Ormai
resta poco da dire sul piano della proposta politica. In questi mesi
abbiamo discusso e scritto in tanti di cosa si dovrebbe provare a fare a
sinistra per produrre un moto di canalizzazione del consenso che passi
attraverso una riacquisizione della criticità sociale nelle coscienze
singole. Eppure, nonostante le argomentazioni siano state le più varie, e
nonostante ognuno di noi sappia – in mezzo a molti dubbi comunque –
quale sia la “sua linea”, gli sconvolgimenti elettorali del voto
siciliano hanno prodotto un tale rimescolamento delle carte che le
certezze o le ambizioni alle certezze che avevamo sono state nuovamente
intaccate, si sono rattrapite e il convincimento è tornato a vacillare.
Che alla sinistra manchi una linea politica capace di far sentire la propria differenza rispetto alle altre forze in campo è un dato che emerge dal voto delle liste: l’Italia dei Valori arriva solo al 3,5% e il triciclo formato da FdS, SEL e Verdi fa fatica a mantenere il 3,1%.
La legge elettorale siciliana prevede uno sbarramento del 5%, quindi nessun eletto e appiattito anche il coraggioso sforzo della compagna Giovanna Marano che ha avuto l’ingrato compito di sostituire Claudio Fava dopo la figuraccia dell’errore burocratico sulla residenza del candidato presidente.
Io mi soffermerei essenzialmente su questo insieme di dati, riuniti però insieme nell’analisi: la particolarità del territorio in cui si è svolto il voto non ha smentito di molto le previsioni che nazionalmente vengono fatte sui grillini e sul fatto che vengono attestati a secondo partito italiano dopo il PD; il clamoroso balzo del movimento 5 Stelle è direttamente lo specchio del disprezzo in cui oggi viene gettata la politica oggi: la popolazione in larga parte vede nell’impegno politico solo un tentativo di emergere socialmente nella sola individualità, quindi un rampantismo peggiore di quello dei tempi della “Milano da bere” di craxiana memoria; questo disprezzo per la “cosa pubblica” è fondato sulla più generale crisi economica che, a sua volta, produce una traduzione istituzionale fatta di burocrati e tecnocrati delle potenze bancarie e del capitalismo internazionale.
Ma questo aspetto non è di facile comunicazione e viene nascosto abilmente dalla martellante campagna di condanna dei “partiti”, della “politica” e dei “politici” nel loro insieme, senza alcuna distinzione. Prevale l’indistinguibile, il mucchio selvaggio e ogni tentativo di smarcarsi, di evidenziare le differenze e il buono che ancora c’è in tantissime persone che fanno politica, appare come un alibi insostenibile, come una difesa impossibile che viene messa in essere per provare solamente a prendere voti.
Non esiste più traccia di buona fede quando un cronista parla di politica: il retropensiero la fa da padrone e la incultura del qualunquismo penetra a fondo nell’angoscia dei singoli e della folla che cerca ancora una volta un “salvatore della Patria”.
Quando Beppe Grillo fa la nuotatina nello Stretto di Messina, io rivedo Mussolini durante i giorni della battaglia del grano. Quando il movimento 5 Stelle manda le veline ai giornali per indicare i termini con cui deve essere “trattato” nella comunicazione pubblica, io rivedo altre veline, quelle che Starace faceva scrivere e inviare a tutte le organizzazioni del fascio littorio.
Eh certo che il movimento 5 Stelle non è il Partito Nazionale Fascista. Ma con la tecnica illusoria del distacco totale dalla politica e dal sistema ha fatto credere a moltissime persone che mai e poi mai sarà contaminato dalle turpitudini del Palazzo!
A meno che non vogliano spazzare via la Repubblica con le sue istituzioni, Grillo e i suoi dovranno fare i conti con il Palazzo. E lo sanno benissimo.
L’elemento più inquietante di tutta questa politica da manicomio, dove tutto è il contrario di tutto e dove compagni comunisti voteranno magari per Matteo Renzi perché è giovane e, si sà, la giovinezza è “primavera di bellezza” e porta la tanto agognata speranza, è il tramonto di una sinistra che chiude un suo ciclo. E prima lo chiude meglio sarà per tutte e tutti, così da rendere possibile una palingenesi e una rinascita per una proposta sociale e politica che sia davvero diversa dai tanti compromessi e dalle tante falsificazioni quotidiane che dobbiamo architettate per sopravvivere e per dimostrare anche a noi stessi che, in fin dei conti, ancora c’è speranza.
La palingenesi non significa la distruzione di quello che oggi esiste. Semmai il contrario: significa la trasformazione senza mezzi termini in fatti concreti di azioni che abbiamo escluso per incapacità, vigliaccheria e anche egoismo.
Ma oltre a tutto questo, oltre alla necessaria costruzione di una formazione delle sinistre anticapitaliste e antimontiane (che va fatta e deve essere fatta nel più breve tempo possibile), c’è davanti a noi un’altra verità: la capacità di ascolto, di approfondimento e di discernimento è sotto zero.
