Penso che la partecipazione popolare alle primarie sia un bene
prezioso. Tuttavia, pur avendo partecipato al primo turno, votando per
Nichi Vendola, domenica non mi recherò al seggio. Assistendo al
confronto televisivo tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani non ho
respirato alcun profumo di sinistra. Si può spruzzare un profumo
dozzinale e spacciarlo per Chanel n° 5, ma la sostanza non cambia. I due
candidati propongano varianti della medesima politica: Bersani vuole
andare «un po’ oltre Monti», Renzi anche, nel senso che vuole fare lui
le politiche di Monti.
Prendiamo il tema cruciale del lavoro: nessuno dei due ha detto che cambierà le controriforme della Fornero. Bersani solo un po’ quella delle pensioni e tace sull’articolo18; Renzi, pensa che bisogna ulteriormente liberalizzare il mercato del lavoro.
Sui diritti civili, senza spiegare perché nei suoi lunghi anni di governo il centrosinistra non ha varato una legislazione avanzata, Bersani propone una riforma piccola piccola senza osare pronunciare la parola matrimonio tra gay. E Renzi, invece di attaccarlo sulle mancanze del vecchio centrosinistra, come ha efficacemente fatto sul conflitto d’interessi, si accoda perché è liberale, ma non liberal.
Sui giovani, a parte le solite giaculatorie sulla scuola, nessuno dei due ha detto che la precarietà prodotta dalle politiche neoliberiste è il cuore del disagio che scuote una generazione che rivendica diritto a un futuro e a un reddito e che dunque la lotta contro la precarietà deve essere l’asse di qualsiasi politica di sinistra. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno avesse detto che quattro vetrine spaccate non possono celare l’enorme spoliazione subita da milioni di giovani. Che nessuna politica di sinistra sarà possibile se non si infrangono le regole del fiscal compact, che è ora di rilanciare le politiche pubbliche e dunque, non di andare “un po’” oltre Monti, ma di costruire un’alternativa a Monti.
Temo che, nel suo intervento di martedì Asor Rosa attribuisca all’alleanza Pd-Sel un valore di asse che invece non ha e non può avere, perché nelle urne del 3 dicembre si conteranno i voti di Bersani e quelli di Renzi, non quelli di Vendola (purtroppo). Il Pd, lo dicono in molti, esce cambiato dalle primarie e la novità più forte (lo dico con rispetto e senza demonizzare nessuno) è la modernizzazione renziana che spinge il Pd verso una posizione liberal-liberista, fortissima nella critica alla politica e alle vecchie classe dirigenti e quindi in grado di intercettare anche un pezzo della protesta, cui si oppone la timida versione socialdemocratica di Bersani, ricco di metafore ma senza il coraggio e la visione di Willi Brandt o Olof Palme.
So bene che nella politica il conflitto può cambiare le cose e dunque anche questa situazione può essere cambiata ma solo se il centrosinistra accetta di dialogare e di farsi attraversare da tutti quei soggetti politici e sociali che oggi _ in forme diverse che però spero convergano verso uno sbocco unitario _ intendono costruire un’alternativa (dall’Idv a Rifondazione, alla Fiom ai firmatari dell’appello “Cambiare si può” di cui ci hanno parlato ieri Pepino e Morniroli). Se Vendola e Sel non giocano questa partita nel dopo primarie, pretendendo che questo soggetto in costruzione sia considerato un interlocutore vero con il quale discutere l’asse del centrosinistra non cambierà. Se ne dovrebbe tenere conto (ma temo che così non sarà) non solo e non tanto per quel che una simile alleanza potrebbe raccogliere in termini elettorali (che pure potrebbe non essere poco) quando per i temi e le questioni che essa evoca.
L’obiezione che così si costruirebbe una babele, non regge se viene da chi propone un’alleanza da Montezemolo a Vendola, a meno che non si pensi che quest’ultimo, in nome della famosa carta d’intenti, sia pronto ad accettare tutto. Anche elettoralmente, l’autarchia Pd-Sel sarebbe un errore: difficilmente raccoglierà più del 35% e ha bisogno di allargare il campo, prima o dopo il voto. La scelta verso il centro non deve essere obbligata dall’assenza di un’alternativa a sinistra.
Una presenza alternativa, per cambiare l’asse del centrosinistra o per tenere aperta una speranza è necessaria. Senza cedere ad alcuna regressione ideologica e minoritaria da duri e puri, ma anzi proponendo idee di sinistra per il governo, potrebbe nascere una lista-coalizione aperta al nuovo civismo e ai movimenti, per una radicale critica alle oligarchie politiche, per sollecitare la rifondazione dei soggetti politici con nuove forme di partecipazione democratica: forum, referendum, primarie.
