Troika? Perché bisogna attaccare il modello antisindacale di Marchionne e appoggiare Landini? Quali sono gli scenari della economia oggi? Per rispondere a queste domande si può  raccontare la storia dello scontro tra l’intelligenza di Keynes, Adriano Olivetti e la FLM contro l’opacità del neoliberismo  e provo a fare questo racconto utilizzando esperienze personali [1] tra gli anni ’50 e gli anni ‘70 nello stile delle 150 ore che mi piacerebbe tanto contribuire a rilanciare
BN GC727 EDPJoh J 20141221112143John Maynard Keynes (1883-1946) è l’economista che ha rappresentato e ancora oggi rappresenta un’alternativa politica e teorica al neoliberismo. Due interrogativi: Che tipo di economista è stato Keynes e quale era il suo metodo di analisi? Le sue proposte sono ancora attuali?
1. La definizione di economia per Keynes
Keynes precisa nel 1924  che cosa intende per economia e per economista:
L’economia è una materia facile in cui però pochissimi eccellono. Il paradosso trova una spiegazione forse nel fatto che il grande economista deve possedere una rara combinazione di qualità. Deve raggiungere una certa perizia in svariati ambiti e coniugare doti che raramente si trovano nella stessa persona. Deve essere, in una certa misura, un matematico e uno storico, uno statista e un filosofo. Deve sapersi esprimere, ed essere in grado di comprendere i simboli. Deve saper cogliere il generale nel particolare, e abbracciare l’astratto e il concreto nello stesso moto del pensiero. Deve studiare il presente alla luce del passato in vista di obiettivi futuri. Non deve trascurare alcun aspetto della natura o delle istituzioni dell’uomo. Deve essere ad un tempo risoluto e disinteressato, distaccato e incorruttibile come un artista, ma a volte anche pragmatico come un politico.[2]
Questa definizione di economia, che richiede una combinazione non facile di competenze necessarie per poterne parlare, viene ulteriormente precisata in due lettere scritte nel 1938 all’amico Roy Harrod[3] in cui l’economia è definita la scienza “che pensa per mezzo di modelli unita all’arte di scegliere i modelli pertinenti”  ed è anche “una scienza morale” che si basa “sull’ introspezione e su giudizi di valori”
L’economia è una branca della logica, un modo di pensare. … L’economia è la scienza di pensare per mezzo di modelli, unita all’arte di scegliere i modelli pertinenti per il mondo moderno. È necessario che sia così perché, a differenza delle scienze naturali, il materiale a cui si applica è per molti versi non omogeneo nel tempo. Lo scopo del modello è di separare i fattori quasi permanenti o relativamente costanti da quelli che sono solamente transitori o fluttuanti, in modo da sviluppare un modo logico di pensare a proposito di questi ultimi, e di comprendere le sequenze temporali a cui essi danno luogo in certe circostanze particolari (..). In secondo luogo, a differenza di quanto pensi Robbins, l’economia è essenzialmente una scienza morale e non una scienza naturale, in quanto si basa sull’introspezione e su giudizi di valore.
Desidero sottolineare enfaticamente il fatto che l’economia è una scienza morale. Ho già accennato all’uso che essa fa di introspezione e valori. Avrei potuto aggiungere che ha a che vedere con motivazioni, aspettative, incertezze psicologiche. Si deve essere costantemente attenti a non trattare questo materiale come se fosse costante ed omogeneo. È come se la caduta della mela al suolo dipendesse dalle aspirazioni della mela, se per lei sia conveniente o meno cadere a terra, se il suolo vuole che essa cada, e se vi sono stati errori di calcolo da parte della mela sulla sua reale distanza dal centro del pianeta
In quanto scienza morale diventa allora importante la conoscenza dei valori che hanno orientato la sua vita politica e intellettuale. Keynes, come scrive Lunghini, faceva parte “della educated burgeoisie, la borghesia colta e illuminata. A Keynes il marxismo era culturalmente estraneo; del comunismo comprendeva alcune ragioni ma non la filosofia sociale”[4]. Keynes è stato un raffinato intellettuale capace di dissertare sull’arte e la bellezza come sulla matematica e la logica (Bertrand Russel  scrisse che “Keynes aveva la mente più acuta e limpida che mai abbia incontrato”[5]) e si è mosso tra circoli accademici esclusivi come quelli del King’s College di Cambridge al gruppo di Bloomsbury a Londra che aveva al centro Virginia Woolf. Questo econonomista illuminato ha dimostrato che il capitalismo non possa autoregolarsi anche perché si tratta di un capitalismo “decadente” che “non è intelligente, né bello, né giusto, né virtuoso, né si comporta come dovrebbe”[6]. Prense le distanze dal comunismo[7] ma credette con Marx che il capitalismo era finalizzato non al benessere di tutti ma al profitto di pochi sulla base di un processo Denaro-Merce-Denaro[8]. Non vide alternative al capitalismo ma pensò che era possibile “organizzalo meglio”.
