Un
minimo di diritti sul lavoro è, come saprete dall’ineffabile e
instancabile bocca del premier, un totem ideologico. Raschiando la
morchia anni ’80 e ’90 sul fondo del barile si cerca di vendere agli
italiani l’idea politicamente miserabile ed economicamente sbugiardata
che l’abolizione dell’Articolo 18 possa aprire le porte alla crescita.
Certo l’apparato fonatorio del premier è un device totalmente autonomo
dal cervello, ma proprio per questo ciò che ne esce è molto
significativo della congerie di ideuzze economiche messe a guardia di un
progetto destinato a trasformare la democrazia in oligarchia e rendere
durevole un capitalismo finanziario che non avrebbe chanches in un mondo
dove le masse, le classi, le popolazioni – usiamo il termine che
vogliamo -fossero ancora chiamate a decidere del loro futuro e non solo a
scegliere tra personaggi mediatici e false alternative di un solo
potere.
Purtroppo il progetto è contraddittorio poiché un capitalismo basato
sulla produzione di massa di beni e/o denaro ha bisogno assoluto della
distribuzione di reddito (e della relativa distribuzione di
partecipazione) di cui il profitto è una variabile dipendente e non il
motore primo da cui discende tutto il resto. Un’evidenza che è risaltata
con sempre maggiore evidenza da quando i concetti neo liberisti sono
sfociati nella crisi: al calo della domanda non si può rispondere con
meno investimenti, meno stato, meno diritti, meno welfare
tentando cerando di riconquistare la mitica competitività attraverso la
lotta ai salari: è un suicidio, un circolo vizioso che adesso sta
venendo al pettine.
E infatti le situazioni di sofferenza economica cominciano ad
estendersi dai piigs ai cosiddetti Paesi ricchi, lasciando di stucco la
prosopopea degli analisti i cui strumenti sono totalmente forgiati
dall’ideologia e dal culto in un eterno ciclo mitralico dell’economia:
il calo industriale in Germania, l’arretramento del pil italiano,
olandese e giapponese, la stagnazione in Finlandia, l’aumento della
disoccupazione in Francia, la vera e propria diaspora dei giovani
spagnoli (che paradossalmente fa figurare una diminuzione della
disoccupazione), l’incerta situazione statunitense dove si alternano
risultati positivi a cadute inattese e il declino, lento, ma costante
della produzione cinese ci pongono di fronte a un bivio. O si prende
tutta la ganga ideologica accumulatasi negli ultimi trent’anni e la si
butta nel suo luogo di elezione, oppure si cercano rimedi estremi ai
mali estremi. Purtroppo pare di capire che sarà quest’ultima la scelta
visto che essa è delegata ad elite che hanno navigato in quest’acqua e
sono responsabili del declino.
Di una marcia indietro rispetto al catechismo del pensiero unico
nemmeno se ne parla, si ritorna invece a una sorta di stato di guerra
permanente, diverso da quella fredda e probabilmente nemmeno calda come
un vero conflitto mondale. Uno stadio intermedio che consenta in qualche
modo di contenere la rivolta sociale e magari sia di stimolo
all’attività economica. Una guerra mondiale vera ( a parte il timore di
una devastazione globale) costringerebbe, come già si è verificato nel
secolo scorso, a contenere i profitti e a ridurre il potere dei centri
finanziari sulla politica: così probabilmente si cercherà di mantenere
la brace accesa e di cuocere a fuoco lento i brandelli delle conquiste
sociali: il problema è di trovare un altro “nemico” per nascondere
quello vero. Un progetto evidentemente pericoloso perché le fiamme una
volta accese sono incontrollabili.
Tutto questo assume un carattere farsesco nell’Italia della diarchia
Renzi – Berlusconi, quella nella quale la politica è subalterna a
poteri a loro volta subalterni a diversi padroni: per cui il crollo che
si sta verificando viene trattato fra ribellismo di facciata e
ubbidienza incondizionata saccheggiando l’enciclopedia universale delle
sciocchezze e delle ipocrisie nella sontuosa edizione mediaset,
sperando che i cittadini non si accorgano che stiamo andando a sbattere.
Ma che importa: a sovranità zero corrispondono zero responsabilità. E
per gli uomini zero si tratta dell’habitat ideale.
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