martedì 5 agosto 2014

L’urbanistica è tossica. Lupi sulla città

Ilaria Agostini, Umbrialeft.it
«Il governo del ter­ri­to­rio è rego­lato in modo che sia assi­cu­rato il rico­no­sci­mento e la garan­zia della pro­prietà pri­vata (…) e il suo godi­mento». L’art. 8 è il distil­lato della bozza di ddl ([/ACM_2]Prin­cipi in mate­ria di poli­ti­che ter­ri­to­riali e tra­sfor­ma­zione urbana) pre­sen­tata dal mini­stro Lupi al Maxxi di Roma il 24 luglio scorso.
A distanza di nove anni dal ddl 3519/2005 noto come «legge Lupi», appro­vato dalla Camera nel Ber­lu­sconi III e poi for­tu­no­sa­mente boc­ciato in Senato col con­tri­buto della destra che lo ritenne anta­go­ni­sta alla tut­tora vigente legge urba­ni­stica n. 1150/1942, il mini­stro di rito ambro­siano ci riprova. Nella nuova ver­sione, sta­gio­nata e arric­chita di auto­cra­zia ren­ziana, restano fermi quei prin­cipi di «isti­tu­zio­na­liz­za­zione del “pri­va­ti­smo” in urba­ni­stica» – come ha scritto Ser­gio Brenna – allora stig­ma­tiz­zati da urba­ni­sti e giu­ri­sti in un volume curato da Maria Cri­stina Gibelli (La con­tro­ri­forma urba­ni­stica, 2005), ma vi si aggiunge un colpo di reni da crisi glo­bale, scop­piata in seguito pro­prio alle pesanti spe­cu­la­zioni immobiliari.
LA SOLU­ZIONE È SEMPLICE
Per Lupi infatti urba­ni­stica coin­cide con edi­li­zia e la riforma è dun­que fina­liz­zata a tro­vare linfa per il set­tore immo­bi­liare, sta­gnante. La solu­zione è sem­plice: ren­dere vir­tual­mente edi­fi­ca­bile l’intera peni­sola, per raf­for­zare la ren­dita fon­dia­ria attra­verso l’istituzione dei diritti edi­fi­ca­tori «tra­sfe­ri­bili e uti­liz­za­bili (…) tra aree di pro­prietà pub­blica e pri­vata, e libe­ra­mente com­mer­cia­bili» (art. 12).
Il «regi­stro dei diritti edi­fi­ca­tori» san­ci­sce la finan­zia­riz­za­zione della disci­plina: si pro­fila uno sce­na­rio di urba­ni­stica dro­gata, dove pere­qua­zione, com­pen­sa­zione, pre­mia­lità ed espro­prio (sì, espro­prio, cfr. art. 11, c. 2) sono ripa­gati con titoli tos­sici come in un gioco di borsa. Tutto il con­tra­rio della pia­ni­fi­ca­zione.
La pro­po­sta legi­sla­tiva flut­tua nel com­pleto distacco dalla con­cre­tezza fisica del ter­ri­to­rio e dell’ambiente urbano che tenta di gover­nare; lo slit­ta­mento dall’oggetto della pia­ni­fi­ca­zione (città e ter­ri­to­rio) alle pro­ce­dure, genera, in sede di pre­sen­ta­zione, affer­ma­zioni ever­sive disci­pli­nar­mente, poli­ti­ca­mente e social­mente, tra cui spicca, per duplice gros­so­lana apo­ria, «la fisca­lità immo­bi­liare come leva fles­si­bile(sic) del governo del ter­ri­to­rio». Ma lungo l’articolato tra­pela la vera pas­sione del mini­stro: le grandi opere. L’istituenda DQT, Diret­tiva Qua­dro Ter­ri­to­riale, quin­quen­nale e diret­ta­mente appro­vata dal pre­si­dente del con­si­glio dei mini­stri (art. 5), è con­fi­gu­rata come un piano nazio­nale delle infra­strut­ture (affin­ché non ci si debba più con­fron­tare con ponti sullo Stretto «pro­cla­mati e mai rea­liz­zati») che sov­verte l’ordine delle cose, subor­di­nando il pae­sag­gio al governo del ter­ri­to­rio, in con­tra­sto col Codice dei beni cul­tu­rali.
La pia­ni­fi­ca­zione comu­nale (che si con­fron­terà con la DQ Regio­nale) sarà sud­di­visa tra parte pro­gram­ma­to­ria «a effi­ca­cia cono­sci­tiva e rico­gni­tiva», e parte ope­ra­tiva, dove «il cam­bio di desti­na­zione d’uso (…) non richiede auto­riz­za­zione» (art. 7, c. 10, che pro­se­gue pudìco: «lad­dove la nuova desti­na­zione d’uso non neces­siti di ulte­riori dota­zioni ter­ri­to­riali rispetto a quelle esi­stenti»). Comun­que sia, il piano comu­nale è tra­volto e annien­tato dagli «accordi urba­ni­stici» (art. 15), ispi­rati agli stru­menti cri­mi­no­geni di con­trat­ta­zione pubblico/privato che tanto lustro hanno dato all’urbanistica mila­nese e romana.
