venerdì 29 agosto 2014

Governo, un vecchio film lungo mille giorni di Giorgio Airaudo, Il Manifesto




Men­tre il nostro pre­si­dente del con­si­glio pensa alle slide dei pros­simi mille giorni ci sono ita­liane e ita­liani che aspet­tano di capire dove siano finite le slide dei primi cento. Aspet­tano rispo­ste, a dire il vero, da almeno tre Governi: quello di Monti, quello di Letta, e quello di Renzi, dopo i gua­sti che agli ita­liani e all’Italia hanno gene­rato le poli­ti­che neo libe­ri­ste degli ese­cu­tivi di cen­tro­de­stra di Ber­lu­sconi (e dei suoi ministri).
I primi che atten­dono di essere nomi­nati — magari anche solo in un tweet del nostro pre­mier — sono gli eso­dati, nuova figura sociale gene­rata dalla mano­vra For­nero che non aveva pre­vi­sto tran­si­zioni, com­pen­sa­zioni o tutele per chi lasciava in mezzo a un guado. Il governo Monti ha usato le pen­sioni come un ban­co­mat per sedare i mer­cati e ras­si­cu­rare la tec­no­cra­zia Euro­pea. E ci ha con­se­gnato, con rara lun­gi­mi­ranza, la più alta età pen­sio­na­bile d’Europa in con­tem­po­ra­nea alla più alta disoc­cu­pa­zione gio­va­nile della sto­ria del nostro paese. In mille giorni non ci sono state parole per gli eso­dati — che si gene­re­ranno almeno sino al 2022 — fino ad oggi sono stati spesi quasi 12 miliardi per sei sal­va­guar­die che non hanno risolto il patto di cit­ta­di­nanza vio­lato con que­ste cit­ta­dine e cit­ta­dini. Tutto ciò a fronte di quasi 90 miliardi di risparmi, cer­ti­fi­cati dall’Istituto sta­ti­stico dell’Inps, che la mano­vra For­nero garan­tirà in dieci anni rispetto ai 22 miliardi pre­vi­sti al varo della riforma. Que­sti ultra-risparmi devono tor­nare alle pen­sioni e ai pen­sio­nati. Come mai nes­sun mini­stro ne parla? Mistero. Solo una nuova riforma che can­celli le abnor­mità della mano­vra For­nero, abbas­sando l’età pen­sio­na­bile e distin­guen­dola in base ai lavori svolti nel arco della vita lavo­ra­tiva (e al loro impatto psi­co­fi­sico sulle per­sone) potrà riscri­vere un nuovo patto sociale che can­celli la ferita degli eso­dati, risolva l’ingiustizia delle pen­sioni d’oro e fac­cia ripar­tire un turn-over bloc­cato che per ora pena­lizza innan­zi­tutto i giovani.
A dire il vero di que­sto aveva par­lato la mini­stra Madia, annun­ciando solen­ne­mente la crea­zione di quat­tro­mila posti per i più gio­vani: si è riman­giata tutto, e pre­ci­pi­to­sa­mente, quando si è sco­perto che non c’era nes­suna coper­tura e che la riforma della Pub­blica Ammi­ni­stra­zione la devono pagare i lavo­ra­tori. A fianco degli eso­dati — infatti — ci sono gli “errori” rico­no­sciuti e irri­solti del per­so­nale della scuola di quota96 bloc­cato al lavoro da una riforma che si è scor­data di quando fini­sce l’anno sco­la­stico e l’insensatezza, in con­flitto con le norme di sicu­rezza, di fer­ro­vieri che dovreb­bero stare alla guida di treni anche ad alta velo­cità fino a 67 anni. Si tratta di solu­zioni di errori a basso costo: meri­te­reb­bero decreti d’urgenza che il governo Renzi pro­mette e rin­via dalla sua nascita come i suoi predecessori.
Il governo Renzi ha toc­cato il tema delle pen­sioni, di recente, non per pro­porre più equità, ma per ven­ti­lare mal­de­stra­mente tra son­daggi e asti­celle (intorno a fer­ra­go­sto, con un con­certo di dichia­ra­zioni cal­co­late e irre­spon­sa­bili) addi­rit­tura l’ipotesi di un pre­lievo su tutte le pen­sioni sopra i due­mila euro lordi. Di fronte a un pre­an­nun­cio semi insur­re­zio­nale che teneva insieme un fronte del No che andava dalla Cgil a Forza Ita­lia le asti­celle sono state (per ora) ripo­ste. Intanto — in mille giorni — non ho sen­tito parole né visto tweet, e nem­meno assi­stito a