domenica 10 agosto 2014

Landini: “Caro Renzi, ora tu devi cambiare verso” —  Antonio Sciotto

Il segretario Fiom. Il ritorno dell’Italia in recessione dimostra che il premier sbaglia strategia. Gli 80 euro vanno estesi, puntare sugli investimenti più che sulle riforme. E la Cgil? Irrisolti i nodi con Camusso
«Il pre­mier dice che vuole far cam­biare verso all’Italia. Ma adesso è evi­dente che deve essere lui, a cam­biare verso». Il segre­ta­rio gene­rale della Fiom, Mau­ri­zio Lan­dini, risponde così se gli chiedi di com­men­tare gli ultimi dati Istat, quel –0,2% che ci ha fatto ripiom­bare in reces­sione. E che ha creato la prima grossa crepa nella serie inin­ter­rotta di suc­cessi di Mat­teo Renzi. Subito dopo, ci anti­cipa il pro­gramma dei metal­mec­ca­nici per l’autunno: «Un’assemblea nazio­nale dei dele­gati, una mobi­li­ta­zione, il con­fronto a tutto campo con il governo». Senza dimen­ti­care i nodi rima­sti aperti den­tro la Cgil, dopo il Con­gresso di mag­gio che lo ha visto scon­trarsi con la segre­ta­ria gene­rale, Susanna Camusso.
Ve lo aspet­ta­vate, alla Fiom, il ritorno dell’Italia in recessione?
I segnali c’erano tutti, per­ché il governo non è inter­ve­nuto sui nodi strut­tu­rali che impe­di­scono al Paese di ripar­tire. Non c’è ripresa di inve­sti­menti, né pub­blici né pri­vati. Si con­ti­nua, al con­tra­rio, a stare den­tro la logica che portò al governo Monti, quando si decise il taglio delle pen­sioni, l’introduzione del pareg­gio bilan­cio, la modi­fica dell’articolo 18, la nazio­na­liz­za­zione del debito, ripor­tan­dolo nelle ban­che ita­liane. Per l’autunno, i segnali che abbiamo dal set­tore pro­dut­tivo sono molto pre­oc­cu­panti: i nodi Ilva e Piom­bino, i 650 licen­zia­menti di Terni. Fiat che annun­cia di essere defi­ni­ti­va­mente fuori dal nostro Paese, nel silen­zio della poli­tica. La vicenda Ter­mini Ime­rese che non si è risolta, come quella Iri­sbus. La delu­dente quo­ta­zione in borsa di Fin­can­tieri. Tutte ricette che hanno fal­lito, per que­sto dico a Renzi: «Adesso devi cam­biare verso».
Glielo ha detto anche Draghi.
Sì, ma dalla Bce arriva un altro invito, su cui non con­cordo: che l’Italia debba ancora di più abbrac­ciare la linea delle “riforme”. Che si con­cre­tizza, per capirci, nei tagli della troika. La Bce, piut­to­sto, dovrebbe avere un ruolo diverso: non stare attenta solo all’inflazione, ma soste­nere l’economia reale, come suc­cede con altre ban­che cen­trali, ad esem­pio in Usa e Giap­pone. Per aiu­tare le nostre espor­ta­zioni potrebbe far per­dere valore all’euro, ad esem­pio, che oggi è troppo forte. E le imprese, tra l’altro, hanno costi di accesso al cre­dito proi­bi­tivi. Se il discorso di «cedere sovra­nità» è più gene­rale, se si parla di un’Europa sociale, poli­tica, di scelte sullo scac­chiere inter­na­zio­nale, allora sì, se ne può par­lare. Di que­sto sen­tiamo il biso­gno: ma allora Renzi, se vuole chie­dere nuove regole in Europa, prima si pre­senti con un piano di cre­scita per l’Italia, con un’idea di inve­sti­menti pub­blici. E dopo, chieda regole diverse sul defi­cit, affronti il nodo del Fiscal Com­pact. Il refe­ren­dum soste­nuto dalla Cgil va nella giu­sta dire­zione, per rom­pere la gab­bia dell’austerità.
Gli 80 euro non hanno funzionato?