2. Il metodo di analisi di Keynes
In un suo intervento del 1925 dal titolo “Sono un liberale?”[9] affronta cinque problemi  (i problemi della pace, i problemi di governo, i problemi sessuali, i problemi dell’alcolismo e della droga, i problemi economici) e si dichiara pacifista, a favore della creazione  di enti semiautonomi senza pregiudicare i principio democratico o la sovranità ultima del parlamento, contro la visione “medievale” dello Stato in materia di reati sessuali e di anticoncezionali, indica la possibilità di far fare esperienze diverse a tossicomani e persone vittime del gioco d’azzardo, disegna una scenario dell’economia in cui abbandonando il laissez faire del liberismo storico  si arrivi a un regime “che tenda coscientemente al controllo e alla direzione delle forze economiche nell’interesse della giustizia e della stabilità sociale”. Nel saggio “Le prospettive economiche per i nostri nipoti” del 1924 scrive che “l’amore per il denaro, per il possesso del denaro” sarà un giorno definita “un attitudine  morbosa e repellente, una di quelle inclinazioni a metà criminali e metà patologiche da affidare con un brivido agli specialisti di malattie mentali”[10].
Come scrive Skidelsky queste sue capacità di muoversi lungo  crinali diversi orientato dai valori  prima ricordati si i sono inseriti, nella vita di Keynes,  in  cicli e fasi di pensiero e azione:
Keynes fu una di quelle rare persone capaci di coniugare pensiero e azione ai massimi livelli. La sua vita  si compose di cicli o fasi, in cui l’accento si spostava ora sul pensiero ora sull’azione. Non vi è alcun dubbio che queste oscillazioni fossero legate a ciò che avveniva nel mondo. In alcuni periodi, in particolare durante le due guerre mondiali, fu sollecitato soprattutto il genio pratico di Keynes, ed egli ottenne non poche soddisfazioni nel metterlo a diposizione del mondo.[11]
Si può parlare di un “metodo keynesiano”? Sono ricordate due proposte interpretative.
La prima è quella di Anna Maria Carabelli che inizia a occuparsi  del metodo di Keynes nel 1988[12] e che recentemente, con Mario Cedrini ha pubblicato un testo  in cui sintetizza le sue riflessioni su questa tematica[13]. Il punto di partenza è il libro di Keynes A Treatise on Probability (scritto nel 1907-08 e pubblicato nel 1921) che è la sua “guida pe la vita” che permette di capire la stesura della General Theory.
Keynes, come sottolinea Robert Skidelsky, “fu il primo economista a porre l’incertezza al centro della problematica economica e a sollevare la questione della portata e del significato della razionalità nella teoria economica. La razionalità è possibile in un mondo incerto, e come va definita?”[14]. E perché Keynes parla degli “strani rapporti tra il probabile e il dover essere[15]? Skidelsky risponde a questo interrogativo analizzando il Keynes del A Treatise of Probability
L’argomentazione di Moore mostra, secondo Keynes, che egli deve aver utilizzato una teoria empirica o frequentistica della probabilità secondo la quale un‘affermazione probabilistica dipende dalla conoscenza certa che “A accadrà più spesso di B”. E’ molto facile che una simile certezza sulla conoscibilità di eventi che si riferiscono a un lontano futuro non sia ottenibile:  Ciò però non significa che dobbiamo arrenderci alla morale convenzionale. Keynes asserisce che con la l’affermazione” A è più probabile di B” si intendeva qualcosa di diverso. Egli continua “Io intendo dire qualcosa come “la mia evidenza  in favore di A è maggiore di quella in favore di b; sto facendo una affermazione che si riferisce all’evidenza in mio possesso, non sto affermando  che nel lungo periodo Accadrà più spesso di B” ,(..) Più in generale Keynes collega la razionalità con l’opportunità. (..) La teoria della probabilità  delineata da Keynes fornisce una logica dell’azione  che permette di scegliere, fra i possibili oggetti verso cui indirizzare l’azione, il più appropriato in circostanze determinate.[16]
