Intervista. L'ex
viceministro: basta con il tabù del 3 per cento. Berlino non ha
ragione, i dati lo dicono. Il principio di realtà non è un gufo. Stop ai
veti di Verdini
L’Istat certifica un paese in recessione, Renzi scrive ai
parlamentari della sua maggioranza: «L’Italia tornerà ad essere la
guida, e non il problema dell’eurozona», quasi l’incitamento a un
esercito pieno di dubbi. Per Stefano Fassina — deputato, economista di punta dell’era bersaniana, poi viceministro del governo Letta, è appena uscito il suo Lavoro e libertà
(Imprimatur) che sostiene tesi che eufemisticamente definiremo
non renziane — è una giornata amara. Una giornata che ricorda un’agra
battuta di Altan: «Interveniamo o ci riserviamo il piacere di dire
che l’avevamo detto?». Fassina non vuole fare battute. «La lettera
di Renzi mi preoccupa. Indica una grave sottovalutazione dei dati
realtà. Non è l’Italia il problema dell’Europa. È la linea di
politica economica seguita dall’eurozona il problema dell’Europa.
E mi preoccupa anche la conferma degli obiettivi irraggiungibili
della spending review. Tentare di raggiungerli mutilerebbe
ulteriormente il welfare, aggraverebbe la recessione
e aumenterebbe il debito».
Anche l’Istat finirà nella categoria dei ’gufi’ coniata dal presidente Renzi?
Il dato del Pil, al di là della seconda cifra decimale, era
largamente previsto. Ad aprile, quando abbiamo discusso con il
ministro Padoan alla commissione bilancio, avevamo detto che le
previsioni del governo erano irrealistiche.
Chi lo aveva detto? Il governo non era di questa opinione.
Il governo no, ma alcuni di noi hanno detto e scritto
ripetutamente che la rotta mercantilista alimentata
dall’austerità e dalla svalutazione del lavoro porta a deflazione,
disoccupazione e aumento del debito. Principi di realtà, non
’gufate’.
Il governo ora cosa dovrebbe fare?
Correggere l’errore di impostazione che ha fatto all’avvio della
presidenza italiana del semestre europeo. Renzi ha sottoscritto
documenti nei quali si dice che la ripresa è in corso e che la ricetta
funziona. E sulla base di questo assunto ha chiesto flessibilità
per l’Italia: come dire, il treno va e noi siamo un vagone un po’ più
lento. E invece così è insostenibile l’euro e sono insostenibili
i debiti di tanti paesi europei, fra i quali l’Italia. Questo è il
nodo vero: Renzi deve urgentemente porlo a Berlino, Bruxelles
e Francoforte. E deve attivarsi affinché ci sia un meccanismo di
gestione cooperativa dei debiti. Sul versante interno, dobbiamo
superare il tabù del 3 per cento del rapporto fra deficit e Pil: ci
paralizza. Siamo in condizioni eccezionali, abbiamo perso 10 punti
di Pil dal 2008, siamo in deflazione. Serve una manovra espansiva con
la quale consolidare in bonus Irpef, introdurre misure di
contrasto alla povertà, riqualificare e riallocare la spesa
pubblica. Niente nuovi tagli: dobbiamo allentare il patto di
stabilità interno e fare politiche antievasione per recuperare
le risorse. E così torneremo sotto il 3 per cento più avanti.
Sembrano proposte irricevibili per un’Europa che non ci vuole concedere neanche una maggiore flessibilità.
Ma non c’è alternativa. Dire che la ripresa è in corso e la ricetta
funziona non ha fondamento. L’eurozona ha generato sette milioni di
disoccupati in più e ha aumentato il debito pubblico in media dal
65 al 95 per cento. È la rotta che non funziona. E se andiamo avanti
con l’agenda Monti e Merkel, può solo andare peggio.
L’agenda Monti era anche l’agenda Letta, il governo di cui lei ha fatto parte.
In qualche misura sì. Ma la manovra di Letta è stata l’unica
espansiva, se pur moderatamente. Ma non mi voglio sottrarre: anche
Letta si è mosso in questo quadro. Poi abbiamo sperato in un
cambiamento. Non è andata così. Renzi cerca deroghe alle linea. È la
linea ad essere sbagliata.
Letta era meglio di Renzi?
È presto per dirlo, e lo dico da non renziano. Gli 80 euro sono una
boccata di ossigeno per chi li riceve, ma sono stati finanziati
i con i tagli di spesa e producono un effetto negativo. Lo stesso
effetto del decreto Poletti, che aggrava la precarietà e quindi pesa
negativamente sulle retribuzioni e sui consumi delle famiglie.
Il ministro Padoan dice: spendete questi 80 euro, li avrete per sempre.
L’effetto elettorale degli 80 euro è stato positivo, quello
macroeconomico no, e il ministro lo sa. Mi preoccupano le parole
di Padoan: sottovaluta la gravità dei problemi e continua ad
affidarsi a una ricetta che ha dimostrato sul campo di aggravarli.
Padoan esclude una manovra aggiuntiva.