Con molta nostalgia del futuro, praticando l’indignazione e l’ascolto, com’è nel suo costume, la Rete discuterà di tutto questo e di altro da oggi ad Acquasparta.
Prendiamo il tema cruciale del lavoro: nessuno dei due ha detto che cambierà le controriforme della Fornero. Bersani solo un po’ quella delle pensioni e tace sull’articolo18; Renzi, pensa che bisogna ulteriormente liberalizzare il mercato del lavoro.
Sui diritti civili, senza spiegare perché nei suoi lunghi anni di governo il centrosinistra non ha varato una legislazione avanzata, Bersani propone una riforma piccola piccola senza osare pronunciare la parola matrimonio tra gay. E Renzi, invece di attaccarlo sulle mancanze del vecchio centrosinistra, come ha efficacemente fatto sul conflitto d’interessi, si accoda perché è liberale, ma non liberal.
Sui giovani, a parte le solite giaculatorie sulla scuola, nessuno dei due ha detto che la precarietà prodotta dalle politiche neoliberiste è il cuore del disagio che scuote una generazione che rivendica diritto a un futuro e a un reddito e che dunque la lotta contro la precarietà deve essere l’asse di qualsiasi politica di sinistra. Mi sarebbe piaciuto che qualcuno avesse detto che quattro vetrine spaccate non possono celare l’enorme spoliazione subita da milioni di giovani. Che nessuna politica di sinistra sarà possibile se non si infrangono le regole del fiscal compact, che è ora di rilanciare le politiche pubbliche e dunque, non di andare “un po’” oltre Monti, ma di costruire un’alternativa a Monti.
Temo che, nel suo intervento di martedì Asor Rosa attribuisca all’alleanza Pd-Sel un valore di asse che invece non ha e non può avere, perché nelle urne del 3 dicembre si conteranno i voti di Bersani e quelli di Renzi, non quelli di Vendola (purtroppo). Il Pd, lo dicono in molti, esce cambiato dalle primarie e la novità più forte (lo dico con rispetto e senza demonizzare nessuno) è la modernizzazione renziana che spinge il Pd verso una posizione liberal-liberista, fortissima nella critica alla politica e alle vecchie classe dirigenti e quindi in grado di intercettare anche un pezzo della protesta, cui si oppone la timida versione socialdemocratica di Bersani, ricco di metafore ma senza il coraggio e la visione di Willi Brandt o Olof Palme.
So bene che nella politica il conflitto può cambiare le cose e dunque anche questa situazione può essere cambiata ma solo se il centrosinistra accetta di dialogare e di farsi attraversare da tutti quei soggetti politici e sociali che oggi _ in forme diverse che però spero convergano verso uno sbocco unitario _ intendono costruire un’alternativa (dall’Idv a Rifondazione, alla Fiom ai firmatari dell’appello “Cambiare si può” di cui ci hanno parlato ieri Pepino e Morniroli). Se Vendola e Sel non giocano questa partita nel dopo primarie, pretendendo che questo soggetto in costruzione sia considerato un interlocutore vero con il quale discutere l’asse del centrosinistra non cambierà. Se ne dovrebbe tenere conto (ma temo che così non sarà) non solo e non tanto per quel che una simile alleanza potrebbe raccogliere in termini elettorali (che pure potrebbe non essere poco) quando per i temi e le questioni che essa evoca.
L’obiezione che così si costruirebbe una babele, non regge se viene da chi propone un’alleanza da Montezemolo a Vendola, a meno che non si pensi che quest’ultimo, in nome della famosa carta d’intenti, sia pronto ad accettare tutto. Anche elettoralmente, l’autarchia Pd-Sel sarebbe un errore: difficilmente raccoglierà più del 35% e ha bisogno di allargare il campo, prima o dopo il voto. La scelta verso il centro non deve essere obbligata dall’assenza di un’alternativa a sinistra.
Una presenza alternativa, per cambiare l’asse del centrosinistra o per tenere aperta una speranza è necessaria. Senza cedere ad alcuna regressione ideologica e minoritaria da duri e puri, ma anzi proponendo idee di sinistra per il governo, potrebbe nascere una lista-coalizione aperta al nuovo civismo e ai movimenti, per una radicale critica alle oligarchie politiche, per sollecitare la rifondazione dei soggetti politici con nuove forme di partecipazione democratica: forum, referendum, primarie.
Con molta nostalgia del futuro, praticando l’indignazione e l’ascolto, com’è nel suo costume, la Rete discuterà di tutto questo e di altro da oggi ad Acquasparta.
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