Ci si ferma alla superficialità delle cose, delle azioni, delle persone, di quanto accade quotidianamente e, paradossalmente, proprio su un giudizio superficiale si inanellano discussioni dispersive, confuse che mescolano il particolare con il generale, il singolo col collettivo e muore così ogni tentativo di poter esprimere una critica vera, sincera, senza pregiudizi e pregidiziali.
Da una società distrutta da una economia distruttiva non può che avere vita una politica morta, una politica che si nutre infatti solo delle urla grilline e degli anatemi contro Palazzo Chigi o Montecitorio.
Un popolo generoso sfila al “No Monti day” e viene vissuto come vecchio, sorpassato. Eppure quel popolo ha ragione ed esprime ragioni che vanno in difesa dei ceti più deboli, degli sfruttati più veri. Ma questo messaggio si ferma dove nasce: i canali di comunicazione sono al servizio dei signori dell’economia e quindi non fanno da traghettatori di notizie “improprie”.
Visto che oggi vince la superficialità e l’indistinguibilità, visto che prevale la fascistizzazione e l’assoluto, perché rovinare questa buona semina di incultura dicendo che esiste ancora chi non crede che tutto sia perduto e che, pur esistendo una lotta di classi, non c’è traccia della coscienza delle classi (almeno di quelle proletarie)?
La vittoria del PD in Sicilia per davvero è una vittoria di Pirro. Il dato dell’astensionismo è l’altro lato dello specchio che da un lato porta il marchio grillino. E non è campata in aria l’analisi di chi somma astensionismo e voto ai grillini. Si tratta di un non voto da un lato e di un voto dall’altro che portano quasi il medesimo segno: insoddisfazione, lontananza dalla vita politica e percezione del distacco che c’è tra il pessimo esempio delle corruttele tanto diffuse e la così scarza aderenza tra interesse pubblico e Repubblica.
Se è vero che abbiamo delle colpe, una di queste è aver pensato che lo schema tradizionale potesse ancora funzionare. Da Grillo non viene niente di buono. Da chi davvero ci crede e pensa di essere parte di una rivoluzione globale delle istituzioni e della loro moralità, può nascere invece qualcosa di naturale e di profondamente vicino a quei valori costituzionali che vanno preservati, rinvigoriti e protetti da ogni attacco.
Noi continuiamo a domandarci se esiste una lezione da trarre dopo la tempesta sulla Trinacria. Non penso che ci siano più lezioni da impartire. Il tempo è scaduto e per tornare a cambiare le cose dobbiamo rientrare nei luoghi dove è possibile proiettare un cambiamento legato ad un rinnovamento sociale.
Le fasi di crisi dell’economia hanno sempre portato al malessere verso le istituzioni democratiche. Ecco la lezione è solo questa: ricordiamoci della Repubblica di Weimar e del suo bastardo figlio: il regime nazista.
Che alla sinistra manchi una linea politica capace di far sentire la propria differenza rispetto alle altre forze in campo è un dato che emerge dal voto delle liste: l’Italia dei Valori arriva solo al 3,5% e il triciclo formato da FdS, SEL e Verdi fa fatica a mantenere il 3,1%.
La legge elettorale siciliana prevede uno sbarramento del 5%, quindi nessun eletto e appiattito anche il coraggioso sforzo della compagna Giovanna Marano che ha avuto l’ingrato compito di sostituire Claudio Fava dopo la figuraccia dell’errore burocratico sulla residenza del candidato presidente.
Io mi soffermerei essenzialmente su questo insieme di dati, riuniti però insieme nell’analisi: la particolarità del territorio in cui si è svolto il voto non ha smentito di molto le previsioni che nazionalmente vengono fatte sui grillini e sul fatto che vengono attestati a secondo partito italiano dopo il PD; il clamoroso balzo del movimento 5 Stelle è direttamente lo specchio del disprezzo in cui oggi viene gettata la politica oggi: la popolazione in larga parte vede nell’impegno politico solo un tentativo di emergere socialmente nella sola individualità, quindi un rampantismo peggiore di quello dei tempi della “Milano da bere” di craxiana memoria; questo disprezzo per la “cosa pubblica” è fondato sulla più generale crisi economica che, a sua volta, produce una traduzione istituzionale fatta di burocrati e tecnocrati delle potenze bancarie e del capitalismo internazionale.
Ma questo aspetto non è di facile comunicazione e viene nascosto abilmente dalla martellante campagna di condanna dei “partiti”, della “politica” e dei “politici” nel loro insieme, senza alcuna distinzione. Prevale l’indistinguibile, il mucchio selvaggio e ogni tentativo di smarcarsi, di evidenziare le differenze e il buono che ancora c’è in tantissime persone che fanno politica, appare come un alibi insostenibile, come una difesa impossibile che viene messa in essere per provare solamente a prendere voti.
Non esiste più traccia di buona fede quando un cronista parla di politica: il retropensiero la fa da padrone e la incultura del qualunquismo penetra a fondo nell’angoscia dei singoli e della folla che cerca ancora una volta un “salvatore della Patria”.
