Michele Giorgio è l'unico giornalista italiano
presente a Gaza in questo momento. Le sue cronache, come quelle di Vik
Arrigoni, squarciano il velo di menzogne diffuso da Israele e
moltiplicato dai media di regime. Ci sembra doveroso dedidargli tutta
l'attenzione e la visibilità che merita.
Michele Giorgio
INVIATO A GAZA CITY
Michele Giorgio
INVIATO A GAZA CITY
Nessun riparo dalle oltre 1.000 incursioni aeree. Rasa al suolo la sede del governo
Alle porte di Gaza preme l'offensiva di terra israeliana ma le forze
armate dello Stato ebraico in qualche modo sono già arrivate a casa di
Osama, al secondo piano di una palazzina nel rione Nasser. «Cinque
missili, li ho contati, hanno colpito la sede del governo. Un attimo
dopo le finestre sono esplose e ci siamo ritrovati ricoperti di vetri e
detriti. Grazie a Dio siamo tutti salvi». Parla a bassa voce Maher. In
basso c'è il cumulo di macerie dell'edificio governativo. Le abitazioni
sul lato sinistro sono tutte danneggiate gravemente. Quelle sulla destra
invece appaiono quasi intatte. Stranezze dell'onda d'urto. Camminiano
assieme a Maher tra utensili da cucina rotti, cuscini sventrati, quadri
spaccati e tanti altri oggetti che facevano parte della sua vita
quotidiana e che per poco venerdì notte non lo hanno ferito. «Sono vivo e
mi sembra già tanto», commenta alzando gli occhi al cielo.
All'improvviso giunge il boato di una esplosione. Ci allontaniamo
preoccupati. Maher invece resta fermo, indifferente. «Niente paura - ci
dice calmo - hanno già distrutto tutto qui, non sprecheranno un'altra
bomba per queste macerie». Il bombardamento e la distruzione di una
struttura imponente come il quartier generale del governo di Hamas, ha
ulteriormente scosso la popolazione di Gaza. Le esplosioni sono state
terrificanti anche sul ministero dell'Interno, polverizzato in pochi
secondi, ma hanno anche danneggiato una scuola pubblica e una scuola
media dell'Unrwa (Onu). Si può solo immaginare lo spavento, il terrore,
che provano le persone, specie gli anziani e i bambini, per
deflagrazioni tanto ravvicinate. Roba da morire d'infarto. Qui a Gaza i
civili non hanno a disposizione rifugi pubblici o privati nelle case,
per proteggersi. E non c'è neppure la sirena d'allarme che a Gerusalemme
e a Tel Aviv allerta gli abitanti in caso di pericolo imminente. In
questo martoriato lembo di terra l'unica cosa che un palestinese può
fare quando gli israeliani bombardano è pregare. Non c'è più nessun
luogo sicuro, da nord a sud. Alcune delle oltre 1.000 incursioni contro
Gaza effettuate fino a ieri sera dall'aviazione israeliana, hanno preso
di mira postazioni e strutture governative persino sul lungomare di Gaza
dove abita anche buona parte degli stranieri che, per conto di Ong e
agenzie dell'Onu o internazionali, lavorano nella Striscia. Ieri hanno
vissuto attimi di forte paura anche gli otto cooperanti italiani con
appartamenti nell'edificio «Abu Ghalion», per un bombardamento avvenuto a
poche decine di metri di distanza contro una postazione della guardia
costiera. «Ci siamo spaventati molto, è stato un boato terrificante»,
ricorda Salvo Maraventano. I cooperanti restano a Gaza, per il momento.
Per due giorni consecutivi sono stati allertati ad essere pronti a
lasciare la Striscia, con un convoglio organizzato dall'Onu. Convoglio
che però non è ancora partito per il valico di Erez. E lasciare Gaza non
è proprio ciò che desiderano alcuni degli otto italiani. Valentina
Venditti l'altro giorno aveva gli occhi gonfi di pianto perché non
voleva abbandonare sotto le bombe i suoi amici palestinesi. Per ora
resta qui. Non lascia Gaza neppure l'attivista napoletana Rosa Schiano,
da un anno nella Striscia, che ha passato le ultime quattro notti
all'ospedale «Shifa» per registrare i feriti dei bombardamenti e
riferirne, attraverso i social network, alle reti italiane di
solidarietà con la Palestina. Il ricordo di Vittorio Arrigoni è molto
forte tra gli italiani che sono a Gaza. Quattro anni fa fu Vik ad
informare l'Italia, in modo decisivo e attraverso il nostro giornale, di
ciò che avveniva nella Striscia schiacciata dall'urto dell'offensiva
«Piombo fuso» (1.300 morti palestinesi). Quella in corso oggi porta il
nome di «Pilastri di Difesa». Cambiano i nomi, gli effetti sono gli
stessi. L'operazione in corso deve essere completata, ha avvertito ieri
il ministro israeliano dell'educazione Gideon Saar. «Hamas non è nella
posizione di poter dettare alcuna condizione. Qualunque cosa - ha
aggiunto - sia successa prima dell'operazione non continuerà dopo che
sarà finita. Nel momento in cui potremo essere certi di questo, ci
fermeremo». La guerra perciò va avanti e si rischia l'escalation
dell'invasione di terra. Il bilancio di morti palestinesi è arrivato a
44, i feriti sono quasi 400. I cacciabombardieri e i droni israeliani,
ieri dopo aver ridotto in macerie decine di «edifici di Hamas», hanno
inquadrato nel mirino i capi locali delle Brigate Ezzedin al Qassam,
l'ala armata di Hamas, e delle altre formazioni impegnate nella lotta
armata e a lanciare razzi verso Israele: le Brigate al-Quds (Jihad
Islami), al-Ansar (islamiche), del Fronte Democratico, Abu Ali Mustafa
(Fronte popolare) e an-Nasser Salah Addin (Comitati di resistenza
popolare). I morti di ieri sono i maggioranza miliziani ma non mancano i
«danni collaterali» , come qualcuno ama chiamare le vittime civili.
Ieri i miliziani palestinesi hanno sparato altre decine di razzi verso
il sud di Israele, tenendo sotto pressione migliaia di civili, e
lanciato verso Tel Aviv un missile Fajr 5 (intercettato dal sistema di
difesa Iron Dome), un modello di fabbricazione iraniana che però Tehran
nega di aver passato o venduto ai palestinesi. I razzi sono caduti anche
su Asdot, Netivot e Persheeva. Prosegue anche la guerra su computer e
telefoni. Dopo le battaglie a colpi di tweet con l'Idf (l'esercito
israeliano), ieri le Brigate al Qassam sarebbero riuscite ad inviare un
sms a molti cittadini israeliani: «Trasformeremo Gaza in un cimitero per
i vostri soldati». Venerdì era stato l'esercito israeliano ad inviare
12mila sms alla popolazione di Gaza: «State lontano da Hamas, si apre la
porta dell'inferno». La guerra vera intanto è alle porte. Scuole e
università di Gaza hanno chiuso, le attività economiche sono ferme, i
negozi chiusi. La gente fa la fila per ore davanti ai forni e alle
stazioni di rifornimento pur di ottenere qualche libro di benzina.
da "il manifesto"
da "il manifesto"
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