Gli 80 euro non fun­zio­nano se non li estendi a tutti i cit­ta­dini con red­dito basso: se non li dai ai pen­sio­nati, alle par­tite Iva. I con­sumi non ripar­tono se le per­sone non per­ce­pi­scono che il cam­bio è strut­tu­rale, che si sostiene in modo per­ma­nente chi non ce la fa. E soprat­tutto, da soli non bastano: deve ripar­tire il lavoro, l’occupazione. Un ope­raio l’altro giorno mi ha detto: «Lan­dini, le riforme saranno impor­tanti, ma quanti posti di lavoro creano?».
Eppure Renzi si sente sicuro, ha dalla sua il 41% preso alle euro­pee. Pare avervi sca­val­cato, avrebbe insomma un rap­porto diretto con il mondo del lavoro.
Nes­suno nega quei numeri. Ma stiamo attenti alla vola­ti­lità dei risul­tati elet­to­rali, l’abbiamo visto negli ultimi anni. Ber­lu­sconi che perde 9 milioni di voti, il Pd che prima ne lascia per strada 5, e poi ne recu­pera 3. Lo stesso Grillo, in un anno ha perso 3 milioni di voti. L’astensionismo aumenta: non hanno votato circa 20 milioni di per­sone, a fronte degli 11 con­qui­stati dal Pd. Ora le chiac­chiere, come dicono nella mia zona, stanno a zero. Renzi deve offrire risultati.
Ma voi della Cgil non vi sen­tite iso­lati? Avete fatto ricorso alla Ue con­tro il “decreto Poletti”, ed è par­tito un fuoco di fila, pro­prio dal Pd. «Palude». «Non riem­piono più le piazze». Avete perso defi­ni­ti­va­mente il legame con la politica?
Io non mi sento per niente iso­lato: come Cgil, come Fiom, sono in con­tatto con chi lavora. Certo, va rico­sti­tuita un’interlocuzione con la poli­tica, ma in un’ottica nuova: se loro ti dicono che pos­sono fare tutto per­ché hanno il 41%, bene noi dimo­striamo la nostra forza e auto­no­mia. I temi di cui par­lare in autunno sono tanti: trovo una scioc­chezza tor­nare sull’articolo 18, men­tre al con­tra­rio si devono sem­pli­fi­care le forme di assun­zione. Già in tempi non sospetti ho detto di essere d’accordo con il con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato a tutele cre­scenti, ripu­lendo però il campo dalle forme spu­rie e pre­ca­rie. Vanno anche estesi gli ammor­tiz­za­tori sociali, intro­du­cendo un red­dito minimo. E poi insi­sto: poli­tica indu­striale, inve­sti­menti per la manu­ten­zione del ter­ri­to­rio, pren­dendo le risorse dalla boni­fica della cor­ru­zione, del rici­clag­gio, dell’evasione fiscale.
Quindi in autunno nuove mobilitazioni?
Abbiamo in pro­gramma l’assemblea nazio­nale dei dele­gati, l’ultimo fine set­ti­mana di set­tem­bre. Vor­remmo riu­ni­fi­care le ver­tenze aperte sui ter­ri­tori, per uno sbocco nazio­nale: affian­cando nuove forme di mobi­li­ta­zione accanto ai clas­sici scio­peri, per coin­vol­gere gio­vani e precari.
Quale mes­sag­gio lancerete?
Ci sono almeno due ter­reni su cui Renzi può agire per creare lavoro, oltre alla poli­tica indu­striale. Il primo è soste­nere i con­tratti di soli­da­rietà e le ridu­zioni di ora­rio, come si è fatto con l’Electrolux. In Ita­lia si lavora 1800 ore l’anno, nel resto d’Europa 1500–1600. In quel gap di 200 ore ci sono posti di lavoro. E pen­sare che noi defi­sca­liz­ziamo gli straor­di­nari: assurdo, in tempo di crisi. E ancora: si rifor­mino seria­mente le pen­sioni, così da fare posto a nuove assunzioni.
Quindi modello Elec­tro­lux. E invece di quello Ali­ta­lia la Fiom cosa dice?
