La
“riforma” delle pensioni, al pari della manomissione dell’articolo 18 e
della volontà di distruggere la contrattazione collettiva e i diritti
del lavoro attraverso l’articolo 8, è parte organica della profonda
regressione sociale, civile e democratica, a cui le politiche
iperliberiste europee e del governo Monti stanno condannando le nostre
società.
Le misure assunte rappresentano una controriforma strutturale destinata ad aggravare la crisi e a produrre conseguenze negative gravissime sull’insieme del corpo sociale.
Le misure assunte rappresentano una controriforma strutturale destinata ad aggravare la crisi e a produrre conseguenze negative gravissime sull’insieme del corpo sociale.
Sarà così per la maggior parte delle
lavoratrici e dei lavoratori dipendenti, in particolare per tutti coloro
che svolgono lavoro operaio ed esecutivo, per i quali è persino
fisicamente insostenibile lavorare fino a 67 anni e in prospettiva fino a
70.
Sarà così per tutti coloro che, espulsi dai luoghi di lavoro per gli effetti della crisi, rischiano di trovarsi senza nessun reddito, con un aumento esponenziale della precarietà e dell’insicurezza del vivere, come accade già oggi per gli “esodati”, diventati loro malgrado il simbolo sacrificale di politiche rigoriste e insipienti.
Pesantissime sono le conseguenze per le donne, che già prima della controriforma non riuscivano a raggiungere i requisiti per la pensione di anzianità, tra precarietà e percorsi lavorativi discontinui, a causa delle tante discriminazioni di genere persistenti nel nostro sistema produttivo e in ragione del doppio lavoro, pagato nella produzione di beni e servizi, e non pagato, “di cura”, nelle case. Lavoro non pagato che continua a scaricarsi soprattutto sulle donne, specie quando il sistema del welfare viene smantellato e privatizzato, i diritti ridotti a privilegi, le politiche di condivisione delle responsabilità di cura, considerate un lusso.
Le giovani generazioni infine, in nome delle quali si è affermato fosse necessaria la riforma, vedranno invece ulteriormente compromessa la possibilità di accedere ad un posto di lavoro, perché la permanenza degli anziani al lavoro contribuisce a bloccare ogni mobilità sociale. In un sistema di precariato a vita, la pensione pubblica sarà per chi si affaccia oggi al mercato del lavoro, meno che “una mancia” a causa dell’intervento operato in passato sui coefficienti di trasformazione e della riduzione del loro rendimento.
La controriforma delle pensioni realizza in realtà il più violento aumento dell’orario di lavoro nell’arco della vita, dal dopoguerra ad oggi, proprio nel periodo di più grave recessione economica quando per uscire dalla crisi, sarebbero necessarie politiche opposte: di redistribuzione del lavoro attraverso la riduzione dell’orario e sarebbe indispensabile investire sull’occupazione e la sua qualità, definita anche dalla sostenibilità dell’intreccio tra vite e lavori di donne e uomini.
L’iniquità della controriforma è sottolineata inoltre dal fatto che essa non è motivata in nessun modo da problemi di sostenibilità del sistema pensionistico preesistente, come comprovano studi dell’Eurostat e dello stesso nucleo di valutazione del Ministero del Lavoro , ma solo dalla scelta di utilizzare i contributi versati per le pensioni per fare “cassa” nell’immediato e arrivare in prospettiva allo smantellamento del sistema pubblico a favore dei fondi privati.
Per questi motivi la campagna di raccolta firme per l’abrogazione della controriforma pensionistica è importante. Insieme ai referendum sul lavoro rappresenta la possibilità di dare voce al disagio sociale sempre più grave prodotto dalle politiche del governo Monti e dell’Unione Europea, ed un’opportunità per cercare di costruire una piattaforma di cambiamento che viva nella società attraverso il protagonismo diretto dei cittadini e delle cittadine, restituendo loro iniziativa politica e sovranità.
Francesco Bardinella, Fiom ILVA TarantoSarà così per tutti coloro che, espulsi dai luoghi di lavoro per gli effetti della crisi, rischiano di trovarsi senza nessun reddito, con un aumento esponenziale della precarietà e dell’insicurezza del vivere, come accade già oggi per gli “esodati”, diventati loro malgrado il simbolo sacrificale di politiche rigoriste e insipienti.
