Il segretario Fiom. Il
ritorno dell’Italia in recessione dimostra che il premier sbaglia
strategia. Gli 80 euro vanno estesi, puntare sugli investimenti più che
sulle riforme. E la Cgil? Irrisolti i nodi con Camusso
«Il premier dice che vuole far cambiare verso all’Italia. Ma
adesso è evidente che deve essere lui, a cambiare verso». Il
segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, risponde così se
gli chiedi di commentare gli ultimi dati Istat, quel –0,2% che ci ha
fatto ripiombare in recessione. E che ha creato la prima grossa crepa
nella serie ininterrotta di successi di Matteo Renzi. Subito dopo,
ci anticipa il programma dei metalmeccanici per l’autunno:
«Un’assemblea nazionale dei delegati, una mobilitazione, il
confronto a tutto campo con il governo». Senza dimenticare i nodi
rimasti aperti dentro la Cgil, dopo il Congresso di maggio che lo ha
visto scontrarsi con la segretaria generale, Susanna Camusso.
Ve lo aspettavate, alla Fiom, il ritorno dell’Italia in recessione?
I segnali c’erano tutti, perché il governo non è intervenuto sui
nodi strutturali che impediscono al Paese di ripartire. Non c’è
ripresa di investimenti, né pubblici né privati. Si continua, al
contrario, a stare dentro la logica che portò al governo Monti,
quando si decise il taglio delle pensioni, l’introduzione del pareggio
bilancio, la modifica dell’articolo 18, la nazionalizzazione del
debito, riportandolo nelle banche italiane. Per l’autunno, i segnali
che abbiamo dal settore produttivo sono molto preoccupanti:
i nodi Ilva e Piombino, i 650 licenziamenti di Terni. Fiat che
annuncia di essere definitivamente fuori dal nostro Paese, nel
silenzio della politica. La vicenda Termini Imerese che non si
è risolta, come quella Irisbus. La deludente quotazione in borsa di
Fincantieri. Tutte ricette che hanno fallito, per questo dico
a Renzi: «Adesso devi cambiare verso».
Glielo ha detto anche Draghi.
Sì, ma dalla Bce arriva un altro invito, su cui non concordo: che
l’Italia debba ancora di più abbracciare la linea delle “riforme”. Che
si concretizza, per capirci, nei tagli della troika. La Bce,
piuttosto, dovrebbe avere un ruolo diverso: non stare attenta solo
all’inflazione, ma sostenere l’economia reale, come succede con altre
banche centrali, ad esempio in Usa e Giappone. Per aiutare le
nostre esportazioni potrebbe far perdere valore all’euro, ad
esempio, che oggi è troppo forte. E le imprese, tra l’altro, hanno
costi di accesso al credito proibitivi. Se il discorso di «cedere
sovranità» è più generale, se si parla di un’Europa sociale,
politica, di scelte sullo scacchiere internazionale, allora sì, se
ne può parlare. Di questo sentiamo il bisogno: ma allora Renzi, se
vuole chiedere nuove regole in Europa, prima si presenti con un piano
di crescita per l’Italia, con un’idea di investimenti pubblici.
E dopo, chieda regole diverse sul deficit, affronti il nodo del Fiscal Compact. Il referendum sostenuto dalla Cgil va nella giusta direzione, per rompere la gabbia dell’austerità.
Gli 80 euro non hanno funzionato?
Gli 80 euro non funzionano se non li estendi a tutti i cittadini
con reddito basso: se non li dai ai pensionati, alle partite Iva.
I consumi non ripartono se le persone non percepiscono che il
cambio è strutturale, che si sostiene in modo permanente chi non ce
la fa. E soprattutto, da soli non bastano: deve ripartire il lavoro,
l’occupazione. Un operaio l’altro giorno mi ha detto: «Landini, le
riforme saranno importanti, ma quanti posti di lavoro creano?».
Eppure Renzi si sente sicuro, ha dalla sua il 41% preso alle
europee. Pare avervi scavalcato, avrebbe insomma un rapporto diretto
con il mondo del lavoro.
Nessuno nega quei numeri. Ma stiamo attenti alla volatilità dei
risultati elettorali, l’abbiamo visto negli ultimi anni. Berlusconi
che perde 9 milioni di voti, il Pd che prima ne lascia per strada 5,
e poi ne recupera 3. Lo stesso Grillo, in un anno ha perso 3 milioni di
voti. L’astensionismo aumenta: non hanno votato circa 20 milioni di
persone, a fronte degli 11 conquistati dal Pd. Ora le chiacchiere,
come dicono nella mia zona, stanno a zero. Renzi deve offrire risultati.
Ma voi della Cgil non vi sentite isolati? Avete fatto
ricorso alla Ue contro il “decreto Poletti”, ed è partito un fuoco di
fila, proprio dal Pd. «Palude». «Non riempiono più le piazze». Avete
perso definitivamente il legame con la politica?
Io non mi sento per niente isolato: come Cgil, come Fiom, sono in
contatto con chi lavora. Certo, va ricostituita un’interlocuzione con
la politica, ma in un’ottica nuova: se loro ti dicono che possono
fare tutto perché hanno il 41%, bene noi dimostriamo la nostra forza
e autonomia. I temi di cui parlare in autunno sono tanti: trovo una
sciocchezza tornare sull’articolo 18, mentre al contrario si devono
semplificare le forme di assunzione. Già in tempi non sospetti ho
detto di essere d’accordo con il contratto a tempo indeterminato
a tutele crescenti, ripulendo però il campo dalle forme spurie
e precarie. Vanno anche estesi gli ammortizzatori sociali,
introducendo un reddito minimo. E poi insisto: politica
industriale, investimenti per la manutenzione del territorio,
prendendo le risorse dalla bonifica della corruzione, del
riciclaggio, dell’evasione fiscale.
