Di
cosa avranno parlato Renzi, il Napolitano stanco delle vacanze e
il Draghi ormai messo alla catena dalla Bundesbank? Di quale nuova
terribile emergenza parlottano senza farci sapere nulla? In termini
generali non è difficile capirlo: della sopravvivenza loro e di ciò che
rappresentano. Draghi dei modi di conservare la fiaccola dell’austerità
che tanti vantaggi ha portato alle oligarchie finanziarie europee e che è
messa in forse dai disastrosi risultati raggiunti, Napolitano delle
strategie per conservare il teatrino dell’oligarchia nazionale di cui è
il nume tutelare, Renzi per guadagnare tempo in vista del disastro.
Il consulto sul malato italiano che da un giorno all’altro si
sveglierà scoprendosi Grecia, anzi ancor peggio perché la caduta è da un
piano molto più alto, ha aspetti drammatici perché lo stadio della
malattia è terminale: il Pil cala e il debito aumenta nonostante le cure
da cavallo. Draghi può minacciare la troika finché vuole, ma sa
benissimo, sempre che non sia un idiota, che lo sfascio finale del
welfare e l’eliminazione dei diritti sul lavoro non sono una cura, sono
il male e porteranno in breve tempo alla insostenibilità del debito,
nella logica ferrea della moneta comune. Quindi è probabile che i tre
abbiano messo a punto una sorta di pezza a colore, un piano di cui si
comincia a parlare sia pure sottovoce utile a guadagnare tempo senza
ripudiare l’euro e le politiche austeritarie che sono in realtà le due
facce di una medesima moneta, tanto per dirla con un gioco di parole.
E’ probabile che tale piano sia il Fondo Patrimonio Italia come lo chiama Milano Finanza o “Fondo degli italiani” come
suggeriscono gli spin doctor del premier e del suo profeta Berlusconi:
si tratta di prendere tutte le proprietà immobiliari dello Stato, delle
Regioni e degli enti locali, assieme a tutte le loro partecipazioni
azionarie e di conferirle a una sorta di New Co. che ne venderebbe le
quote per ricomprare i titoli sovrani
Le cifre in ballo si aggirano sui 300 o 400 miliardi, ma le
esperienze precedenti, sia pure più circoscritte come l’Invimit di Letta
dicono che il mercato si fida poco di queste operazioni e che dunque
si tratterebbe non di una vendita di quote a garanzia, ma di una vera e
propria svendita dalla quale si potrebbe ricavare nel migliore dei
casi, forse un quinto della cifra ipotizzata. Dunque una boccata
d’ossigeno dopo la quale tuttavia il Paese non avrebbe più beni di
riserva. E lo sa benissimo Draghi le cui fortune derivano dalla
liquidazione del patrimonio immobiliare dell’Eni per meno di un terzo
del loro valore di mercato, azione per la quale si è conquistato un
posto d’onore tra gli squali della finanza.
Tuttavia l’operazione e il battage che ne seguirebbe come mirabile
idea del premier, appoggiata da Silvio, gli consentirebbe di superare il
baratro che gli sta davanti, salverebbe temporaneamente Napolitano dal
totale fallimento della sua opera da modesto burocrate del potere e
probabilmente proteggerebbe il delicato lato B di Draghi che
nell’immediato potrebbe evitare di dover difendere l’assetto europeo con
i fatti e non solo con le parole, cosa quest’ultima che gli costerebbe
il posto. L’operazione naturalmente non è ci esimerebbe dal fare le
“riforme” deliranti e dal subire i sacrifici che ci vengono richiesti o
meglio imposti, in maniera più ultimativa da quando la recessione ha
riaggredito il continente, né probabilmente ci consentirà di strappare
quella inutile flessibilità che è diventato il mantra del nulla, ma
probabilmente consentirebbe di affrontare le enormi obbligazioni del
fiscal compact fino al prossimo appuntamento con le urne. Insomma il
“Fondo degli Italiani” servirebbe soprattutto a comprarsi le prossime
elezioni. tanto che fose sarebbe meglio chiamarlo fondello per gli
italiani.
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