Si
è soliti, a sinistra, sprecare giudizi e aggettivi iperbolici. Ogni due
mesi ci troviamo di fronte ad una “fase completamente nuova” e ogni tre
mesi ad un evento dopo il quale “nulla sarà più come prima”.
Non sarà il big bang, ma quella di oggi è stata senz’altro – al di là di ogni retorica – una giornata molto importante.
Dietro l’impulso dei sindacati
portoghesi, della Cgt spagnola e della Confederazione dei sindacati
europei (la Ces), tutti i Paesi del Sud Europa (Portogallo, Spagna,
Grecia, Italia, Cipro e Malta) sono stati teatro di grandi
manifestazioni e di grandi scioperi generali.
Centinaia di cortei e di iniziative ed
un’unica piattaforma di contestazione delle politiche di austerità
imposte dall’Unione Europea e dai governi nazionali.
Cosa ci suggerisce questa giornata? Alcune cose essenziali.
La prima è che la dimensione della lotta
e della critica al disegno di ristrutturazione neo-liberista deve
essere la dimensione europea. Non esistono scorciatoie o vie di fuga
nazionali e noi dobbiamo fare lo sforzo di collocare le nostre
riflessioni sempre all’altezza del quadro europeo, proponendo soluzioni
alla crisi che vadano nella direzione di una riforma democratica delle
istituzioni europee (riforma degli organismi, sovranità dei popoli
europei, una Costituente che dia vita ad un Parlamento europeo con un
potere legislativo effettivo) sulla cui base mettere in campo politiche
redistributive e di giustizia sociale (superamento del dogma del
pareggio di bilancio, piano europeo per lo sviluppo e l’occupazione,
reddito sociale e salario minimo europeo).
La seconda è che un’inversione di
tendenza radicale nelle politiche europee ha possibilità di essere
soltanto nella misura in cui si attiva una conflittualità e una capacità
di mobilitazione imperniata su di un nuovo blocco sociale che unifichi
le soggettività tradizionalmente legate al lavoro e al movimento operaio
con le nuove forme di sfruttamento materiale e intellettuale (la
generazione del precariato, il mondo in formazione e della ricerca, i
segmenti più attivi della cultura critica e dei movimenti
anticapitalisti, i migranti). Non c’è politica alternativa senza
conflitto dal basso e non c’è conflitto dal basso efficace senza l’unità
della miriade di figure sociali oggi segmentate, divise, parcellizzate e
spesso poste in competizione una con l’altra.
Il terzo messaggio che arriva dalla
giornata di oggi parla all’Italia e interroga direttamente le strutture
organizzate della sinistra politica, in primo luogo i partiti. O c’è uno
scatto e un salto di qualità nei prossimi mesi oppure questa
conflittualità rimarrà del tutto priva di efficacia. Oggi in quasi tutti
i Paesi del Continente esistono coalizioni o soggettività politiche
unitarie e plurali di alternativa in grado di rappresentare il conflitto
sociale e di sfidare la sinistra moderata e la socialdemocrazia sul
terreno della proposta di governo. In grado di sfidare sui contenuti la
socialdemocrazia e di competere con essa, rappresentando un’alternativa
convincente e credibile per milioni di lavoratori.
In Italia questa realtà banalissima non
c’è. Ci sono forze (come Sel) che per le scelte compiute in questi anni e
soprattutto negli ultimi mesi sono state risucchiate nel vortice del
centro-sinistra e quindi delle compatibilità imposte dall’Ue (pareggio
di bilancio, rigore nei conti e quindi politiche recessive vita natural
durante) e altre forze (come il nostro partito) che pur in una scelta di
campo netta e sacrosanta non sono state in grado di costruire intorno a
sé una massa critica tale da fare percepire come utile, reale e
credibile la propria proposta politica.
Continuo a ritenere la separazione in due campi di queste forze la vera sciagura della sinistra italiana.
Abbiamo davanti a noi, allora, un compito contingente e una sfida strategica.
Il compito contingente è quello indicato
nei documenti votati dalla Direzione Nazionale del Prc nei giorni
scorsi: dobbiamo costruire uno schieramento o una lista della sinistra
che raccolga il maggior numero delle forze e delle soggettività che
hanno dato vita in questi mesi all’opposizione politica e sociale al
governo Monti.
Una lista ovviamente alternativa al
Partito democratico e che abbia una consistenza tale da superare gli
sbarramenti elettorali che verranno imposti e quindi tale da
rappresentare anche nelle istituzioni nazionali le istanze di
alternativa.
Ma la sfida strategica (anche a questo
vogliono dare un contributo i Giovani Comunisti) è dare una risposta ai
milioni di lavoratori che hanno aderito allo sciopero del 14 novembre e
che vorrebbero al loro fianco una forza politica di sinistra che non li
tradisse una volta al governo ma che al contempo non si riducesse a
testimoniare una contestazione sterile senza prospettive. Da questo
punto di vista chi parla di “nuovo soggetto politico” ha completamente
ragione. Nuovo: non soltanto perché più grande e più forte di quelli che
ora esistono. Ma anche perché promosso, attraversato, partecipato,
prodotto da chi fino ad oggi è rimasto ai margini ad osservare (e
subire) gli errori della vecchia politica. Un nuovo progetto per una
nuova generazione. Volti, storie, vite di ragazze e ragazzi che fanno
politica per passione e perché così non si riesce più ad andare avanti. O
ci diamo una mossa o queste vite non (ci) aspetteranno più.
Nessun commento:
Posta un commento
Di la tua