Quindi in autunno nuove mobilitazioni?
Abbiamo in programma l’assemblea nazionale dei delegati, l’ultimo
fine settimana di settembre. Vorremmo riunificare le vertenze
aperte sui territori, per uno sbocco nazionale: affiancando nuove
forme di mobilitazione accanto ai classici scioperi, per
coinvolgere giovani e precari.
Quale messaggio lancerete?
Ci sono almeno due terreni su cui Renzi può agire per creare lavoro,
oltre alla politica industriale. Il primo è sostenere i contratti
di solidarietà e le riduzioni di orario, come si è fatto con
l’Electrolux. In Italia si lavora 1800 ore l’anno, nel resto d’Europa
1500–1600. In quel gap di 200 ore ci sono posti di lavoro.
E pensare che noi defiscalizziamo gli straordinari: assurdo, in
tempo di crisi. E ancora: si riformino seriamente le pensioni, così
da fare posto a nuove assunzioni.
Quindi modello Electrolux. E invece di quello Alitalia la Fiom cosa dice?
Rappresenta tutto ciò che non si dovrebbe fare, e bene ha fatto la
Cgil a non firmare. Il governo ha timbrato un accordo in cui si
licenzia senza utilizzare pienamente ammortizzatori e contratti
di solidarietà: come dire, fatto lì, si può ripetere ovunque.
Dentro la Cgil avete discusso una strategia per l’autunno, dopo il Congresso?
Abbiamo un Direttivo a metà settembre. Io credo che si debbano
mettere in campo mobilitazioni, anche da soli: il che non
impedisce iniziative con altri sindacati.
Avete risolto in qualche modo i nodi che vi hanno portato allo scontro in Cgil?
Io vedo quei nodi ancora aperti. Mi riferisco prima di tutto a una riforma democratica della Cgil: e faccio un esempio. In questi mesi stiamo rinnovando le Rsu: lavoratrici e lavoratori che ci mettono la faccia, che ci fanno vivere come sindacato grazie al loro impegno nelle fabbriche. E sono eletti da tutti, iscritti e non iscritti. Andiamo invece alle strutture dirigenti, al mio posto, a quello dei segretari generali: si arriva a un Congresso in cui su 5,6 milioni di iscritti ti vota massimo il 20%, mentre l’80% risulta non pervenuto. Da lì si passa a un gruppo ristretto di dirigenti, che elegge altri dirigenti. Così non si può andare avanti: il gap con i nostri delegati è fin troppo evidente.
Io vedo quei nodi ancora aperti. Mi riferisco prima di tutto a una riforma democratica della Cgil: e faccio un esempio. In questi mesi stiamo rinnovando le Rsu: lavoratrici e lavoratori che ci mettono la faccia, che ci fanno vivere come sindacato grazie al loro impegno nelle fabbriche. E sono eletti da tutti, iscritti e non iscritti. Andiamo invece alle strutture dirigenti, al mio posto, a quello dei segretari generali: si arriva a un Congresso in cui su 5,6 milioni di iscritti ti vota massimo il 20%, mentre l’80% risulta non pervenuto. Da lì si passa a un gruppo ristretto di dirigenti, che elegge altri dirigenti. Così non si può andare avanti: il gap con i nostri delegati è fin troppo evidente.
Risolverà tutto la Conferenza di organizzazione prevista nel 2015?
Di quella si deve ancora discutere, ma sono tempi troppo lunghi.
Dobbiamo affrontare subito i nodi della rappresentanza, perché chi
ti deve dare il consenso non perdona. E c’è un altro nodo che
giudico irrisolto: la frammentazione contrattuale. Al tavolo Eni
oggi siedono solo i chimici, ma nei petrolchimici la maggioranza
dei lavoratori è composta da metalmeccanici ed edili. Per quanto
ancora resteremo divisi, senza un unico contratto e sindacato
dell’industria, mentre la proprietà dell’impresa è unica?
Voi come vi definite? Un’opposizione dentro la Cgil? O solo una minoranza?
Noi siamo la Fiom. Il problema sta nella maggioranza, in chi entra
al Congresso con il 98%, ne esce all’80% e ha eletto una segreteria
con poco più del 60% del Direttivo. Credo che in Cgil stiamo eludendo
nodi importanti, come quello della democrazia.
Poca democrazia, che vedete anche nella riforma del Senato? Nell’Italicum?
Non ho capito a cosa serve un Senato con 100 persone, elette altrove
e senza reali poteri. Allora era meglio cancellarlo. Come mi
preoccupa una legge elettorale con quei premi di maggioranza
e soglie che escludono milioni di cittadini. Ma soprattutto questo
Parlamento, che è stato eletto con una legge giudicata
incostituzionale, non dovrebbe poter riformare la Costituzione:
toccherebbe piuttosto a un’Assemblea costituente. Perché questi
parlamentari non abrogano l’articolo 8, che permette di derogare
alle leggi per mezzo di accordi privati? Perché non cancellano il
pareggio di bilancio? Perché non ci danno una legge per la
rappresentanza nei luoghi di lavoro? Coerentemente con le
posizioni che ho sempre espresso, penso che se ci sarà un
referendum, mi comporterò di conseguenza, e inoltre presto
incontreremo Stefano Rodotà e le altre associazioni per nuove
iniziative.
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