mercoledì 6 agosto 2014

Governo fa previsioni a vanvera, pil fermo e debito corre. La manovra ci sarà



Che cosa pen­se­reb­bero Orwell e Koyré se capi­tasse loro in sorte di vivere oggi qui tra noi? Entrambi furono col­piti dalla per­va­si­vità della men­zo­gna poli­tica, dalla sua capa­cità di rein­ven­tare la realtà a uso dei potenti. Ma rite­ne­vano che la fac­cenda riguar­dasse sol­tanto i regimi tota­li­tari. Un breve sog­giorno nell’«Italia di Renzi» li con­vin­ce­rebbe di aver pec­cato di otti­mi­smo. Sulla men­zo­gna poli­tica si fonda anche la post-democrazia popu­li­sta, nella quale – come nei tota­li­ta­ri­smi sto­rici – l’indottrinamento delle masse passa per i due ver­santi del men­tire: pro­met­tere disat­ten­dendo e rac­con­tare mistificando.
Pro­met­tere a van­vera è lo sport pre­di­letto dal nuovo padron­cino del paese. Alberto Asor Rosa ne ha for­nito su que­ste pagine una pun­tuale docu­men­ta­zione in tema di poli­tica indu­striale e di tutela dell’ambiente, del ter­ri­to­rio e dei beni cul­tu­rali, con­si­de­rati un valore solo se capaci di frut­tare denaro. Di qui la pre­vi­sione di «rot­ta­mare» le Soprin­ten­denze e di affa­mare set­tori non spen­di­bili nel turi­smo di massa come gli archivi e le biblio­te­che. Pos­siamo facil­mente aggiun­gere altri esempi rilevanti.
Nes­suna delle pur caute pre­vi­sioni di cre­scita eco­no­mica for­mu­late dal governo regge alla prova dei fatti. Il pil rista­gna (nono­stante i pin­gui pro­venti delle mafie) e il debito di con­se­guenza corre. A set­tem­bre ser­vi­ranno almeno 20 miliardi, ma Renzi giura che non ci sarà alcuna mano­vra aggiun­tiva. Mente sapendo di mentire.
Dap­prima, per dif­fe­rirla, aveva pen­sato a ele­zioni anti­ci­pate. Ora pre­an­nun­cia altri tagli alla spesa. Cioè una mano­vra nasco­sta. Nuovi taglieg­gia­menti a danno dei soliti noti che da sem­pre pagano per tutti.
Così si spie­gano anche i con­ti­nui bal­letti di quest’altra inde­cente «riforma» della Pub­blica ammi­ni­stra­zione, pro­pa­gan­data nel nome del ricam­bio gene­ra­zio­nale ma det­tata come sem­pre da ragioni di bilan­cio. Si era pro­messo di can­cel­lare una delle più macro­sco­pi­che por­che­rie della con­tro­ri­forma For­nero per­met­tendo ai «quota 96» della scuola (circa quat­tro­mila inse­gnanti) di andare final­mente in pen­sione. E invece tutto si è pun­tual­mente risolto in una bolla di sapone, con la con­se­guenza di per­pe­tuare un’ingiustizia para­go­na­bile a quella già inflitta agli esodati.
Ma è cer­ta­mente nell’arte del rac­conto misti­fi­ca­to­rio che la nuova classe diri­gente politico-mediatica dà il meglio di sé. Il pro­cesso di revi­sione costi­tu­zio­nale è costel­lato da un’orgia di men­zo­gne. Sul merito della «riforma». Su suoi pre­sup­po­sti e sulle sue con­se­guenze. Su quanto sta acca­dendo in Senato.
Né i media né tanto meno il governo spie­gano che, nono­stante tutti i maquil­la­ges, il com­bi­nato tra l’Italicum e la tra­sfor­ma­zione della Camera Alta sarà l’accentramento di tutti i poteri costi­tu­zio­nali nelle mani della lea­der­ship del par­tito di mag­gio­ranza rela­tiva. La for­male subor­di­na­zione del Par­la­mento, già scre­di­tato dalle mar­tel­lanti cam­pa­gne anti-casta e dalla cor­rut­tela dila­gante tra i suoi mem­bri. La fine del deli­cato equi­li­brio poliar­chico che ci ha sin qui bene o male pro­tetti da sem­pre incom­benti regres­sioni auto­ri­ta­rie. Altro che la mera ripe­ti­zione dell’esistente come argo­menta da ultimo Ilvo Diamanti.