La Lupi II punta sul «rin­novo urbano» rea­liz­za­bile senza regola alcuna, «anche in assenza di pia­ni­fi­ca­zione ope­ra­tiva o in dif­for­mità dalla stessa pre­vio accordo urba­ni­stico» (art. 17). Assenti in tutto l’articolato i cen­tri sto­rici – privi di tutela come ormai è moda (si veda il piano strut­tu­rale fio­ren­tino) – mal­grado Vezio De Lucia, già a fronte del ddl 2005, avesse denun­ciato lo scor­poro della tutela dall’urbanistica che si ridu­ceva così «a disci­pli­nare esclu­si­va­mente l’edificazione e l’infrastrutturazione del ter­ri­to­rio». Assenza gra­vata da un sen­tore di depor­ta­zioni di regime: pro­prie­tari o loca­tari degli immo­bili sog­getti al rin­novo urbano (fino a demo­li­zione e rico­stru­zione) saranno ospi­tati in alloggi di nuova costru­zione «per esi­genze tem­po­ra­nee o defi­ni­tive» (art. 17, c. 10, cor­sivo nostro). Que­sta la pro­spet­tiva: nuova edi­fi­ca­zione prov­vi­so­ria o defi­ni­tiva nelle peri­fe­rie, espul­sione dei ceti sociali svan­tag­giati dalle zone urbane con­so­li­date, o addi­rit­tura cen­trali, che diven­tano nuove aree di spe­cu­la­zione (ora che nella prima peri­fe­ria anche le aree indu­striali dismesse diven­tano merce rara).
LE CON­QUI­STE SMANTELLATE
Esem­plare la per­vi­ca­cia eser­ci­tata nello sman­tel­la­mento delle con­qui­ste degli anni ‘60-‘70. Un esem­pio per tutti: la disap­pli­ca­zione del dm 1444/1968 sugli stan­dard urba­ni­stici, che attri­bui­sce ad ogni cit­ta­dino ita­liano, dalla Cala­bria al Veneto, una quan­tità minima di ser­vizi e attrez­za­ture. Il prin­ci­pio car­te­siano di egua­glianza penin­su­lare ver­rebbe ora spaz­zato via e sosti­tuito da «dota­zioni ter­ri­to­riali», cal­co­late regione per regione e il cui sod­di­sfa­ci­mento sarebbe garan­tito anche dai sog­getti privati.
Una riforma urba­ni­stica nazio­nale, anzi­ché rias­su­mere in un unico testo le peg­giori espe­rienze urba­ni­sti­che ita­liane del dopo Bas­sa­nini (Roma, Milano, Firenze etc.), avrebbe potuto (anzi, dovuto) sus­su­mere – per esten­derne i bene­fici all’intero paese – gli esempi posi­tivi, che pure esi­stono nel pano­rama legi­sla­tivo regio­nale. A titolo d’esempio il ddl pre­sen­tato dall’assessore Anna Mar­son al con­si­glio toscano, con­te­nente una decli­na­zione della “linea rossa”, auspi­cata dal dibat­tito disci­pli­nare inter­na­zio­nale, da trac­ciare tra città e cam­pa­gna. Ma anche il ribal­ta­mento del para­digma ter­ri­to­riale da «risorsa» o «neu­tro sup­porto«, a «patri­mo­nio» – ossia, da valore di scam­bio a valore d’uso – gio­ve­rebbe alla messa a punto di uno stru­mento sin­ce­ra­mente vòlto alla limi­ta­zione del con­sumo del suolo fertile.
Misure cui potrebbe aggiun­gersi il ripri­stino dell’art. 12 della Buca­lossi (L. 10/1977) che legava i pro­venti delle con­ces­sioni edi­fi­ca­to­rie alle opere di urba­niz­za­zione, al risa­na­mento dei cen­tri sto­rici, all’acquisizione delle aree da espro­priare, e il cui tra­vaso nelle spese ordi­na­rie dei comuni è stato rico­no­sciuto come prin­ci­pale causa dell’alluvione cemen­ti­zia dell’ultimo quindicennio.
Siamo dun­que di fronte alla bozza di un ddl bifronte, alfiere da una parte del libe­ri­smo senza freni in difesa della pro­prietà pri­vata, e dall’altra di un auto­ri­ta­ri­smo sta­ta­li­sta – o auto­cra­zia? – che anti­cipa il rifor­mando art. 117 della Costi­tu­zione secondo il quale le norme gene­rali sul governo del ter­ri­to­rio tor­ne­reb­bero ad essere mate­ria di «esclu­siva com­pe­tenza» dello stato. «8100 rego­la­menti edi­lizi comu­nali – affer­mava Lupi – non sono un segno iden­ti­ta­rio, ma un ele­mento di confusione».
E al mini­stro delle Infra­stru­ture, in luogo del Pic­colo prin­cipe le cui cita­zioni hanno get­tato nell’imbarazzo gli astanti di media cul­tura alla pre­sen­ta­zione romana, pro­po­niamo un’altra più edi­fi­cante let­tura, sul rap­porto tra libertà di azione e vin­colo: Lo sguardo da lon­tano di Claude Lévi-Strauss. «Ritengo – chio­sava l’antropologo – che la libertà, per avere un senso e un con­te­nuto, non debba, non possa, eser­ci­tarsi nel vuoto».