Carabelli e Cedrini[17] proseguono questo tipo di analisi e scrivono che per Keynes “la probabilità varia con l’ammontare di conoscenza disponibile in un dato periodo e sottospecifiche condizioni cognitive”. Keynes “non ricerca una assoluta razionalità o la verità ma la ragionevolezza  che è contingente al variare delle circostanze cognitive e che non sempre dipende dal successo o dal fallimento delle aspettative”. Occorre avere consapevolezza che “la natura del materiale che serve all’economia è caratterizzata da vaghezza, eterogeneità, non divisibilità, interdipendenza organica. La formalizzazione matematica può esprimere relazioni funzionali tra variabili ed aiutare a individuare gaps e imperfezioni nel modo di pensare ma non può sostituire la logica”. In altre parole le relazioni per Keynes sono “sostanzialmente indeterminate” e The General Theory può essere vista come “un vademecum della scienza economica” basata su due stadi di analisi: dal capitolo 1 al 17 l’analisi è condotta sulla base dell’assunto che le variabili sono indipendenti essendoci poi, nella parte finale della The General Theory un secondo stadio in cui si fa un uso diretto intuitivo  di giudizi di rilevanza e “si può parlare di causa conoscendi la causa che dipende dalla nostra  conoscenza degli eventi e non di causa essendi, la causa per la quale una cosa è ciò che è”. I due autori concludono affermando che “The General Theory è un metodo” e non un trattato di macroeconomia in cui si piegano le relazioni tra variabili. E’ quindi un modo di vedere l’economia come una scienza che vede la complessità al centro della sua analisi e affronta gli “strani rapporti tra il probabile e il dover essere
Un seconda interpretazione del metodo di Keynes è stata fatta da un matematico dell’Università di Cambridge, John Coates che ha scritto un libro[18] che ha in copertina un quadro di Mark Tansey dal titolo “Innocent Eye Test” in  cui a una mucca viene mostrato un quadro in cui sono ritratte due mucche per verificarne il  realismo. Perché questa relazione tra la realtà e le sue rappresentazioni è utile per capire Keynes?
Coates documenta come sia avvenuto in Keynes  “un cambiamento sia nello stile che nella sostanza dell’analisi economica”[19] e identifica questo periodo di transizione  negli anni 1932-35 (gli anni che precedono la stesura di The General Theory che esce nel 1936) Keynes  viene visto da Coates come un esperto di logica e matematica che di fronte ai drammi del mondo come la prima guerra mondiale, la disoccupazione e la crisi del ’29, l’emergere del nazismo in Europa accetta la sfida  di formulare una teoria  che esca dalle astrazioni e assuma un ruolo strumentale rispetto alla pratica. La teoria che Keynes elabora alla fine della The General Theory “Note conclusive sulla filosofia sociale alla quale la teoria generale potrebbe condurre”  si impadronisce di un linguaggio ordinario in cui è accettata la vagueness, l’elaborazione di un ragionamento basato sul senso comune (common sense)  e viene abbandonata la ricerca di precisione perché questa ricerca ha portato la disciplina a conclusioni non ragionevoli. Come scrive Coates:
Keynes arriva ad esaminare  la “scissione tra le conclusioni alle quali arriva la teoria economica e il senso comune” cosi come egli ha commentato la divergenza sistematica tra teoria logica e ogni forma di ragionamento espresso nella vita quotidiana. In entrambi casi la ricerca di precisione ha portato le discipline a conclusioni non ragionevoli. In quell’epoca e con riferimento alla teoria della occupazione Keynes dichiarò che “egli stava ritornando alla antica tradizione del senso comune”.[20]
Coates vede l’utilizzazione del common sense e del linguaggio ordinario come una via intermedia tra  la filosofia analitica e il post-strutturalismo[21] in linea con la definizione data da Keynes dell’economia come scienza morale.
3. L’attualità del pensiero di Keynes
Passiamo brevemente al secondo interrogativo sull’attualità delle proposte keynesiane e sono presentati alcuni esempi di “attualità” iniziando con le politiche regionali per poi passare alle proposte che Keynes faceva in relazione agli organismi internazionali.
