La vicenda politica italiana rappresenta
per molti versi un inedito a livello europeo. Non tanto per gli
orientamenti assunti dal governo, in questo del tutto omogenei con il
pensiero dominante, quanto per la ristrutturazione del sistema politico
in corso e, in particolare, per la presenza di una critica generalizzata
al sistema politico che alimenta l’astensionismo e che promuove un
nuovo soggetto politico: il Movimento cinque stelle. Questo fatto muta
completamente lo scenario politico per come lo abbiamo conosciuto da
decenni. Infatti, la tradizionale dialettica “verticale” destra-sinistra
viene oggi superata da quella “orizzontale” rottamatori-casta.
I segnali di questa tendenza sono
presenti anche in altri paesi, ma la dimensione del fenomeno in Italia è
di proporzioni tali da farne un caso a livello europeo.
Occorre ragionare attentamente su
questa evoluzione del sistema politico nel nostro paese perché le sue
implicazioni sono enormi. La prima è che in questa dialettica la
dimensione di classe del conflitto sociale tende a sparire, non perché
essa sia assente, ma perché in parte è neutralizzata dall’enfasi posta
sulla degenerazione della politica. Le stesse politiche di Monti, le
peggiori in assoluto dell’Italia repubblicana, nell’opinione prevalente
sono considerati effetti del degrado della classe politica, anziché
l’espressione di ben determinati orientamenti di politica economica
ispirata al diktat liberista. La seconda implicazione è che la stessa
idea di politica muta profondamente. Quello che viene rimesso in
discussione è la legittimità dei partiti politici come strumento
dell’azione di massa. Che questo sistema debba cambiare non vi è dubbio
e non c’è bisogno di richiamare gli scandali e le ruberie che hanno
costellato la storia della politica italiana. Il punto è che dalla crisi
dei partiti non emerge un modello positivo. Tutt’altro. Si va, infatti,
dallo scontro generazionale con la mitizzazione dei politici
dell’ultima ora, tutt’altro che innocenti e spesso più spregiudicati dei
precedenti, alla celebrazione dei santoni cui si attribuisce una delega
totale.
Per queste ragioni un’alternativa è
necessaria. Essa deve muovere dal riconoscimento della crisi della
politica e dalla necessità di nuove modalità dell’agire politico,
fondate sulla trasparenza decisionale, lo spirito di servizio e la
sobrietà nei comportamenti. Ma questo non è sufficiente. Occorre
ripristinare la rappresentanza degli interessi materiali dei soggetti
sociali. Se quindi Grillo non è l’alternativa, non lo è neppure Bersani.
Infatti, è del tutto perdente pensare di contrastare l’antipolitica se
non si avanza una proposta di effettivo cambiamento del paese, a partire
dalla critica alle politiche portate avanti da questo governo e agli
orientamenti delle elitè europee. Peraltro, è solo riposizionando la
dialettica sulla contrapposizione destra-sinistra che si può pensare di
ridare senso alla partecipazione politica. Il PD, imprigionato nella
rete del pensiero unico, non offre una prospettiva. Né può durare a
lungo lo stato di grazia di cui ha beneficiato in questi mesi (in virtù
della totale delegittimazione del centro-destra), nel momento in cui si
appresta a governare con una piattaforma continuista e con alleanze
discutibili.
E’ da qui che deve partire una
riflessione sulla sinistra, oggi frammentata e politicamente marginale.
Essa ha un compito difficile ma fondamentale: ridare senso alla politica
attraverso un progetto di cambiamento radicale. In poche parole,
abbiamo bisogno di una Syriza italiana: un soggetto politico plurale,
centrato su una scelta antiliberista esplicita e con una capacità
d’iniziativa di massa. Dovremmo discutere a lungo perché un simile
soggetto non si è affermato e perché non lo è diventata la Federazione
della Sinistra. La mia opinione è che quell’esperienza ha scontato un
equivoco: l’aver enfatizzato elementi identitari (il simbolo, una
storia), in assenza però di un progetto di cambiamento condiviso.
Un’esperienza che quindi si è sviluppata solo a livello istituzionale,
non ha prodotto un’apprezzabile inziativa sociale, non ha costruito un
profilo politico nuovo e autonomo e, non a caso, è entrata in crisi nel
momento in cui si è dovuto affrontare il nodo delle alleanze. E’ una
strada non più percorribile. In questo senso la lista unitaria della
sinistra di alternativa, di cui si parla ormai diffusamente, non può
essere concepita come una semplice convergenza elettorale. Deve reggersi
su un progetto di cambiamento, darsi una pratica sociale, prefigurare
una nuova soggettività politica. Non si tratta di mettere il carro
davanti ai buoi, rispetto a processi che richiedono una maturazione, ma
di avere la consapevolezza dell’orizzonte che deve guidare la nostra
iniziativa.
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