Il pre­si­dente del Con­si­glio si appro­pria, non smen­tito, del risul­tato delle Euro­pee per mil­lan­tare un pre­sunto con­senso ple­bi­sci­ta­rio alle pro­prie ini­zia­tive e arro­garsi il diritto di cal­pe­stare ogni norma vigente, a comin­ciare da quella Costi­tu­zione che ha fer­ma­mente deciso di stra­vol­gere. Intanto ogni giorno veste indi­stur­bato i panni della vit­tima che subi­sce paziente insulti e ricatti. Pro­prio lui che prima ha squa­dri­sti­ca­mente dipinto i dis­sen­zienti come mise­ra­bili mossi da inte­ressi per­so­nali, poi annun­ciato la fine di ogni accordo con chi a sini­stra osasse con­tra­starlo. Salvo pron­ta­mente ricre­dersi, una volta veri­fi­cato che il saldo tra bene­fici (l’espulsione degli infe­deli dalle isti­tu­zioni) e costi (la crisi a mac­chia d’olio nelle ammi­ni­stra­zioni di città e regioni) sarebbe al momento sfavorevole.
Bugiardi e vio­lenti. Ma anche usur­pa­tori. Non ha torto Man­lio Pado­van quando, com­men­tando il mio arti­colo sulle for­za­ture del pre­si­dente della Repub­blica, afferma in una let­tera al mani­fe­sto che c’è una que­stione più rile­vante di quelle che io ricor­davo, costi­tuita dal soprav­ve­nuto defi­cit di legit­ti­mità di que­sto Par­la­mento (quindi dei suoi atti, com­presa la rie­le­zione di Napo­li­tano) dopo la sen­tenza della Con­sulta sul Por­cel­lum pub­bli­cata all’inizio di quest’anno. Anche su que­sto si è misti­fi­cato. Si è invo­cato il prin­ci­pio di con­ti­nuità dello Stato per soste­nere che la legi­sla­tura deve durare sino alla sca­denza natu­rale. È stata un’ennesima for­za­tura, forse la più grave, poi­ché dalla sen­tenza della Corte deri­vava per il pre­si­dente della Repub­blica l’incombente dovere poli­tico e morale (se non stret­ta­mente giu­ri­dico) di pre­scri­vere alle Camere l’immediata riscrit­tura della legge elet­to­rale quale pre­messa del ritorno anti­ci­pato alle urne. Si è fatto finta di nulla pur di tenere in vita un Par­la­mento ormai privo di legit­ti­mità. Al quale, in forza di un patto segreto sot­to­scritto da due capi­ba­stone, si riserva oggi il com­pito di riscri­vere la Costi­tu­zione e domani di eleg­gere il nuovo capo dello Stato.
E così tor­niamo alla «riforma» ren­ziana della Costi­tu­zione, sti­pu­lata con l’incappucciato di Arcore. Bene­detta dal Colle e impo­sta al Par­la­mento mercé l’uso man­ga­nel­lare dei rego­la­menti e la zelante com­pli­cità del pre­si­dente Grasso. Ci rivol­giamo final­mente a quella parte del Pd che ha alle spalle una sto­ria di lotte demo­cra­ti­che. Che si pensa erede del movi­mento ope­raio e della Costi­tuente anti­fa­sci­sta. Che dovrebbe a rigore rifiu­tarsi di fun­zio­nare come l’intendenza del «Par­tito di Renzi».
Come può que­sta parte poli­tica non avver­tire il peso della respon­sa­bi­lità che il suo par­tito si sta assu­mendo per volontà del pro­prio capo faci­no­roso e pre­po­tente, sprez­zante di ogni prin­ci­pio di rispetto per le posi­zioni altrui e di ogni limite che l’ordinamento ancora vigente pone? Come può non sen­tire come un’onta la con­ni­venza con que­sto enne­simo scem­pio, il più grave fra tutti quelli pur gravi subiti in que­sti anni dalla Carta del ’48, a con­ferma della tri­sta regola che vuole tal­volta pro­prio i par­titi demo­cra­tici dispo­sti a com­piere le scelte più nefande che le destre non potreb­bero da sole imporre? Come può illu­dersi che pre­sto sarà dimen­ti­cato quanto accade in que­sta gri­gia estate in cui per­sino il tempo pare volersi rivol­tare, e che non pre­varrà invece la ver­go­gna per avere nono­stante tutto con­sen­tito e cooperato?
Leg­giamo che molti dis­si­denti del Pd sono stati in que­ste ore feb­brili insul­tati, inti­mi­diti, minac­ciati. Non sot­to­va­lu­tiamo l’impatto di simili pres­sioni. Ma non vor­remmo che per que­sto essi scam­bias­sero cedi­menti per doveri, e la tran­quil­lità di un momento per un onore duraturo.
di Alberto Burgio, Il Manifesto

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