gavet­toni ghiac­ciati in favore dei lavo­ra­tori dell’Alcoa che dal 31 dicem­bre fini­scono in mezzo a una strada, con la loro fab­brica defi­ni­ti­va­mente chiusa, e che da giorni se ne stanno in tenda davanti ai can­celli, ma non certo per fare cam­peggi estivi. E nulla ho sen­tito, dai loquaci mini­stri, anche su quello spa­ven­toso buco nero che è diven­tato — per noi — l’impianto side­rur­gico più grande d’Europa, quello di Taranto e la side­rur­gia Ita­liana da Terni a Piom­bino. Aspet­tano solu­zioni indu­striali da tempo oltre 150 crisi crisi azien­dali al mini­stero dello svi­luppo eco­no­mico a par­tire da Ter­mini Ime­rese a cui ser­vi­rebbe la cer­tezza di un nuovo pro­dut­tore di auto oltre la dia­spora dal Ita­lia della Fiat-Chrysler e molte di più sono in attesa sui tavoli delle regioni.
Tutto que­sto avrebbe biso­gno di poli­ti­che che favo­ri­scano il rein­se­dia­mento indu­striale, fer­mino la sven­dita e la fuga delle atti­vità mani­fat­tu­riere dall’Italia e sem­bra innan­zi­tutto man­care su que­sto ter­reno una visione che vada oltre i 140 carat­teri delle bat­tute da Social media. Man­cano soprat­tutto inter­lo­cu­tori cre­di­bili: die­tro e oltre il pre­mier nulla si muove. Ogni tanto, nel governo dei “carini” qual­cuno azzarda una dichia­ra­zione su que­sti temi aperti, suscita un vespaio, e subito viene com­mis­sa­riato dal solito Mat­teo che dice: “Mi occupo di tutto io!”. Però poi, anche per limiti umani, non ci riesce.
Durante tutta l’estate, in regioni già disa­giate — cito ad esem­pio la Sar­de­gna e la Basi­li­cata — si dif­fon­dono le anti­ci­pa­zioni dei tagli con cui dovreb­bero essere chiusi decine di “pic­coli tri­bu­nali” che poi tanto pic­coli non sono, se per rag­giun­gere quelli nuovi devi viag­giare quat­tro ore. Non ci sono soldi per nulla, non si pro­getta nulla, sotto la ver­ni­cia­tura del nuovo i mille giorni rischiano di rega­larci la rie­di­zione del già visto.
Infine aspet­tano i disoc­cu­pati, gli sco­rag­giati e i sot­to­pa­gati oltre 7 milioni di sfrut­tati e ricat­tati dalla (e nella) crisi a cui si pro­pone un altra volta la stan­tia ricetta della sva­lu­ta­zione della pro­prio lavoro attra­verso l’aumento della pre­ca­rietà. I gior­nali del coro hanno ini­ziato a decan­tare come un pic­colo Eden il modello spa­gnolo. L’ultima ver­sione del decreto Poletti, l’attacco ai con­tratti di lavoro e l’immancabile uso pro­pa­gan­di­stico della can­cel­la­zione dell’18, già muti­lato dal governo Monti, viene ora masche­rato attra­verso l’idea — a dir poco biz­zarra — che la can­cel­la­zione dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori sarebbe un grande salto di pro­gresso (per chi?). Quando i mini­stri delle grandi riforme sono più pru­denti, invece, dicono che lo Sta­tuto deve essere riscritto: però non ci dicono come, non ci spie­gano, quali diritti si deb­bano rico­struire e quali nuovi affer­mare, come si può ridurre una pre­ca­rietà che è ora­mai distru­zione di lavoro e ric­chezza. Ser­vono meno di mille giorni per can­cel­lare le qua­ranta forme di di con­tratto più o meno pre­ca­rie e per varare un piano per il lavoro che sia il nostro New Deal : e non c’è trac­cia del’annunciato “con­tratto unico” che avrebbe dovuto sosti­tuirle. Si vuole invece aggiun­gerne una nuova, l’assunzione con pos­si­bi­lità di licen­ziare per tre anni, che (per ora) lan­gue al Senato. Ma non si doveva cam­biare verso? L’autunno se sarà caldo o freddo lo deci­de­ranno molti di que­sti sog­getti e sog­get­ti­vità oggi spesso rimossi. Sono tanti,non con­tano nulla,ma guai a sot­to­va­lu­tarli ammo­niva Luciano Gal­lino pochi giorni fa noi non li lasce­remo soli.

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