Rischiano di non avere incrementi di stipendio tutti i lavoratori che non firmano accordi aziendali. Il sindacato potrà dare l’ok all’aumento dell’orario settimanale e al demansionamento. L’accordo separato sulla produttività cancella le tutele su aumenti, orari, mansioni e videosorveglianza
All’indomani
della firma separata sul patto per la produttività è il momento di
un’analisi più attenta, e sono dolori. Il baricentro della
contrattazione, e in particolare su questioni delicate come gli aumenti
salariali, gli orari, le mansioni e la videosorveglianza, si sposta dal
contratto nazionale (e dalle tutele garantite dalle leggi) alla
contrattazione aziendale. Indebolendo, necessariamente, quanto già
conquistato fino a oggi collettivamente (spesso sarà una crisi a
decidere per nuovi accordi) e non garantendo tutti coloro che, tra
l’altro, non riusciranno mai a fare una contrattazione aziendale.
Intanto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha giudicato
l’accordo «un fatto importante», e subito dopo si è augurato «che non
manchi il contributo della Cgil».
In particolare, per quanto riguarda i salari, si prevede che il contratto nazionale possa perdere gli automatismi previsti fino a oggi, che in qualche modo tendevano a garantire il potere di acquisto agganciando gli aumenti all’inflazione: gli incrementi verranno legati alla produttività, contrattata nel secondo livello.
Il tutto sarà sostenuto da una politica di sgravi concessa dal governo: l’esecutivo dovrebbe decidere entro il 15 gennaio la platea dei lavoratori che avranno diritto alla detassazione (al momento è prevista per chi ha un massimo di 30 mila euro di reddito ma i sindacati chiedono che il tetto sia elevato a 40 mila euro), il tetto della retribuzione per il quale sarà previsto il vantaggio fiscale (al momento 2.500 euro ma i sindacati chiedono sia innalzato) e i criteri con i quali il vantaggio sarà assegnato (ovvero quale sia da considerare salario di produttività). Con la tassazione al 10% il lavoratore che dovesse avere un’aliquota del 27% avrebbe un vantaggio di 170 euro per ogni 1.000 euro erogati come salario di produttività.
Gravissimo quanto deciso in merito a orari, mansioni e videosorveglianza, perché è previsto che nei contratti aziendali e territoriali si possa derogare non solo al livello nazionale ma anche rispetto alla legge. E, quel che è più grave, le parti hanno chiesto al Parlamento che queste materie si sottraggano alla tutela legale per metterle tutte in mano alla contrattazione.
Oggi la legge prevede che l’orario sia di 40 ore settimanali e di 8 al giorno con un massimo di 48 ore settimanali compresi gli straordinari. La contrattazione potrebbe prevedere, nel caso di affidamento della materia da parte della legge, criteri di maggiore flessibilità a fronte di specifiche situazioni. Si potrebbe naturalmente prevedere che questa flessibilità sia perlomeno remunerata.
Quanto alle mansioni, l’articolo 2103 del codice civile stabilisce che il lavoratore «deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito». La contrattazione potrebbe regolare la materia in modo differente anche se l’accordo parla di «equivalenza delle mansioni e integrazione delle competenze»: insomma di fatto si potrà prevedere il demansionamento dei lavoratori.
Infine, il controllo a distanza: attualmente è vietato dallo Statuto dei lavoratori. L’accordo prevede «l’affidamento alla contrattazione collettiva delle modalità attraverso cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per facilitare l’attivazione di strumenti informatici ordinari, indispensabili per lo svolgimento delle attività lavorative». Un’altra picconata allo Statuto, dopo lo stravolgimento dell’articolo 18.
La segretaria Cgil Susanna Camusso aveva già spiegato la sera della firma separata le ragioni del no: la tutela del contratto nazionale e di aumenti che garantiscano a tutti un reale potere di acquisto; la difesa di diritti fondamentali legati a orari, mansioni, videosorveglianza; nuove regole di rappresentanza che garantiscano anche chi non firma gli accordi, e in particolare la richiesta esplicita a Federmeccanica di riprendere a contrattare con la Fiom, oggi esclusa.
