Tufta è un termine armeno che indica grosso modo una persona presa
per i fondelli, oppure con singolare assonanza con l’italiano una
truffa. Con questo termine nell’ultima era dell’Unione Sovietica veniva
stigmatizzata l’abitudine delle alte sfere di falsificare le analisi e
le statistiche per creare una realtà artificiale. Una tradizione che è
stata gloriosamente ripresa dal neoliberismo per asserire le sue verità e
concimare con dati fasulli la narrazione mediatica dell’universo
mercatista.
Se una fede religiosa ha i suoi miracoli per combattere l’istintivo
scetticismo, la scienza economica ha le sue statistiche e i suoi numeri
per risvegliare credenze anche quando urtano contro l’evidenza. Certo
non è così semplice perché la realtà è una brutta bestia, ma si sa che
la speranza in una condizione migliore è anche il sentimento più facile
da accontentare. Così se i dati sull’inflazione sono sempre gestiti dai
governi, com’è ben noto, attraverso rilevazioni, strumenti di calcolo e
pesature che nell’insieme permettono una grande elasticità di risultato,
dal 2008 siamo bombardati dalla luce in fondo al tunnel e cioè da
previsioni che regolarmente falliscono e rinviano all’anno dopo
l’immancabile ripresa. Il passaggio dal 2013 al 2014 è stato
particolarmente curioso perché non una delle previsioni si è avverata in
nessuna parte del mondo, tanto che si è ricorso a spiegazioni
climatiche sia per gli Usa che per l’Olanda e il Belgio e ultimamente
anche per la Germania dove il calo della produzione industriale sarebbe
stato dovuto all’inverno particolarmente mite. Si tratta di pure e
imbarazzanti sciocchezze non fosse altro perché una certa condizione
climatica se frena certe attività e consumi, ne aumenta altri, ma una
cosa è assolutamente chiara: o gli analisti si servono volutamente di
strumenti inadeguati o estraggono a sorte i numeri oppure vanno dalla
cartomante che probabilmente dà responsi consolatori.
Dentro questo quadro complessivo non è nemmeno molto difficile
esaltare l’eventuale crescita o minimizzare le perdite, modulandole
secondo le opportunità, ma in generale per evitare che la promessa
secondo la quale abbandonandosi agli spiriti animali e al mercato tutti
staremo meglio, si riveli fasulla: se credi la statistica sarà benigna,
se dubiti ti colpirà come un monito e ti mostrerà quanto sia eretico non
partecipare all’ottimismo e quanto meschino sia non credere al merito.
Certo è un po’ strano che da 35 anni a questa parte gli Stati Uniti si
siano trasformati dal paese delle opportunità in quello con la minore
mobilità sociale al mondo, ma questo non ci distoglie dall’idea che i
ricchi siano i nuovi giusti nei confronti dei quali le regole e anche le
leggi debbono piegarsi, mentre i poveri siano i nuovi eretici la cui
condizione deriva esclusivamente dal loro scarso valore.
Tutto questo come ha scritto il sociologo belga Paul Verhaeghe,
abbastanza noto nel mondo, ma pressoché sconosciuto da noi, nella sua
qualità di fastidioso solone nonché professorone, viviamo in un mondo di
valutazioni, monitoraggi, controlli e sorveglianza il cui scopo è
punire i perdenti e gratificare i vincenti. Peccato che questi ultimi
siano sempre gli stessi ormai per diritto ereditario e che mai il merito
è contato di meno, cosa del resto più che ovvia in un’economia dove il
lavoro è avvilito e i soldi si fanno attraverso il soldi.
Persino l’ossessiva numerologia nella quale siamo immersi diventa uno
strumento per sostenere l’attiva partecipazione delle vittime tenendole
dentro la gabbia delle proprie illusioni attentamente coltivate dagli
“educatori” globali. E rinverdite a colpi di Tufta.
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