Quando Beppe Grillo fa la nuotatina nello Stretto di Messina, io rivedo Mussolini durante i giorni della battaglia del grano. Quando il movimento 5 Stelle manda le veline ai giornali per indicare i termini con cui deve essere “trattato” nella comunicazione pubblica, io rivedo altre veline, quelle che Starace faceva scrivere e inviare a tutte le organizzazioni del fascio littorio.
Eh certo che il movimento 5 Stelle non è il Partito Nazionale Fascista. Ma con la tecnica illusoria del distacco totale dalla politica e dal sistema ha fatto credere a moltissime persone che mai e poi mai sarà contaminato dalle turpitudini del Palazzo!
A meno che non vogliano spazzare via la Repubblica con le sue istituzioni, Grillo e i suoi dovranno fare i conti con il Palazzo. E lo sanno benissimo.
L’elemento più inquietante di tutta questa politica da manicomio, dove tutto è il contrario di tutto e dove compagni comunisti voteranno magari per Matteo Renzi perché è giovane e, si sà, la giovinezza è “primavera di bellezza” e porta la tanto agognata speranza, è il tramonto di una sinistra che chiude un suo ciclo. E prima lo chiude meglio sarà per tutte e tutti, così da rendere possibile una palingenesi e una rinascita per una proposta sociale e politica che sia davvero diversa dai tanti compromessi e dalle tante falsificazioni quotidiane che dobbiamo architettate per sopravvivere e per dimostrare anche a noi stessi che, in fin dei conti, ancora c’è speranza.
La palingenesi non significa la distruzione di quello che oggi esiste. Semmai il contrario: significa la trasformazione senza mezzi termini in fatti concreti di azioni che abbiamo escluso per incapacità, vigliaccheria e anche egoismo.
Ma oltre a tutto questo, oltre alla necessaria costruzione di una formazione delle sinistre anticapitaliste e antimontiane (che va fatta e deve essere fatta nel più breve tempo possibile), c’è davanti a noi un’altra verità: la capacità di ascolto, di approfondimento e di discernimento è sotto zero.
Ci si ferma alla superficialità delle cose, delle azioni, delle persone, di quanto accade quotidianamente e, paradossalmente, proprio su un giudizio superficiale si inanellano discussioni dispersive, confuse che mescolano il particolare con il generale, il singolo col collettivo e muore così ogni tentativo di poter esprimere una critica vera, sincera, senza pregiudizi e pregidiziali.
Da una società distrutta da una economia distruttiva non può che avere vita una politica morta, una politica che si nutre infatti solo delle urla grilline e degli anatemi contro Palazzo Chigi o Montecitorio.
Un popolo generoso sfila al “No Monti day” e viene vissuto come vecchio, sorpassato. Eppure quel popolo ha ragione ed esprime ragioni che vanno in difesa dei ceti più deboli, degli sfruttati più veri. Ma questo messaggio si ferma dove nasce: i canali di comunicazione sono al servizio dei signori dell’economia e quindi non fanno da traghettatori di notizie “improprie”.
Visto che oggi vince la superficialità e l’indistinguibilità, visto che prevale la fascistizzazione e l’assoluto, perché rovinare questa buona semina di incultura dicendo che esiste ancora chi non crede che tutto sia perduto e che, pur esistendo una lotta di classi, non c’è traccia della coscienza delle classi (almeno di quelle proletarie)?
La vittoria del PD in Sicilia per davvero è una vittoria di Pirro. Il dato dell’astensionismo è l’altro lato dello specchio che da un lato porta il marchio grillino. E non è campata in aria l’analisi di chi somma astensionismo e voto ai grillini. Si tratta di un non voto da un lato e di un voto dall’altro che portano quasi il medesimo segno: insoddisfazione, lontananza dalla vita politica e percezione del distacco che c’è tra il pessimo esempio delle corruttele tanto diffuse e la così scarza aderenza tra interesse pubblico e Repubblica.
Se è vero che abbiamo delle colpe, una di queste è aver pensato che lo schema tradizionale potesse ancora funzionare. Da Grillo non viene niente di buono. Da chi davvero ci crede e pensa di essere parte di una rivoluzione globale delle istituzioni e della loro moralità, può nascere invece qualcosa di naturale e di profondamente vicino a quei valori costituzionali che vanno preservati, rinvigoriti e protetti da ogni attacco.
Noi continuiamo a domandarci se esiste una lezione da trarre dopo la tempesta sulla Trinacria. Non penso che ci siano più lezioni da impartire. Il tempo è scaduto e per tornare a cambiare le cose dobbiamo rientrare nei luoghi dove è possibile proiettare un cambiamento legato ad un rinnovamento sociale.
Le fasi di crisi dell’economia hanno sempre portato al malessere verso le istituzioni democratiche. Ecco la lezione è solo questa: ricordiamoci della Repubblica di Weimar e del suo bastardo figlio: il regime nazista.
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