Tutto può succedere e di solito succede con cronometrica precisione quando c’è da convincere le riluttanti opinioni pubbliche. Così assistiamo alla raccapricciante decapitazione di un reporter, rapito nel 2012 in Siria dai guerriglieri anti Assad, allora sostenuti dall’occidente, mentre il sorprendente boia si esprime in un perfetto inglese con accento di Londra. L’orrore della scena e il suo racconto indignato, la carica emotiva che si sprigiona sgretola ogni domanda che si potrebbe legittimamente porre compresa quelle sul ruolo del giornalista stesso, freelance, ma sempre embedded con le truppe americane dall’Afganistan alla Libia dove fu catturato e tenuto prigioniero per 40 giorni dalle forze lealiste di Gheddafi.
Ma al di là di queste considerazioni che pure meriterebbero un qualche approfondimento, ciò che emerge da queste tragedie è il cinismo con cui esse sono usate per orientare lo sdegno e nascondere al tempo stesso l’impudenza e la colpevole superficialità con cui il potere occidentale agisce in nome dei suoi interessi, dando patenti di amici e di terroristi ora agli uni ora agli altri a seconda del proprio tornaconto.
Non si può dimenticare che appena un anno fa gli stessi combattenti dell’Isis su cui oggi si tirano le bombe erano coccolati come martiri di Assad al punto che Obama minacciò l’intervento in Siria, dopo la bufala dei gas nervini. Né va dimenticato che Washington ha lasciato che il califfato dellì’Isis arrivasse fin quasi a Bagdad, senza muovere un dito, scoprendo la questione umanitaria solo quando gli islamisti hanno cominciato ad attaccare i Curdi che da ex terroristi ( vedi caso Ocalan) si sono trasformati in amici in grado impedire con le loro rivendicazioni nazionali, la stabilizzazione dell’Iraq conservando così agli Usa il dominio del petrolio nella regione. E non solo: uno stato curdo anche informale, con rivendicazioni sul territorio iraniano e turco sarebbe un ulteriore strumento di pressione.
Destabilizzare e imperare. Non a caso le armi che vengono usate dall’Isis contro i Curdi sono le stesse generosamente donate agli islamisti perché facessero fuori Assad e fosse più facile, più economico gestire le notevoli risorse petrolifere esistenti nel mediterraneo prospiciente la Siria. Adesso è il contrario bisogna armare i Curdi e disarmare gli altri. Tutti conti fatti senza l’oste e cioè senza tenere in conto le conseguenze o magari anche immaginandole, ma fregandosene del sangue e delle catastrofi umanitarie che al contrario sono benvenute perché permettono di obliterare il passato e di confondere piani e interessi. Un gioco molto facile con opinioni pubbliche la cui capacità di attenzione non supera ormai quello dello spot.
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