Vinti:Ddl ministro Lupi è bordata a famiglie colpite da crisi e a chi cerca casa

“La bozza del ddl in materia di poli­ti­che ter­ri­to­riali e tra­sfor­ma­zione urbana, pre­sen­tata dal mini­stro Lupi al Maxxi di Roma nei giorni scorsi, ad una prima lettura convince poco”: lo afferma l’assessore regionale alle politiche della casa e lavori pubblici Stefano Vinti. “Facendo leva sulla crisi economica e sulla stagnazione del mercato edilizio – spiega Vinti, il ministro tenta di mettere in mano ai privati e agli speculatori la programmazione del territorio e, facendo coincidere l’urbanistica con l’edilizia, di ren­dere vir­tual­mente edi­fi­ca­bile l’intera peni­sola, per raf­for­zare la ren­dita fon­dia­ria attra­verso l’istituzione dei diritti edi­fi­ca­tori ‘tra­sfe­ri­bili e uti­liz­za­bili’ tra aree di pro­prietà pub­blica e pri­vata, e libe­ra­mente com­mer­cia­bili. Una follia – prosegue - alla quale Lupi sembra particolarmente affezionato. Già nel 2005 aveva tentato una manovra del genere, presentando una legge che venne poi bocciata dalla destra stessa”.
Per l’assessore il “ddl” smantella tutto l’impianto della normativa urbanistica vigente, “dando sfogo alle pulsioni del liberismo più sfrenato, quanto mai pericolosa in un Paese dove l’abusivismo e i danni arrecati al territorio sono all’ordine del giorno. La bozza ha però una conseguenza ulteriore: mette infatti a rischio le case delle fami­glie italiane. Dal 2007 abbiamo assistito a una dimi­nu­zione dei valori immo­bi­liari che nelle aree mar­gi­nali del Paese ha rag­giunto il valore del 40% e si atte­sta sul 20% nelle peri­fe­rie delle grandi città. Ci sono decine di migliaia di fami­glie di lavo­ra­tori che si sono inde­bi­tate per acqui­stare una casa e oggi il valore dei loro alloggi è infe­riore a quello di acqui­sto. Il crollo dei valori immo­bi­liari è stato cau­sato certo dalla crisi eco­no­mica mon­diale ma anche per­ché si è costruito senza regole a ritmi folli e oggi tutti gli isti­tuti di ricerca di set­tore par­lano di almeno un milione di alloggi nuovi inven­duti. I valori delle abi­ta­zioni sono crol­lati per­ché c’è troppo inven­duto”.
“Dando la stura alla costruzione di altre case, il valore degli immo­bili esi­stenti dimi­nuirà ancora – sostiene Vinti - e le fami­glie ita­liane subi­ranno un ulte­riore impo­ve­ri­mento, tutto a vantaggio dei grandi pro­prietari immo­bi­liari e dei costrut­tori ita­liani e senza tenere conto della insensatezza di perseguire le stesse politiche che ci hanno condotto alla drammatica situazione in cui ci troviamo”.
“È auspicabile – conclude Vinti - che il ministro torni sui suoi passi e cominci a ragionare su una limitazione del dominio immobiliare privato, a tutela del territorio e degli investimenti dei piccoli proprietari, e su un rilancio di politiche pubbliche per la casa che creino le condizioni per la messa a disposizione del patrimonio invenduto per chi oggi cerca casa. Sarà un caso ma il numero di immobili rimasti invenduti corrisponde proprio al numero dei cittadini che ad oggi non hanno un’abitazione”.

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