Sull’intervento dello Stato nei diversi territori viene segnalata  l’antologia curata da Pierluigi Sabbatini che analizza e presenta saggi di Keynes che precisano le sue proposte nel periodo 1925-31 e 1932-39. Keynes presenta in un suo testo del 1932[22] una serie di esempi che lui considera di corretto intervento dello Stato nell’economia:
La pianificazione consiste nel fare quelle cose che sono, per loro natura, al difuori della portata dell’individuo (..). Vi offrirò alcuni esempi (..): (a)La distribuzione del carico fiscale con un occhio ai suoi effetti sull’industria e uno alla distribuzione dei redditi e della ricchezza è un esempio di pianificazione statale (..); (b) Se  vogliamo, invece, degli esempi di settori nei quali ancora non pianifichiamo o lo facciamo in modo inadeguato, una buona esemplificazione può essere fornita dalla programmazione urbanistica e dalla conservazione dell’ambiente naturale (..); (c) Un accorta pianificazione volta ad influenzare la localizzazione delle industrie (..) per evitare un trasferimento dell’industria assai devastante da un punto di vista sociale (..); (d) Influenzare consapevolmente le condizioni e l’ambiente  che determinano il tasso di crescita della popolazione, dell’emigrazione e dell’immigrazione (..); (e) evitare o mitigare  la crisi industriale (..) la pianificazione statale diretta al mantenimento del livello ottimale della produzione industriale e dell’attività economica e dell’abolizione della disoccupazione , è il più importante e al tempo stesso, il più difficile compito che abbiamo davanti a noi (..); (f) Rinnovare l’amministrazione e ampliarla con nuovi organismi dovrebbe dimostrarsi compatibile con un governo democratico e parlamentare.[23]
Sono questi esempi di interventi a favore della occupazione e dello sviluppo sociale ed economico di un territorio che fanno scrivere nel 1949 il Piano del Lavoro della Cgil,  presentato da Giuseppe Di Vittorio al congresso nazionale di Genova,  all’interno del pensiero di Keynes[24] ed è tutto a favore di Keynes il libro scritto da Giorgio La Pira nel 1951 L’attesa della povera gente[25] che per una “lotta organica alla disoccupazione e alla miseria” vede solo due vie sicure: Keynes e il Vangelo[26] .
I compiti dello Stato indicati da Keynes sono al centro di due saggi di Giorgio Lunghini[27] che vede soprattutto attuale “non il Keynes del breve periodo e della spesa pubblica bensì il Keynes dell’ultimo capitolo della General TheoryT[28] che inizia con l’affermazione che “i difetti più evidenti della società economica in cui viviamo sono l’incapacità di assicurare la piena occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi”[29]. Come ha scritto Robert Skidelski a proposito della General Theory:
Marx aveva accusato gli economisti  suoi contemporanei di non tener conto della lotta di classe; Keynes li accusò di aver ignorato l’esistenza dell’incertezza. (..) La Teoria generale è un dramma  i cui protagonisti sono le cose, oltre agli esseri umani. Se Marx fu il poeta dei beni materiali, Keynes è il poeta della moneta (..) ”La moneta è la radice di ogni male” potrebbe essere il sottotitolo della Teoria generale.(..) Il panorama sociale della Teoria generale mette in mostra una classe di rentiers negatrice della vita, dedita alla pratica del non consumo per allontanare il giorno del godimento una classe imprenditoriale guidata da aspettative di trionfi e disastri; una classe lavoratrice vittima non tanto di una oppressione deliberata, ma dal comportamento instabile dei datori di lavoro; e, oltre lo spartiacque, la visione radiosa di città abbellite  e di paludi prosciugate, e di un’esistenza beata a portata di tutti grazie alla guida benigna di uno Stato platonico.[30]
Skidelski intitola questo capitolo “Mirare alla luna” e Lunghini, che esplora i nuovi compiti di uno Stato capace di rappresentare una “guida benigna” per i giorni di oggi, è consapevole di proporre una sfida difficile. Egli scrive:
Keynes sapeva bene che il suo manifesto era, se non rivoluzionario, oltraggiosamente radicale: “Suggerire un’azione sociale per il bene pubblico alla City di Londra è come discutere L’origine della specie con un vescovo del 1865”. Perciò spiegava che l’allargamento delle funzioni del governo da lui predicato, mentre sarebbe sembrato a un pubblicista dell’Ottocento o a un finanziere americano contemporaneo una terribile usurpazione ai danni dell’individualismo, era da lui difeso “sia come l’unico mezzo attuabile per evitare la distruzione completa delle forme economiche esistenti, sia come la condizione di un funzionamento soddisfacente dell’iniziativa individuale”[31]
Lunghini vede le possibilità di uno Stato “intelligente, ecocompatibile e inclusivo” se le indicazioni di Keynes fossero accolte da una Unione Europea capace  di esprimere “una propria sovranità, intesa a liberarsi della signoria del denaro e ad affermare invece la signoria sul denaro”[32]
Il disegno di Keynes era ancora più  coraggioso, troppo per quei tempi (per non parlare dei nostri). Keynes proponeva un fondo con accesso a risorse pari alla metà delle importazioni mondiali, mentre il Fondo Monetario internazionale attualmente, controlla una liquidità pari a meno del 3 per cento delle importazioni mondiali. Keynes inoltre concepiva  il FMI come una banca centrale mondiale, che emetteva  una propria valuta (il bancor) (..) L’International Trade Organization immaginata da Keynes aveva funzioni molto più ampie di quelle dell’attuale Organizzazione mondiale  per il commercio (WTO). L’ITO di Keynes non doveva soltanto mantenere la libertà degli scambi, ma anche favorire la stabilizzazione dei prezzi mondiali dei beni di consumo attraverso una adeguata politica delle scorte. I prezzi internazionali di lungo periodo dei beni di consumo, d’altra parte, per Keynes dovevano essere fissati in relazione sia alle condizioni economiche necessarie per una produzione efficiente, sia ai requisiti nutrizionali e4 di altra natura necessari per garantire standard di vita decenti per i produttori di beni primari.[33]
Robert Skidelski che scrive su Project Syndacate[34] ricorda il Keynes delle Prospettive economiche per i nostri nipoti del 1930 già ricordato  e analizza la situazione durante la crisi attuale in cui non sono state fatte politiche keynesiane  con il risultato di avere una disoccupazione crescente formata da disoccupati, sottooccupati e persone espulse forzatamente dal mercato del lavoro con i ricchi e i molto ricchi che sono diventati ancora più ricchi. I risultati del progresso tecnologico sono stati essenzialmente appropriati dal capitale e quel che è peggio, sottolinea Skidelsky, tutto questo avviene in una sorta di “coazione a consumare”, mentre la quota di reddito che va al lavoro tende a sempre più a restringersi, e tendono ad aumentare le disuguaglianze tra i redditi. Un meccanismo perverso molto lontano dai reali bisogni dell’uomo. Risulta allora quanto mai necessario riflettere sul messaggio che Keynes ci ha lascia con il pamphlet del 1930, perché è evidente che non sarà possibile uscire stabilmente dalla crisi e riavviare il processo di sviluppo se la legge del profitto di mercato rimarrà arbitro incontrastato del contesto economico.
Ultimo esempio quello di Anna Carabelli e Mario Cedrini[35] che affrontano il tema del disordine del neoliberismo e di un nuova Bretton Woods. In questo libro viene ricordato il saggio di Keynes su Le conseguenze economiche della pace[36]scritto nel 1919 in cui si opponeva, ritenendole ingiustificate, alla riparazioni dei danni di guerra da parte della Germania decise dal Trattato di Versailles. Keynes si rivolgeva al Presidente Wilson  degli Stati Uniti per l’abolizione del debito tedesco, una proposta che combinava “sollecitudine e generosità” perché “L’Europa se deve sopravvivere alle presenti difficoltà, avrà bisogno di tanta magnanimità da parte dell’America  quanta ne deve esercitare essa medesima” . All’abolizione del debito della Germania, Keynes  aggiungeva la proposta di “un piano di prestito internazionale di responsabilità condivisa per gli squilibri, al quale avrebbero partecipato tutti i Paesi coinvolti (persino il nemico e le nazioni neutrali) e che avrebbe permesso, eliminato il peso dei debiti e ridotte le rIparazioni tedesche, il rilancio del continente”[37]. Gli insegnamenti di Keynes agli Stati Uniti per tutelare la Germania dovrebbero oggi essere rivolti oggi alla Germania per tutelare la Grecia.