Dall’altro lato, secondo Raffaele Bonanni (Cisl) «i lavoratori pagheranno 3 volte meno tasse». Per il leader del Pd Pierluigi Bersani l’accordo centra «l’obiettivo di estendere la contrattazione decentrata», ma poi invita il governo a «continuare la discussione» per «ricomporre l’unità sindacale».
In particolare, per quanto riguarda i salari, si prevede che il contratto nazionale possa perdere gli automatismi previsti fino a oggi, che in qualche modo tendevano a garantire il potere di acquisto agganciando gli aumenti all’inflazione: gli incrementi verranno legati alla produttività, contrattata nel secondo livello.
Il tutto sarà sostenuto da una politica di sgravi concessa dal governo: l’esecutivo dovrebbe decidere entro il 15 gennaio la platea dei lavoratori che avranno diritto alla detassazione (al momento è prevista per chi ha un massimo di 30 mila euro di reddito ma i sindacati chiedono che il tetto sia elevato a 40 mila euro), il tetto della retribuzione per il quale sarà previsto il vantaggio fiscale (al momento 2.500 euro ma i sindacati chiedono sia innalzato) e i criteri con i quali il vantaggio sarà assegnato (ovvero quale sia da considerare salario di produttività). Con la tassazione al 10% il lavoratore che dovesse avere un’aliquota del 27% avrebbe un vantaggio di 170 euro per ogni 1.000 euro erogati come salario di produttività.
Gravissimo quanto deciso in merito a orari, mansioni e videosorveglianza, perché è previsto che nei contratti aziendali e territoriali si possa derogare non solo al livello nazionale ma anche rispetto alla legge. E, quel che è più grave, le parti hanno chiesto al Parlamento che queste materie si sottraggano alla tutela legale per metterle tutte in mano alla contrattazione.
Oggi la legge prevede che l’orario sia di 40 ore settimanali e di 8 al giorno con un massimo di 48 ore settimanali compresi gli straordinari. La contrattazione potrebbe prevedere, nel caso di affidamento della materia da parte della legge, criteri di maggiore flessibilità a fronte di specifiche situazioni. Si potrebbe naturalmente prevedere che questa flessibilità sia perlomeno remunerata.
Quanto alle mansioni, l’articolo 2103 del codice civile stabilisce che il lavoratore «deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito». La contrattazione potrebbe regolare la materia in modo differente anche se l’accordo parla di «equivalenza delle mansioni e integrazione delle competenze»: insomma di fatto si potrà prevedere il demansionamento dei lavoratori.
Infine, il controllo a distanza: attualmente è vietato dallo Statuto dei lavoratori. L’accordo prevede «l’affidamento alla contrattazione collettiva delle modalità attraverso cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per facilitare l’attivazione di strumenti informatici ordinari, indispensabili per lo svolgimento delle attività lavorative». Un’altra picconata allo Statuto, dopo lo stravolgimento dell’articolo 18.
La segretaria Cgil Susanna Camusso aveva già spiegato la sera della firma separata le ragioni del no: la tutela del contratto nazionale e di aumenti che garantiscano a tutti un reale potere di acquisto; la difesa di diritti fondamentali legati a orari, mansioni, videosorveglianza; nuove regole di rappresentanza che garantiscano anche chi non firma gli accordi, e in particolare la richiesta esplicita a Federmeccanica di riprendere a contrattare con la Fiom, oggi esclusa.
Dall’altro lato, secondo Raffaele Bonanni (Cisl) «i lavoratori pagheranno 3 volte meno tasse». Per il leader del Pd Pierluigi Bersani l’accordo centra «l’obiettivo di estendere la contrattazione decentrata», ma poi invita il governo a «continuare la discussione» per «ricomporre l’unità sindacale».
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