Rap­pre­senta tutto ciò che non si dovrebbe fare, e bene ha fatto la Cgil a non fir­mare. Il governo ha tim­brato un accordo in cui si licen­zia senza uti­liz­zare pie­na­mente ammor­tiz­za­tori e con­tratti di soli­da­rietà: come dire, fatto lì, si può ripe­tere ovunque.
Den­tro la Cgil avete discusso una stra­te­gia per l’autunno, dopo il Congresso?
Abbiamo un Diret­tivo a metà set­tem­bre. Io credo che si deb­bano met­tere in campo mobi­li­ta­zioni, anche da soli: il che non impe­di­sce ini­zia­tive con altri sindacati.
Avete risolto in qual­che modo i nodi che vi hanno por­tato allo scon­tro in Cgil?

Io vedo quei nodi ancora aperti. Mi rife­ri­sco prima di tutto a una riforma demo­cra­tica della Cgil: e fac­cio un esem­pio. In que­sti mesi stiamo rin­no­vando le Rsu: lavo­ra­trici e lavo­ra­tori che ci met­tono la fac­cia, che ci fanno vivere come sin­da­cato gra­zie al loro impe­gno nelle fab­bri­che. E sono eletti da tutti, iscritti e non iscritti. Andiamo invece alle strut­ture diri­genti, al mio posto, a quello dei segre­tari gene­rali: si arriva a un Con­gresso in cui su 5,6 milioni di iscritti ti vota mas­simo il 20%, men­tre l’80% risulta non per­ve­nuto. Da lì si passa a un gruppo ristretto di diri­genti, che elegge altri diri­genti. Così non si può andare avanti: il gap con i nostri dele­gati è fin troppo evidente.
Risol­verà tutto la Con­fe­renza di orga­niz­za­zione pre­vi­sta nel 2015?
Di quella si deve ancora discu­tere, ma sono tempi troppo lun­ghi. Dob­biamo affron­tare subito i nodi della rap­pre­sen­tanza, per­ché chi ti deve dare il con­senso non per­dona. E c’è un altro nodo che giu­dico irri­solto: la fram­men­ta­zione con­trat­tuale. Al tavolo Eni oggi sie­dono solo i chi­mici, ma nei petrol­chi­mici la mag­gio­ranza dei lavo­ra­tori è com­po­sta da metal­mec­ca­nici ed edili. Per quanto ancora reste­remo divisi, senza un unico con­tratto e sin­da­cato dell’industria, men­tre la pro­prietà dell’impresa è unica?
Voi come vi defi­nite? Un’opposizione den­tro la Cgil? O solo una minoranza?
Noi siamo la Fiom. Il pro­blema sta nella mag­gio­ranza, in chi entra al Con­gresso con il 98%, ne esce all’80% e ha eletto una segre­te­ria con poco più del 60% del Diret­tivo. Credo che in Cgil stiamo elu­dendo nodi impor­tanti, come quello della democrazia.
Poca demo­cra­zia, che vedete anche nella riforma del Senato? Nell’Italicum?
Non ho capito a cosa serve un Senato con 100 per­sone, elette altrove e senza reali poteri. Allora era meglio can­cel­larlo. Come mi pre­oc­cupa una legge elet­to­rale con quei premi di mag­gio­ranza e soglie che esclu­dono milioni di cit­ta­dini. Ma soprat­tutto que­sto Par­la­mento, che è stato eletto con una legge giu­di­cata inco­sti­tu­zio­nale, non dovrebbe poter rifor­mare la Costi­tu­zione: toc­che­rebbe piut­to­sto a un’Assemblea costi­tuente. Per­ché que­sti par­la­men­tari non abro­gano l’articolo 8, che per­mette di dero­gare alle leggi per mezzo di accordi pri­vati? Per­ché non can­cel­lano il pareg­gio di bilan­cio? Per­ché non ci danno una legge per la rap­pre­sen­tanza nei luo­ghi di lavoro? Coe­ren­te­mente con le posi­zioni che ho sem­pre espresso, penso che se ci sarà un refe­ren­dum, mi com­por­terò di con­se­guenza, e inol­tre pre­sto incon­tre­remo Ste­fano Rodotà e le altre asso­cia­zioni per nuove iniziative.

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