Questi esempi di testi keynesiani “attuali” mostrano l’importanza attribuita da Keynes a una visione di “economia come scienza morale” che rende necessario innovare nelle politiche regionali e nell’intervento dello Stato insieme a “una adeguata rivoluzione nelle relazioni internazionali”. Contro le “certezze della globalizzazione” il metodo di Keynes che parla di  valori per affrontare “l’incertezza e  la complessità” è ancora ricco di insegnamenti da raccogliere. Ma, come scrive Lunghini “”il capitalismo non può, siccome non vuole, essere migliorato[38]

Note
[1] Mi sono iscritto alla Bocconi di Milano nel 1956 e in quell’anno  economia politica era insegnata da Giovanni Demaria che nel suo libro di testo Lo stato sociale moderno (Casa Editrice Ambrosiana, Milano, 1946) indicava le linee seguite come presidente della Commissione economica per la Costituente: una “repubblica democratica fondata sul lavoro” che “ripudia la guerra”. Proprio nel 1956 era avvenuta alla Bocconi una rivoluzione teorica importante: per la prima volta vi insegnava Ferdinando di Fenizio che introduceva in quella università gli insegnamenti di John Maynard Keynes (Le leggi dell’economia in quattro volumi: Il metodo dell’economia politica e della politica economica, Il sistema economico, La funzione del consumo, Diagnosi previsioni politiche congiunturali in Italia, Editrice L’Industria, Milano 1958). Dopo la laurea  nel 1961 con una tesi in sociologia matematica (relatori Francesco Brambilla e Angelo Pagani) divento assistente di statistica con Brambilla e per tre anni (1962-1964) ricevo una borsa di ricercatore junior dal Centro di Psicologia della Olivetti di Ivrea (responsabile scientifico Cesare Musatti, ricercatori senior Francesco Novara e Renato Rozzi). La tesi in sociologia matematica mi porta  a frequentare la Columbia University di New York invitato da Paul F. Lazarsfeld  (nel 1966 esce il primo numero da me diretto  della rivista di modelli matematici in inglese Quality and Quantity). New York negli anni ’60 mi permette  di avere contatti con la Radical Economy e la Radical Sociology e questi incontri mi portano a dirigere una seconda rivista Inchiesta (il primo numero esce nel gennaio del 1971) e a coordinare l’ufficio studio della FLM  (Federazione Lavoratori Metalmeccanici) prima di Bologna e poi dell’Emilia Romagna dal 1973 al 1982.
[2] J. M. Keynes, “Alfred Marshall”, 1924, tr. it.  “Alfred Marshall”, in J. M. Keynes: Sono un liberale? E altri scritti, Adelphi, Milano , 2010, p. 79. La segnalazione di questa definizione è in R. Skidelsky, Keynes, 1996, tr. it Keynes, Il Mulino, Bologna, 1998, pp. 15-16
[3] Le due citazioni sono riportate nel vol. XIV dei Collected Writings of John Maynard Keynes, a cura di D. E. Moggridge, Macmillan e Cambridge University Press, 1973, pp. 296-300. Le traduzioni e segnalazioni sono di Daniele Besomi, “Il consigliere del principe. Riflessioni sull’economia, la sua storia , i suoi usi e abusi”, Studi e note di economia 3/2006, p. 17
[4] G. Lunghini: “Almeno Keynes”, introduzione a J. M. Kaynes, La fine del laissez-faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p.9
[5] R. Skidelsky, Keynes, op. cit. , p.10
[6] J. M. Keynes, Essays in Persuasion, 1931, tr. it Esortazioni e profezie, Il Saggiatore, Milano 1968 pp. 92 sg.
[7] J. M. Keynes, “ A Short View of Russia”, 1925 ; tr. it. “Un breve sguardo alla Russia” , in  J. M. Keynes, Sono un liberale e altri scritti, op. cit , pp. 175-196
[8] Su questo punto si rinvia al saggio di G. Lunghini “Almeno Keynes!” introduzione a J. M. Kaynes, La fine del laissez-faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 9-10
[9] J. M. Keynes, “Am I a Liberal? “, 1925; tr. it. “Sono un liberale?”, in J. M. Keynes, Sono un liberale e altri scritti, op. cit. , pp. 159-172
[10] J. M. Keynes, “Economic Possibilities for our Granchildren”, 1930; tr. it. “Possbilità econmiche per i nostri nipoti”, in  J. M. Keynes, Sono un liberale e altri scritti, op. cit , p. 244
[11] R. Skidelsky,  vol. I Speranze tradite, op. cit., p. 322
[12] A. M. Carabelli, On Keynes’s Method, Macmillan, London 1988
[13] A.M. Carabelli, M. A. Cedrini “Keynes, Epistemology, Method, Economics”,in  K. Hirte S. Thieme, W. Otto Otsch (eds), Wissen? Zu Warheit, Theorien und Glauben sowie okonomischen Theorien, Metropolis-Verlag, Marburg, 2014, pp. 183-189
[14] R. Skidelsky, Keynes, op. cit., p.51
[15] R. Skidelsky, John Maynard Keynes, I. Hopes Betraied  1883-1920 ,1983, tr. it. John Maynard Keynes, I. Speranze tradire, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p.201
[16] R. Skidelsky, op. cit,, pp.202-203
[17] A. M. Carabelli, M.A. Cedrini, op.cit.
