domenica 31 agosto 2014

La Repubblica dell’Idea —  Micaela Bongi, Il Manifesto


«Nem­meno il Ber­lu­sconi dei tempi d’oro». E rac­chiuso in que­sta frase, quasi un mes­sag­gio in codice nasco­sto nell’ultimo reso­conto delle gesta di Mat­teo, il dramma dei gior­na­li­sti di Repub­blica. Costretti a ripar­tire da zero: dimen­ti­cate di essere stati zelanti cro­ni­sti, impla­ca­bili cor­si­vi­sti, arguti com­men­ta­tori. Get­tate penne e tac­cuini, met­te­tevi in fila e un due tre, fate la ola.
E cosi la riforma della scuola, ad esem­pio, non e mica quella tri­stezza annun­ciata (male, s’intende) dalla mini­stra Gian­nini, sarà una grande festa con almeno cen­to­mila pre­cari assunti, rive­la­vano i nostri prima che si sco­prisse il grande bluff (ma poi Repub­blica met­teva in chiaro che era stato Renzi a spie­gare a Napo­li­tano che no, pre­si­dente, la scuola adesso pro­prio no, non insita, non met­tiamo troppa carne al fuoco…).
Forse non devono rispon­dere a un ordine del diret­tore, né hanno deciso scien­te­mente di man­dare al mani­co­mio Euge­nio Scal­fari. Sono invece le vit­time di un’ipnosi col­let­tiva, rapiti da quel man­tra sapien­te­mente dif­fuso da palazzo Chigi secondo il quale non e pos­si­bile nutrire sin­ce­ra­mente dubbi rispetto all’operato del gio­vane pre­mier, pos­sono farlo sol­tanto dei pove­racci rosi dall’invidia che pre­fe­ri­scono vedere spro­fon­dare il paese piut­to­sto che rico­no­scere il suc­cesso altrui, o vec­chie caria­tidi incom­pa­ti­bili con la contemporaneità.
A forza di sen­tirlo dire, poi si fini­sce per cre­derci e allora: tutti in coro, viva viva san Matteo.
Ma quella frase, il «Ber­lu­sconi dei tempi d’oro» e sin­tomo anche di una sof­fe­renza, rivela un’ansia di libertà, con­tiene il seme della ribel­lione. Segnala che se il Cava­liere avesse por­tato a palazzo Chigi un car­retto di gelati e pure con il mar­chio — la scritta «Grom» era coperta con un pezzo di carta, cosi da atti­rare ancora di più l’attenzione — sareb­bero state fatte pagi­nate tra­boc­canti ripro­va­zione come per le corna nella photo oppor­tu­nity, il cucù a Angela Mer­kel, il «mister Oba­maaaaa» a squar­cia­gola che aveva dif­fuso tur­ba­mento nell’intero Regno unito.
Ma quello era un cafone, irri­spet­toso delle isti­tu­zioni. Le sue bar­zel­lette — vol­ga­ris­sime, signora mia — ser­vi­vano solo a sviare l’attenzione dai gravi pro­blemi del Paese. Ora invece tocca scri­vere che siamo di fronte al genio, al «gian­bur­ra­sca della poli­tica» che «rompe l’etichetta» con diver­tenti sipa­rietti. Certo, l’antiberlusconismo allora era una merce molto richie­sta, nelle edi­cole. Ora si porta il ren­zi­smo e i gior­nali si stam­pano per ven­derli, mica per incar­tarci il pesce. E poi, se la «rivo­lu­zione» pro­messa si avve­rasse? Per­ché cor­rere il rischio di per­dere l’appuntamento con la sto­ria, di dover ammet­tere «io non c’ero, stavo con i gufi». Pen­sate invece che sod­di­sfa­zione poter dire un giorno al nipo­tino «vedi quello li in mezzo al coro… lì a destra, più a destra. Be’, non mi si rico­no­sce gran­ché, ma sapessi come strillavo…».

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