Sarebbe un errore, e voglio credere che non si faccia. Del resto
ormai, ad agosto, sullo scorcio finale dell’anno, non avrebbe grande
efficacia. È preoccupante invece l’impostazione della legge di
stabilità del 2015. Può portare a un altro anno di recessione oppure
dare ossigeno all’economia e avviare la ripresa. Non si può ragionare
sui decimali dopo che abbiamo perso 10 punti di Pil. Non era mai
accaduta una recessione così lunga. Cosa deve accadere ancora per
rendere evidente che la rotta non va?
Intanto il governo è alle prese con la defezioni del commissario alla spending review e con gli insegnanti di ’quota 96’.
Due casi diversi. Ma il governo deve assumersi le sue
responsabilità anziché scaricarle sulle tecnostrutture. Su
’quota 96’ c’è una chiara responsabilità politica: il governo ha
scelto di non riconoscere le posizioni del parlamento.
Doveva farlo anche se non c’erano le coperture?
Se fosse stato solo questo, si sostituivano le coperture. Stiamo
parlando di meno 100 milioni per 4 o 5 anni. No, è stata una scelta
politica. Sbagliata.
Renzi intanto ha iniziato le sue riforme con quelle
costituzionali, le meno urgenti e quelle bisognose di maggior
approfondimento. Ha sbagliato priorità?
No, di queste riforme avevamo bisogno e comunque non sono
alternative a cambiare la rotta economica. Ma non va bene il modo
con cui sono state portate avanti: non si doveva procedere con le
prove di forza e le forzature regolamentari. Ora però si pone un
problema: il rapporto con Forza Italia, giustificato nelle riforme
costituzionali, si vuole stringere di più di fronte ai dati
economici negativi? Sarebbe un suicidio per il paese oltreché per
il Pd.
Renzi tende a dare del ’gufo’ a chi la pensa
diversamente da lui. Questi dati economici gli consiglieranno
uno stile diverso?
Non si possono disconoscere i dati di realtà.
Quando alcuni di noi sottolineano che le cose non vanno bene non
è per boicottare o gufare, ma per trovare soluzioni.
Non sarà che Renzi è obbligato ad avere come
principale alleato Berlusconi, per lui più affidabile di Sel, M5S
e anche forse di alcuni della ex sinistra Pd?
Il rapporto con Forza Italia è necessario e giusto nelle riforme
costituzionali che si fanno tutti insieme. Ma non può essere
esclusivo. La domanda la faccio io: Renzi lavora per renderlo
esclusivo?
Il rapporto con Forza Italia è esclusivo per
forza. I ’piccoli’ di maggioranza e opposizione chiedono cose —
sull’Italicum per esempio preferenze e soglie basse — alternative
a quelle chieste dagli azzurri.
Partiamo da quello che serve all’Italia, non
a Berlusconi. All’Italia serve escludere una forza con tre milioni di
voti? Servono le liste bloccate? Capiamo gli obiettivi. Non
possiamo solo accettare i veti di Verdini.
Renzi potrebbe avere la tentazione di portare il paese al voto?
Sarebbe il fallimento di tutti e soprattutto chi ha la massima
responsabilità politica nel paese. Comunque se è una minaccia,
è una minaccia ridicola da parte di chi la fa come soluzione per
arrivare a gruppi parlamentari più omogenei. Andare al voto con il
consultellum significherebbe eleggere un gruppo parlamentare plurale e più piccolo. Non piacerebbe a quelli che lo minacciano.
Il rapporto con Sel è in crisi. Il
centrosinistra non c’è più, e l’Italicum al momento non costruisce
alleanze. Correrete soli?
Sel è un nostro alleato naturale. Ha sbagliato a fare
l’ostruzionismo, ma l’ha fatto dopo la delegittimazione morale delle
sue posizioni. Ora nelle nuove letture sia della riforma del senato
che della legge elettorale sarà responsabilità di tutti, ma in
primo luogo della maggioranza e del governo, ricostruire un clima di
cooperazione. Non c’è il diritto di veto di nessuno, certo. Ma
neanche di Verdini. A livello territoriale Pd e Sel fanno insieme
amministrazioni di qualità. E questo rapporto non è un valore solo
in termini quantitativi ma segna il profilo culturale
e politico del Pd.
Non è che lei ha in mente un Pd che ormai non c’è più?
Non siamo arrivati a un equilibrio di lungo periodo. Siamo in una
fase difficile e piena di contraddizioni, in movimento. L’impegno
di tanti di noi è contribuire a un profilo del Pd che vada su una
linea alternativa a quella sulla quale siamo ora e che genera
i risultati che vediamo. Se seguiamo la ricetta di Sacconi
sull’art.18, se facciamo altri tagli al welfare forse non sarà un
problema per il Pd, ma il paese andrà a fondo. Serve un’agenda
alternativa, e un rapporto con le forze in sintonia con questo.
Il popolo che lei incontra in tutta Italia alle
feste dell’Unità non chiede invece anche a voi, opposizione o ex
opposizione interna, di lasciare lavorare Renzi?
Ci chiede tante cose, chi di farlo lavorare, chi di
correggere la rotta. Noi non siamo opposizione, portiamo avanti un
punto di vista che vuole contribuire al successo del governo a fare
riforme: a farle bene, però.
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