[18] J. Coates, The claims of common sense. Moore,  Wittengstein , Keynes and the social sciences, Cambridge University Press, Cambridge 1996
[19] J. Coates, op. cit. p. 144
[20] J. Coates, op. cit., p.145. le due citazioni di Keynes sono da Collected Works, vol. 7 p.350 e vol.13, p.552
[21] E’ questa l’interpretazione data al libro di Coates da John B,. Davis: ”Common sense: a middle way between  formalism and post-sructuralism?”, Cambridge Journal of Economics, 1999, 23, pp. 503-515
[22] J. M. Keynes: “State planning”, discorso radiofonico del 14 marzo 1932; tr. it “La pianificazione statale” in J. M. Keynes, Come uscire dalla crisi (a cura di P. Sabbatini), Laterza, Bari 2012, pp.59-68
[23] J. M. Keynes, op. cit. , pp.62-67 . Le lettere per distinguere gli esempi sono state aggiunte al testo di Keynes
[24] M. Gozzalino, Keynes e la cultura della Cgil: un’analisi del Piano del lavoro nella prospettiva della Teoria generale, Ediesse, Roma 2010. Sul Piano del Lavoro si segnala la recente antologia di scritti a cura di F. Loreto, Sul Piano del Lavoro della Cgil , antologia di scritti 1949-1950, Ediesse, Roma 2013
[25] G. La Pira, L’attesa della povera gente, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1951
[26] Sulla figura di Giorgio la Pira si rinvia a V. Capecchi, “la Pira 1951: Lattesa della povera gente”, Inchiesta 182, ottobre-dicembre 2013, pp.4-5. La Pira sindaco di Firenze  e terziario francescano (abitava da sindaco in una piccola cella nella Chiesa di S. Marco) espresse molto bene il significato di economia come scienza morale: concesse le case non utilizzate agli sfrattati in base a una legge del 1865, sostenne gli operai della Pignone, e poi della Galileo, che occupavano la fabbrica, andò in Viet Nam per incontrare Ho Chi Minh per incidere sull’ordine internazionale a favore del popolo vietnamita.
[27] G. Lunghini: “Almeno Keynes!”, introduzione a J. M. Kaynes, La fine del laissez-faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1991, pp. 7-15 ; G. Lunghini “I nuovi compiti dello Stato”, in M. Aglietta, G. Lunghini, Sul capitalismo contemporaneo, Bollati Boringhieri, Torino  2001, pp. 77-131
[28] G. Lunghini , “I nuovi compiti dello Stato” , op. cit., p.119
[29] J. M. Keynes,The General Theory of Employment, Interest and Money, 1936 tr. it. Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Utet, Torino, p. 566
[30] R. Shidelsky, John Maynard Keynes, II The Economist as Saviour !920-1937, 1992; tr. it.  John Maynard Keynes, II L’economista come salvatore 1920-1937, Bollati Boronghieri, Torino  1996, p. 654 e p.659
[31] G. Lunghini, I nuovi compiti dello Stato, op. cit., p. 122
[32] G. Lunghini, I nuovi compiti dello Stato, op. cit., p. 125
[33] G. Lunghini, I nuovi compiti dello Stato, op. cit., p. 126
[34] R. Skidelski, “Labor’s Paradise Lost” , Project Syndacate, 21, June 2012
[35] A. Carabelli, M. Cedrini, Secondo Keynes. Il disordine del neoliberismo e le speranze di una nuova Bretton Woods, Castelvecchi, Roma  2014
[36] J. M. Keynes, The Economic Consequences of the Peace, 1919;  tr. it. Le conseguenze economiche della pace, Adelphi, Milano 2007
[37] A. Carabelli, M. Cedrini, op. cit. p.. 68
[38] G. Lunghini, “Almeno Keynes!”, op. cit.,p.17

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