Smentendo previsioni e sondaggi, i catalani hanno
votato contro i tagli del governo di Artur Mas. Premiando tutte le
formazioni politiche che si richiamano alla sinistra e
all'indipendentismo catalano. Compresi gli anticapitalisti della Cup.
Così come era successo per le elezioni basche anche per quelle catalane agenzie di stampa e quotidiani italiani hanno sbagliato di netto il commento e l’interpretazione dei dati.
Di fatto il dato principale delle regionali di ieri è rappresentato dall’inaspettato – ma incoraggiante – crollo di CiU.
Doveva essere infatti una grande vittoria dei regionalisti di Convergencia i Uniò quella di ieri. Nelle scorse settimana sondaggi – a questo punto il sospetto è che fossero manipolati o quantomeno interessati – davano addirittura il partito del governatore uscente Artur Mas vicino alla maggioranza assoluta nel parlamento regionale catalano.
Ma dalle urne ieri è uscita una sconfitta netta del partito della borghesia autonomista catalana, ridotto al 30,6% dal 38,5% delle scorse elezioni, ben 12 seggi in meno.
Gli elettori hanno così voluto punire le ambiguità di Mas sulla rivendicazione dell’autodeterminazione della Catalogna – agitata o chiusa nel cassetto a seconda delle convenienze – e soprattutto dire un secco no alla politica di tagli allo stato sociale, e di repressione nei confronti delle contestazioni sociali, che non ha nulla da invidiare a quella portata avanti dal governo centrale di Madrid.
Il netto ridimensionamento dei regionalisti – e non ‘indipendentisti’, come li ha soprannominati la disattenta stampa italiana – fa il paio con l’affermazione netta di tutte le forze che si richiamano a valori di sinistra e alla rivendicazione indipendentista. In primo luogo i repubblicani di Erc, storica formazione della sinistra catalana che ieri ha raddoppiato i suoi voti passando dal 7% del 2010 al 13,7 - da 10 a 21 seggi - e piazzandosi come seconda forza nel nuovo parlamento regionale.
Buon risultato anche per la coalizione della sinistra ex comunista, ecologista e federalista di Iniciativa Per Catalunya – Esquerra Unida i Alternativa – la sezione catalana della Sinistra Unita spagnola – che passa dal 7,4 al 9.9%, e da 10 a 13 seggi.
Ma sicuramente il risultato più interessante a sinistra è l’irruzione nel parlamento di Barcellona della sinistra indipendentista radicale della Cup che, presentatasi per la prima volta alle elezioni regionali, ottiene un ottimo 3,5% e 3 seggi. Dopo le buone performance ottenute in alcuni municipi, la Candidatura d’Unitat Popular – formata da partiti indipendentisti di natura marxista e da collettivi sociali di vario genere – riesce ad affermarsi nonostante l’aumento di tutte le altre forze di sinistra, vedendo premiato il proprio protagonismo tanto sul fronte delle rivendicazioni nazionali che su quello delle proteste contro i tagli e la repressione.
Fin qui le forze ‘catalaniste’, che nonostante il tracollo di CiU ottengono, grazie all’aumento di tutte le altre, una affermazione storica, ottenendo nel complesso 87 seggi sui 135 complessivi (erano uno in meno due anni fa). E questo nonostante la scomparsa dei centristi di Solidaritat Catalana, formazione nata pochi anni fa da una scissione di destra di Erc e durata lo spazio di mezza legislatura.
Sull’altro fronte, quello delle forze del nazionalismo spagnolo, si registra un serio ridimensionamento dei socialisti del Psc che passano dal 18,3 al 14,4%, calando da 28 a 20 seggi. E facendo registrare un travaso di voti diretto verso una formazione politica gemella della spagnola UyPD – Ciutadans – che pur definendosi progressista e a-nazionalista di fatto è un partito liberale, liberista e fortemente contrario ad ogni forma di devoluzione dei poteri verso le nazionalità senza stato: dal 3,4 al 7,6% dei voti e da 3 a 9 seggi.
Buon risultato, nonostante tutto, per la destra del Partito Popolare Catalano che dal 12,3 passa al 13% e guadagna un seggio rispetto ai 18 che aveva.
Ai dati dei partiti va aggiunto anche quello di una partecipazione al voto degli elettori che è aumentata di addirittura 11 punti percentuali rispetto alla tornata precedentie sfiorando quota 70%. Una mobilitazione sia a destra che a sinistra dello spettro politico in vista della annunciata convocazione da parte di CiU di un referendum per l’autodeterminazione, che verrebbe sostenuto da tutte le forze catalaniste e di sinistra che pure si schierano all’opposizione di Mas. Ma anche la voglia di dire la propria su un modello di gestione politica della crisi autoritario e antisociale, per opporsi alla quale negli ultimi mesi sono entrati in campo soggetti sociali vecchi e nuovi: dai lavoratori e dagli utenti della sanità ai comitati contro gli sfratti, dagli studenti medi e universitari ai cosiddetti ‘indignados’, dai sindacati ai comitati di quartiere.