Pesantissime sono le conseguenze per le donne, che già prima della controriforma non riuscivano a raggiungere i requisiti per la pensione di anzianità, tra precarietà e percorsi lavorativi discontinui, a causa delle tante discriminazioni di genere persistenti nel nostro sistema produttivo e in ragione del doppio lavoro, pagato nella produzione di beni e servizi, e non pagato, “di cura”, nelle case. Lavoro non pagato che continua a scaricarsi soprattutto sulle donne, specie quando il sistema del welfare viene smantellato e privatizzato, i diritti ridotti a privilegi, le politiche di condivisione delle responsabilità di cura, considerate un lusso.
Le giovani generazioni infine, in nome delle quali si è affermato fosse necessaria la riforma, vedranno invece ulteriormente compromessa la possibilità di accedere ad un posto di lavoro, perché la permanenza degli anziani al lavoro contribuisce a bloccare ogni mobilità sociale. In un sistema di precariato a vita, la pensione pubblica sarà per chi si affaccia oggi al mercato del lavoro, meno che “una mancia” a causa dell’intervento operato in passato sui coefficienti di trasformazione e della riduzione del loro rendimento.
La controriforma delle pensioni realizza in realtà il più violento aumento dell’orario di lavoro nell’arco della vita, dal dopoguerra ad oggi, proprio nel periodo di più grave recessione economica quando per uscire dalla crisi, sarebbero necessarie politiche opposte: di redistribuzione del lavoro attraverso la riduzione dell’orario e sarebbe indispensabile investire sull’occupazione e la sua qualità, definita anche dalla sostenibilità dell’intreccio tra vite e lavori di donne e uomini.
L’iniquità della controriforma è sottolineata inoltre dal fatto che essa non è motivata in nessun modo da problemi di sostenibilità del sistema pensionistico preesistente, come comprovano studi dell’Eurostat e dello stesso nucleo di valutazione del Ministero del Lavoro , ma solo dalla scelta di utilizzare i contributi versati per le pensioni per fare “cassa” nell’immediato e arrivare in prospettiva allo smantellamento del sistema pubblico a favore dei fondi privati.
Per questi motivi la campagna di raccolta firme per l’abrogazione della controriforma pensionistica è importante. Insieme ai referendum sul lavoro rappresenta la possibilità di dare voce al disagio sociale sempre più grave prodotto dalle politiche del governo Monti e dell’Unione Europea, ed un’opportunità per cercare di costruire una piattaforma di cambiamento che viva nella società attraverso il protagonismo diretto dei cittadini e delle cittadine, restituendo loro iniziativa politica e sovranità.
Riccardo Bellofiore, economista
Fausto Bertinotti, direttore di Alternative per il Socialismo
Francesco Brigati, Fiom ILVA Taranto
Maria Grazia Campari, giurista femminista
Roberto D’Andrea, segreteria nazionale NIDIL CGIL
Ciro D’Alessio, Fiom Fiat Pomigliano
Antonio Di Luca, Fiom Fiat Pomigliano
Anna Fedeli, segreteria nazionale FLC CGIL
Gianni Ferrara, costituzionalista
Sandra Fioccardo, Fiom Aviogroup
Francesca Koch, femminista, Casa Internazionale delle donne di Roma
Alfonso Gianni, direttore di “Cercare ancora”
Beniamino Lami, segreteria nazionale SPI CGIL
Monica Lanfranco, giornalista, direttora di Marea
Nina Leone, Fiom Fiat Mirafiori
Mimmo Loffredo, Fiom Fiat Pomigliano
Alberto Lucarelli, costituzionalista
Giovanni Mazzetti, economista
Pietro Passarino, segreteria regionale CGIL Piemonte
Nicoletta Pirrotta, femminista
Sabina Petrucci, resp. Ufficio Europa FIOM
Antonella Picchio, economista, femminista
Bianca Pomeranzi, femminista
Marco Revelli, sociologo
Gianni Rinaldini, coordinatore nazionale de La Cgil che vogliamo
Patrizia Sentinelli, Altramente
Antonella Stirati, economista
Massimo Torelli, attivista
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