Finalmente.
Le manifestazioni di oggi in Europa sono un passo nella giusta
direzione, forse il primo in questo Paese. L’offensiva che, cavalcando
la crisi, mira a rimodellare le società europee spogliando il lavoro di
ogni diritto e smantellando quel che resta della democrazia sostanziale
non ha confini. Registra anzi proprio nel suo carattere sovranazionale
uno dei principali elementi di forza. Non ci sarà possibilità di scampo
se la resistenza continuerà ad articolarsi Paese per Paese, ciascuno
aspettando che arrivi il proprio turno di essere messo con le spalle al
muro per reagire, e fino a quel momento illudendosi che la sorte della
Grecia, della Spagna, del Portogallo non toccherà a noi. Senza vedere
che “noi” siamo già la Spagna e la Grecia.
A un attacco che procede a livello continentale può tenere testa solo
una resistenza di uguale vastità, organizzata, strutturata e coordinata
su dimensione europea. Come è successo oggi.
Non si tratterà di una resistenza integralmente pacifica. Proteste
che non disturbino nessuno, delle quali possibilmente neppure ci se ne
accorga, tanto beneducate da non fare neppure il solletico sono da
sempre il sogno di ogni potere. Prima o poi dovranno accorgersene
persino i pacifisti integrali.
Domani su quasi tutti i giornali leggeremo parole di fuoco contro le
violenze dei manifestanti, contro la “guerriglia urbana”, tanto per
usare parole ridicolmente forti, contro qualche sasso scagliato e
qualche vetrina infranta.
Ognuno ha il diritto di scrivere ciò che vuole, ma chi legge farà
bene a ricordare che tra quelle belle penne e le centinaia di migliaia
di persone che hanno manifestato oggi in Europa c’è una differenza.
Quelli che dai giornali o dalle tv bolleranno indignati “le violenze”
non sono neutrali. Difendono interessi opposti a quelli dei
manifestanti. Stanno dall’altra parte della barricata e quegli anatemi
sono i loro sassi, le loro bottiglie molotov. Prima di prendere sul
serio quel che dicono conviene farci sopra un po’ di tara.
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