Quello che è uscito dalle elezioni anticipate di ieri è un Parlament figlio della enorme manifestazione dello scorso 11 settembre, quando un milione e mezzo di persone scesero in piazza in una storica dimostrazione di forza del movimento nazionale catalano. Un parlamento affatto ‘leghista’ dove invece il dato principale è l’affermazione delle forze che si oppongono all’austerity e al massacro sociale. A dimostrazione che il ‘catalanismo’ non è poi così insolidale e neoliberista come ha voluto farci credere la propaganda del nazionalismo spagnolo, riprodotta senza alcun senso critico da tutta la stampa italiana, ‘Manifesto’ compreso.
Ora Mas non solo non ha i 68 seggi che gli servivano per governare in solitaria, ma dovrà anche scegliere con chi allearsi per continuare a gestire una delle comunità autonome più popolose e importanti dello stato. Dovendo rinunciare all’ambiguità che finora ha contraddistinto la sua azione.
Potrebbe allearsi con i socialisti, raffreddando però di molto le velleità nazionaliste – per quanto strumentali – finora agitate. Se invece accettasse un’alleanza con gli indipendentisti di sinistra di Erc dovrebbe rinunciare a parte della sua politica di austerity e premere invece l’acceleratore sulle rivendicazioni indipendentiste, entrando in collisione dura con il governo di Madrid. Uno scontro frontale sulle questioni sociali e nazionali che la borghesia maggioritaria catalana non sembra intenzionata almeno per ora a sostenere. Anche perché dal PP – ma anche dalle forze armate spagnole – i segnali apertamente minacciosi nei confronti delle rivendicazioni catalane non sono mancati. Oltretutto CiU appare ora sempre più diviso fra la corrente più “progressista” e indipendentista di Convergència, e quella più conservatrice di Uniò: quest'ultima non ha mai apprezzato la 'svolta' filoindipendentista di Mas e vede un'alleanza con Esquerra come fumo negli occhi. E ora alcune correnti più accomodanti sul piano delle rivendicazioni nazionali potrebbero approfittare del tonfo di CiU per ottenere la testa di Artur Mas.
Ma anche i socialisti appaiono divisi tra una direzione spagnolista e liberale e una forte corrente ‘catalanista’ e socialdemocratica. Così divisi che quest’ultima corrente potrebbe nei prossimi mesi addirittura dar vita ad un’altra formazione politica.
Così come era successo per le elezioni basche anche per quelle catalane agenzie di stampa e quotidiani italiani hanno sbagliato di netto il commento e l’interpretazione dei dati.
Di fatto il dato principale delle regionali di ieri è rappresentato dall’inaspettato – ma incoraggiante – crollo di CiU.
Doveva essere infatti una grande vittoria dei regionalisti di Convergencia i Uniò quella di ieri. Nelle scorse settimana sondaggi – a questo punto il sospetto è che fossero manipolati o quantomeno interessati – davano addirittura il partito del governatore uscente Artur Mas vicino alla maggioranza assoluta nel parlamento regionale catalano.
Ma dalle urne ieri è uscita una sconfitta netta del partito della borghesia autonomista catalana, ridotto al 30,6% dal 38,5% delle scorse elezioni, ben 12 seggi in meno.
Gli elettori hanno così voluto punire le ambiguità di Mas sulla rivendicazione dell’autodeterminazione della Catalogna – agitata o chiusa nel cassetto a seconda delle convenienze – e soprattutto dire un secco no alla politica di tagli allo stato sociale, e di repressione nei confronti delle contestazioni sociali, che non ha nulla da invidiare a quella portata avanti dal governo centrale di Madrid.
Il netto ridimensionamento dei regionalisti – e non ‘indipendentisti’, come li ha soprannominati la disattenta stampa italiana – fa il paio con l’affermazione netta di tutte le forze che si richiamano a valori di sinistra e alla rivendicazione indipendentista. In primo luogo i repubblicani di Erc, storica formazione della sinistra catalana che ieri ha raddoppiato i suoi voti passando dal 7% del 2010 al 13,7 - da 10 a 21 seggi - e piazzandosi come seconda forza nel nuovo parlamento regionale.
Buon risultato anche per la coalizione della sinistra ex comunista, ecologista e federalista di Iniciativa Per Catalunya – Esquerra Unida i Alternativa – la sezione catalana della Sinistra Unita spagnola – che passa dal 7,4 al 9.9%, e da 10 a 13 seggi.
