mercoledì 21 novembre 2012

“Finalmente i cittadini hanno idee precise sulla crisi”. Intervista a Luciano Gallino

Intervista a Luciano Gallino. Cresce il consenso a sinistra per un polo antiliberista. In queste giorni circola un appello “Cambiare si può” , primo firmatario Luciano Gallino, a cui stanno aderendo centinaia di esponenti della sinistra. A favore dell’appello inoltre si è espresso anche il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e il segretario nazionale del Prc Ferrero
Una iniziativa della società civile per costringere la politica ad un rinnovamento reale. La possiamo riassumere così la filosofia di fondo di “Cambiare si può”?
Nell’insieme è giusto, però manca un pezzo. In questo appello che ha messo insieme tanti e tante ci sono molte indicazioni di politica economica e sociale. Basta fare un confronto con l’appello del Pd per rendersene conto. Sosteniamo un “No” alla Troika e sì all’occupazione: non solo il lavoro inteso genericamente ma anche indicazioni complete per chiudere con la stagione del precariato.

Al momento del debutto ha riscontrato adesioni che non si aspettava?
C’è qualcosa di nuovo, questo sì. Sì, ci sono state molte voci di consenso da parte di persone insospettabili. L’accoglienza è stata molto calda e molto positiva. Detto questo, non credo che nessuno dei promotori dell’appello e dei primi firmatari si faccia illusioni sulla possibilità di attrarre folle di elettori. Pensavamo piuttosto che qualcosa bisognasse fare soprattutto dinanzi al vuoto delle proposte e dei programmi che girano nei partiti. L’augurio ora che questo appello, partorito completamente al di fuori delle segreterie di partito, dia avvio ad una nuova fase della quale c’è assolutamente bisogno. La crisi sta raggiungendo un pericoloso punto di catalisi. Sfida difficile, certo. Ma pensare che dalla Carta d’Intenti di Pier Luigi Bersani, che non esclude un posto per la Fornero come ministro in un suo prossimo governo, si possa tirar fuori qualcosa di sinistra appare ancora più arduo. Quasi la quadratura del cerchio.

Nel documento c’è una precisa presa di posizione sul fatto che l’era del welfare non debba tramontare.
Noi siamo dinnanzi ad un paradosso che non viene mai fuori, però, nelle discussioni sulla crisi economica. Bisogna ribadire con forza che il bilancio dello Stato italiano non è stato svuotato dalla spesa sociale. Le spese sociali sono rimaste costanti per diversi anni in Europa, intorno al 25% del bilancio. I debiti complessivi degli stati che hanno forzato le politiche di Bruxelles sono aumentati del 20% e non certo per colpa della spesa sociale e del welfare. Bensì, a causa degli impegni finanziari che gli stati hanno dovuto sostenere.

Una politica irriformabile, come dimostra la vicenda della legge elettorale e tutta la partita sulla corruzione, esprime però il massimo di potere nei confronti dei cittadini.
La società civile esprime delle idee abbastanza precise su come affrontare la crisi. Non sembra che ci sia un qualche partito di peso che sia pronto a raccogliere questa nuova comprensione di quanto sta avvenendo nello scenario economico, politico e dei poteri reali. Il distacco dai partiti sta diventando veramente abissale. E non parlo solo di distacco generico. Siamo in presenza di un distacco di informazione, competenze e conoscenza. Siamo in una situazione in cui una parte apprezzabile della cittadinanza e degli elettori ha fatto proprie le idee tra le più complesse e avanzate rispetto a quelle che circolano nei partiti. E’ una situazione nuova rispetto al passato in cui i cittadini erano più disorientati. Il problema è quello dei punti di riferimento. Tra quelli che hanno capito e quelli che non credono più alla mitologia neolibrale siamo ad un potenziale di dieci milioni di elettori, che poi, però, si ritrovano senza un punto di riferimento. Ecco che si crea un bel problema. La nostra proposta è provare ad offrire un minimo di punto di riferimento e anche qualche possibilità organizzativa.

Quali passaggi organizzativi avete in mente?
Per intanto va fatto un passo con le liste di cittadinanza che poi inevitabilmente dovranno fare i conti con le varie formazioni politiche. Credo che un qualche tipo di organizzazione poi è necessario darsela perché è solo attraverso questa che è possibile far convergere milioni di opinioni verso precisi canali e concretizzare il tutto in una domanda politica.

Tra poco anche da noi prenderanno il via le mobilitazioni. Non crede che scontiamo un po’ di ritardo rispetto all’Europa?
Di fronte a una situazione che è per molti aspetti drammatica con insufficienze da ogni parte, non è vero che l’Italia sia messa peggio. I vari movimenti all’estero sono sempre manifestazioni indicative ma non è che le elaborazioni intellettuali siano più avanti di quelle italiane. Le sinistre un po’ in tutta Europa sembra siano prese dal virus delle divisioni. Emblematico il caso della Linke tedesca. Tempo fa erano al 20% e oggi al 2%.

Un po’ prima è partita l’esperienza di Alba, con quali differenze?
C’è molta sovrapposizione tra i due percorsi. Resta il fatto che molte idee e molte persone sono le stesse. Potrebbe esserci qualche possibilità di scambio. Per certi aspetti “Cambiare si può” rappresenta uno sviluppo. Non sono in concorrenza. E’ più corretto dire che è uno sviluppo.

red. - Contro la crisi.org

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