Ma sicuramente il risultato più interessante a sinistra è l’irruzione nel parlamento di Barcellona della sinistra indipendentista radicale della Cup che, presentatasi per la prima volta alle elezioni regionali, ottiene un ottimo 3,5% e 3 seggi. Dopo le buone performance ottenute in alcuni municipi, la Candidatura d’Unitat Popular – formata da partiti indipendentisti di natura marxista e da collettivi sociali di vario genere – riesce ad affermarsi nonostante l’aumento di tutte le altre forze di sinistra, vedendo premiato il proprio protagonismo tanto sul fronte delle rivendicazioni nazionali che su quello delle proteste contro i tagli e la repressione.
Fin qui le forze ‘catalaniste’, che nonostante il tracollo di CiU ottengono, grazie all’aumento di tutte le altre, una affermazione storica, ottenendo nel complesso 87 seggi sui 135 complessivi (erano uno in meno due anni fa). E questo nonostante la scomparsa dei centristi di Solidaritat Catalana, formazione nata pochi anni fa da una scissione di destra di Erc e durata lo spazio di mezza legislatura.
Sull’altro fronte, quello delle forze del nazionalismo spagnolo, si registra un serio ridimensionamento dei socialisti del Psc che passano dal 18,3 al 14,4%, calando da 28 a 20 seggi. E facendo registrare un travaso di voti diretto verso una formazione politica gemella della spagnola UyPD – Ciutadans – che pur definendosi progressista e a-nazionalista di fatto è un partito liberale, liberista e fortemente contrario ad ogni forma di devoluzione dei poteri verso le nazionalità senza stato: dal 3,4 al 7,6% dei voti e da 3 a 9 seggi.
Buon risultato, nonostante tutto, per la destra del Partito Popolare Catalano che dal 12,3 passa al 13% e guadagna un seggio rispetto ai 18 che aveva.
Ai dati dei partiti va aggiunto anche quello di una partecipazione al voto degli elettori che è aumentata di addirittura 11 punti percentuali rispetto alla tornata precedentie sfiorando quota 70%. Una mobilitazione sia a destra che a sinistra dello spettro politico in vista della annunciata convocazione da parte di CiU di un referendum per l’autodeterminazione, che verrebbe sostenuto da tutte le forze catalaniste e di sinistra che pure si schierano all’opposizione di Mas. Ma anche la voglia di dire la propria su un modello di gestione politica della crisi autoritario e antisociale, per opporsi alla quale negli ultimi mesi sono entrati in campo soggetti sociali vecchi e nuovi: dai lavoratori e dagli utenti della sanità ai comitati contro gli sfratti, dagli studenti medi e universitari ai cosiddetti ‘indignados’, dai sindacati ai comitati di quartiere.
Quello che è uscito dalle elezioni anticipate di ieri è un Parlament figlio della enorme manifestazione dello scorso 11 settembre, quando un milione e mezzo di persone scesero in piazza in una storica dimostrazione di forza del movimento nazionale catalano. Un parlamento affatto ‘leghista’ dove invece il dato principale è l’affermazione delle forze che si oppongono all’austerity e al massacro sociale. A dimostrazione che il ‘catalanismo’ non è poi così insolidale e neoliberista come ha voluto farci credere la propaganda del nazionalismo spagnolo, riprodotta senza alcun senso critico da tutta la stampa italiana, ‘Manifesto’ compreso.
Ora Mas non solo non ha i 68 seggi che gli servivano per governare in solitaria, ma dovrà anche scegliere con chi allearsi per continuare a gestire una delle comunità autonome più popolose e importanti dello stato. Dovendo rinunciare all’ambiguità che finora ha contraddistinto la sua azione.
Potrebbe allearsi con i socialisti, raffreddando però di molto le velleità nazionaliste – per quanto strumentali – finora agitate. Se invece accettasse un’alleanza con gli indipendentisti di sinistra di Erc dovrebbe rinunciare a parte della sua politica di austerity e premere invece l’acceleratore sulle rivendicazioni indipendentiste, entrando in collisione dura con il governo di Madrid. Uno scontro frontale sulle questioni sociali e nazionali che la borghesia maggioritaria catalana non sembra intenzionata almeno per ora a sostenere. Anche perché dal PP – ma anche dalle forze armate spagnole – i segnali apertamente minacciosi nei confronti delle rivendicazioni catalane non sono mancati. Oltretutto CiU appare ora sempre più diviso fra la corrente più “progressista” e indipendentista di Convergència, e quella più conservatrice di Uniò: quest'ultima non ha mai apprezzato la 'svolta' filoindipendentista di Mas e vede un'alleanza con Esquerra come fumo negli occhi. E ora alcune correnti più accomodanti sul piano delle rivendicazioni nazionali potrebbero approfittare del tonfo di CiU per ottenere la testa di Artur Mas.
Ma anche i socialisti appaiono divisi tra una direzione spagnolista e liberale e una forte corrente ‘catalanista’ e socialdemocratica. Così divisi che quest’ultima corrente potrebbe nei prossimi mesi addirittura dar vita ad un’altra formazione politica.
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